Miniere, lacrime e sangue. In Colombia la storia delle schiave bambine.

il: 5 Giugno 2013

Attorno alle miniere nascono organizzaziioni per la tratta delle donne. La vita di Mireya è stata dura e viol

enta, tant

o che i suoi 13 anni le pesano come fossero 40.

Una notte di “cattivi affari” le ha lasciato una cicatrice che fa il giro alla sua sopracciglia destra, passa per lo zigomo ed arriva alla bocca. “72 punti, ma se mi metto la cera dei morti, quella con cui si truccano i cadaveri, allora non si vede nemmeno tanto”, dice, guardandosi in un microscopico pezzo di vetro che è il suo specchio.

Le sue giornate sono condite di colla, che respira per dimenticare fame e gli abusi dei suoi clienti, o le lunghe 

giornate con i minatori ubriachi negli accampanenti clandestini che sono cresciuti nel bajo Atrato, a Murindó (Antioquia) e a Carmen del Darién (Chocó).

In queste terre amcetrali degli indigeni Embera non si estrae solo rame o oro. Ci sono anche corpi, che ancora non hanno raggiunto una maturità, scambiati come merci nelle reti della prostituzione, quelle che l’industria mineraria si tira dietro.

Dietro la concessione dei titoli minerari che in Colombia creano tanta controversia, dietro le miniere illegali, ed i gruppi paramilitari che si combattono per l’accaparramento dei territori; dietro la cancellazione dei diritti delle popolazioni indigene, dello sfollamento forzato di migliaia di contadini, della distruzione ambientale: c’è un delitto che sta diventando parte del paesaggio:

è la tratta delle donne. “E’ la professione più antica del mondo, non c’è di che preoccuparsi”, dicono i funzionari del governo.

Ma la verità è che ci sono centinaia di ragazzine che non arrivano ai 16 anni che sono schiave del sesso e non esiste un piano dello Stato che le possa salvare.

Mireya iniziò a fare questi strani viaggi con l’autobus che ogni mercoledì la raccoglieva ad un angolo della piccola cittadina di Cuba, a Pereira, dove viveva con la madre, che non aveva 11 anni. Sua madre era stata messa in carcere, e ci 

sta ancora per spaccio di droga, la vendette ad un tipo che commerciava ragazze. Era il marzo del 2011. “Non ho idea di quanti soldi si prese mia madre, però mi fece una valigia con due magliette, due mutande, mille pesos”. E così Mireya iniziò il suo viaggio verso l’orrore.

Il suo luogo di lavoro sta ai piedi di una grande montagna, vicino alla frontiera fra Chocó e Antioquia. Qui si contano almeno 16 titolazioni illegali di miniere in zone di comunità indigene ed afrodiscendenti, la maggior parte nelle mani di un’impresa statunitense. Ma anche nella zona del Cauca, e in molte altre zone, la criticità dettata dalle condizioni di vita delle schiave del sesso è altissima. Ma nessuno fa niente, è meglio non parlarne, “non c’è documentazione”, dicono i funzionari, ma la verità è che potrebbe esser

e una minaccia, qualora uscisse alla luce, per uno degli introiti maggiori della politica estrattivista del Governo colombiano. “Nelle miniere succedono molte cose, spesso orribili. Ma nssuno dice niente. Io già non mi sento una persona”, sussurra infine la piccola Mireya. 

 

liberamente tratto da

http://www.noalamina.org