Su Left di questa settimana, La Rivincita Indigena della Colombia

il: 18 Novembre 2013

Francesca Caprini – Il fattore Indigeno della Colombia – 11.11.13


A La Maria, nel Cauca colombiano, territorio indigeno Nasa – Yanacona, c’è fermento.

E’ in preparazione la Quinta Cumbre Continentale dei popoli indigeni dell’Abya Yala, antico nome del continente latinoamericano. Rappresentanti di popoli originari dell’America latina si sono dati appuntamento dal 10 al 16 novembre in questo resguardo a pochi chilometri dalla città di Popoayan, nel Sud ovest della Colombia. Vogliono discutere di modello energetico e di sviluppo, di neocolonialismo ed elaborare il loro messaggio di “Buen Vivir”.

“Saranno presenti organizzazioni dell’Amazzonia, Guaranì, Maya – racconta Gerardo Jumi Tapias della CAOI, il coordinamento andino delle popolazioni indigene – lo scopo è condividere un nuovo paradigma di civilizzazione in antitesi con quello capitalista – neoliberista”. E così, mentre le donne Yanacona con le tipiche gonne viola e la bombetta in testa preparano riso e sancocho (la solita zuppa di pollo)per le decine di partecipanti, nella fucina politica della Colombia si delinea un processo che sa di nuovo ciclo.

 

Il 19 agosto scorso il Paese è scosso dallo sciopero contadino: campesinos delle martoriate terre del Sud Ovest colombiano si uniscono a piccoli e medi terratenientes delle regioni conservatrici. Fino alla fine di settembre il Paese viene bloccato nelle sue vie principali, l’imputato è il Trattato di Libero Commercio ratificato poche settimane prima dal Governo di Manuel Santos con USA e UE. L’imposizione di semi transgenici, i conseguenti indebitamenti per fertilizzanti e prodotti chimici – con la Monsanto come principale distributrice – azzeramento della sovranità alimentare, assenza di contributi statali: snodi insostenibili per una politica agraria carente e che da anni va riformata. Come spesso, è una scintilla che scatena la rivolta: questa volta è l’insensato rogo di 70 tonnellate di riso il 12 agosto a  Campoalegre, non lontano da Bogotà, per mano della polizia che ne verifica la provenienza “non certificata”- le sementi, come consuetudine dei contadini, provenivano dai raccolti precedenti, e la nuova direttiva 9.70 lo vieta.

 E’ un “ya basta”: al fianco dei campesinos scendono studenti, intellettuali, cittadini che parlano di “dittatura alimentare”. La reazione di Santos non ha mezze misure: Bogotà viene messa a ferro e fuoco, gruppi dell’ESMAD –Escuadrón Móvil Antidisturbios, battaglioni antisommossa –  lanciano gas lacrimogeni anche nelle hall degli hotel del turistico quartiere della candelaria, mentre nelle campagne vanno casa per casa. Il saldo è pesante 15 vittime, 485 feriti. L’incriminata Resolution 9.70 viene sospesa ma ormai le sigle contadine hanno le idee chiare: ”Questo sciopero è conseguenza della situazione insostenibile che vive la popolazione – si legge sui comunicati della Mesa Nacional Agropecuaria – per la militarizzazione dei territori, la locomotiva minero-energetica e l’agroindustria, e questi trattati economici fatti solo per favorire i capitali stranieri”.

 

La Colombia si è caratterizzata negli ultimi anni per l’impulso all’economia estrattivista: il 40% del territorio è dato in concessione ad industrie minerarie e petrolifere. Dai 750 mila ettari per lo sfruttamento forestale si pianifica di passare a 12 milioni. L’allevamento intensivo occupa 39,2 milioni di ettari, l’area coltivabile ne ricopre 21,5 ma solamente 4,7 milioni sono dedicati all’agricoltura, cifra in calo perché il paese importa già 10 tonnellate di alimenti l’anno. “Oltre la metà del territorio colombiano è in funzione degli interessi di un’economia di enclave”, aveva detto il comandante Iván Márquez delle FARC-EP all’avvio del tavolo di dialogo a Oslo, nel novembre 2012.

Certo è che questa dimensione di ipersfruttamento territoriale è connessa con la militarizzazione del territorio da parte di esercito e di paramilitari, e le conseguenti violenze e sfollamenti forzati che fanno del paese latino il secondo al mondo dopo il Camerun per profughi interni (quasi 10 milioni). “La povertà affligge almeno 30 milioni di colombiani e il 50% della popolazione economicamente attiva agonizza fra disoccupazione e occupazione precaria”, dice ancora il portavoce delle Forze Armate Rivoluzionarie, che dal quasi un anno insieme all’altro esercito guerrigliero colombiano – l’ELN  – siedono al tavolo con Governo e militari all’Avana alla ricerca di un accordo di pace che ponga fine al conflitto interno che dura da mezzo secolo.

Parole che esprimono il disagio trasversale che attraversa la Colombia, ma anche la sua capacità di reagire. E a volte basta un’immagine.

Marcia NO al Quimbo, 12 ottobre 2013

E’ quella che vediamo nella marcia “No al Quimbo” il 12 ottobre, giornata mondiale contro il colonialismo. Sulle rive del Rio Magdalena migliaia di contadini sfilano contro la costruzione della diga El Quimbo, cui partecipa anche l’italiana Enel attraverso la controllata Emgesa, e che prevede l’inondazione di 8300 ettari di terreno, lo sfollamento di 13.000 persone, la distruzione dell’equilibrio ambientale e dell’economia locale.

feliciano valencia – Coordinamento indigeno del Cauca

Dal palco di Garzòn, dove la marcia si ferma, Feliciano annuncia ufficialmente l’avvio della Minga Indigena nazionale: ”Bloccheremo il Paese in 25 punti, siamo preparati ad molti giorni di resistenza. Chiediamo che i nostri diritti di popolazioni indigene vengano rispettati, la difesa dei nostri territori ed il riconoscimento di quelli ancestrali”. Nei giorni successivi oltre 40.000 indigeni in almeno 10 regioni attuano blocchi stradali e occupazioni. La Minga Indigena viene definita dai suoi promotori “la prosecuzione del Paro Agrario Nacional Campesino”.

Marcia NO al Quimbo. Con Miller Dussen di Asoquimbo.

Indigeni e contadini insieme, fino a qualche tempo fa era impensabile: storicamente contrapposti da una feroce politica agraria – prima lo spoglio delle terre a danno dei popoli originari attraverso le entregas de tierras (consegna delle terre); poi quello dei grandi latifondisti verso i piccoli produttori – oggi stanno fianco a fianco per una politica della redistribuzione delle terre, la riforma agraria e più in generale, il miglioramento delle condizioni di vita dei “los de abajo”, quelli che da sempre “in basso” pagano in prima persona. Uno smacco verso quel  Piano Nazionale di Sviluppo “Prosperidad para todos” sbandierato dal presidente Santos con i suoi 195 miliardi di pesos investiti: non v’è traccia della prosperità finanziaria e sociale promessa, anzi: il divario fra ricchi e poveri nei 4 anni di suo governo è aumentato, così come gli appelli delle associazioni per i diritti umani – da Amnesty Internacional a Human Right Watch – per le violazioni subite dalla popolazione.

 

Dopo 8 giorni di mobilitazioni in tutto il Paese e decine di feriti negli scontri con le forze antisommossa,  il 24 ottobre proprio nel resguardo indigenode La Maria viene raggiunto l’accordo tra la Onic – Organizzazione Nazionale dei popoli Indigeni della Colombia – e il Governo. All’Onic – che rappresenta l’80% dei popoli nativi – vengono assicurati autonomia decisionale,  educazione tradizionale, un sistema sanitario proprio e 32 milioni di euro per l’acquisto di nuove porzioni di territori ancestrali. Il TLC viene trattato secondo misure compensatorie e di sostegno alla produzione e il consumo dei territori indigeni. 

Indigeni Yanacona preparano il pasto al resguardo La Maria

 

Ma sul punto di maggior conflitto  – l’estrattivismo e la politica energetica – non viene trovato accordo.

I delegati indigeni hanno spinto per la costituzione di una commissione mista sulle concessioni alle multinazionali. Mentre le organizzazioni indigene che non si riconoscono nell’Onic,  sono ancora sugli scudi: i Nasa concentrati a Mocoa nel Putumayo, i Tairona nella Sierra Nevada. Intervistato da noi, il ministro dell’Interno Aurelio Iragorri Valencia non pare prendere le distanze dall’attuale iter economico: ”Noi rispettiamo le richieste indigene ma il suolo è di tutti i colombiani”. E le proteste contro casi simbolo – il Quimbo, ma anche la diga Hidroituango in Antioquia, giunte lo scorso 31 ottobre davanti alla Commissione Interamericana per i diritti umani?: “Attendiamo l’esprimersi dei tribunali”.

 

La Maria: luogo simbolico che nel 2004 vide lo scontro con l’esercito, e girarono immagini apocalittiche di elicotteri che tiravano missili su indigeni che rispondevano a sassate. Oggi il governo Santos si piega a cinque estenuanti giorni di assemblea con la Onic per portare a casa la sollevazione dei blocchi nella Panamericana.

Ministro dell’Interno durante l’incontro a La Maria

Manuel Santos, a queste elezioni, arriva a bocconi. La risposta autoritaria della sua amministrazione ha messo in luce l’incapacità di rispondere alle crisi con mezzi civili e democratici, e il suo indice di gradimento è precipitato di quasi trenta punti in poche settimane. Stretto fra proteste civili che non giovano alla politica filo statunitense della Colombia, la scesa in campo del movimento Marcha Patriotica, spesso sponda politica delle rivendicazioni delle FARC, e le provocazioni del suo ex presidente, Alvaro Uribe, che gli fa la guerra attraverso il suo partito, Centro Democrático, Santos corre il rischio che fu dell’ex presidente ecuadoriano  Alfredo Palacio González nel 2006, quando le proteste contadine si unirono a quelle indigene, e spianarono la strada alla vittoria di Rafael Correa.

 

La variabile indigena in Colombia sembra avere un’occasione storica e dal resguardo de La Maria la preparazione della Cumbre continentale indigena partita domenica assume tinte forti che preludono a nuovi protagonismi: “Il movimento indigeno è di fatto un attore politico”, afferma Benito Calixo Gusman della CAOI. E fra i canti ed i rituali di popolazioni antiche come il mondo, si delinea un’alternativa politica antineoliberista e per i diritti della Madre Terra. 

http://www.left.it/2013/11/14/colombia-rivincita-indigena/13560/