Montagnoli e Serodoli: due casi simbolici fra democrazia ed ambiente. Nasce così l'Osservatorio Spontaneo per la tutela del territorio trentino.

il: 17 Febbraio 2014

Negli ultimi mesi l’espansione di aree sciistiche, lo sfruttamento indiscriminato delle risorse idriche per la produzione di neve artificiale, i metodi decisionali che dettano le linee per la tutela del territorio, hanno spinto cittadini ed associazioni trentine ad unirsi in un Osservatorio spontaneo per la tutela del territorio

del quale anche Yaku fa parte.  In particolare, si sta ragionando su due casi simbolici del nostro territorio: Montagnoli e Serodoli. Entrambi nella zona del Trentino occidentale, prevedono impatti ambientali significativi, in nome di un turismo – quello sciistico – ormai sempre più d’elite, che mette sull’altare del guadagno economico aree quasi incontaminate o addirittura facenti parte di Parchi naturali, come l’Adamello Brenta.

Di seguito, alcune nostre considerazioni, in particolare sul caso di Montagnoli: 

Il caso della costruzione dell’invaso di Montagnoli – un mostruoso (secondo noi) buco in un’area in buona parte appartenente al parco Adamello Brenta, bella e boschiva – secondo il documento di valutazione impatto ambientale fornito dalla PAT (Provincia Autonoma di Trento)  prevede appunto la realizzazione di un nuovo invaso di accumulo delle acque a cielo aperto ad uso innevamento in località Montagnoli a Madonna di Campiglio di capacità 204.000 mc, definito necessario perchè:  “L’opera proposta, insieme al necessario ampliamento / traslazione delle piste limitrofe[…]ha preso avvio dalla necessità di porre rimedio definitivo alla problematica situazione in cui si trova la stazione sciistica di Madonna di Campiglio in annate come quella in corso, per la carenza di neve a tutti nota. La crisi economica contingente può aver svolto un parziale effetto disincentivante sul turista italiano, ma in una località quale Madonna di Campiglio, in cui il turismo è divenuto a carattere internazionale da qualche anno, non è certo questo l’unico e principale motivo dell’assenza di sciatori. La necessità di dotarsi di un bacino per lo stoccaggio dell’acqua in grado di risolvere in via definitiva il problema dell’innevamento programmato in caso di necessità, è ormai diventata improcastinabile”. 

Ancora una volta dunque, è la famigerata crisi economica che impone decisioni d’emergenza – altrimenti forse meglio ponderate – e criteri democratici discutibili e comunque, evidentemente inefficaci. La comunità delle Giudicarie – e la nascita dell’Osservatorio ne è una comprova – è per lo più contraria agli interventi invasivi di Montagnoli e Serodoli. Vuole poter dire la sua, e invece è stata abilmente aggirata. Ha idee innovative e di larghe vedute, rispetto a molti dei concetti utilizzati dalle istituzioni per giustificare gli interventi. E vuole farsi sentire. 

Alcune considerazioni di carattere generale: 

1. Partiamo dal concetto di “benessere” o “vivere bene”.

La delle culture originarie del mondo è, per la sua pratica vissuta di amore al mondo, la miglior garanzia per il ristabilimento della salute della Terra. Per questo l’affermazione delle culture originarie è anche l’affermazione della vita sulla terra. E.Grillo Fernandez –

Il buen vivir, delle culture amerindie non consiste in un complesso codificato di norme e valori ad uso universale. Esso è piuttosto una vera concezione globale della vita una “armonia fra il materiale e lo spirituale”. Che sappiamo essersi tradotto anche in lucida proposta politica: in Ecuador la Natura ha acquisito diritti costituzionali. Quando i nostri amici U’wa, o Mapuche, o Maya, hanno visitato le nostre montagne in Trentino per le iniziative del Cammino dell’Acqua , hanno aperto gli occhi per godere della meraviglia, e li hanno riempiti di lacrime per quanto le hanno viste ferite. Loro però lottano per difendere i territori. Loro sono i “Guardiani della Terra”. Per molti di noi, le montagne sono un patrimonio  possiamo monetizzare per avere introiti economici.

2. Che cosa intendiamo aper sviluppo del territorio?

La costruzione del bacino di Montagnoli è necessario per l’innevamento artificiale, per il complesso sciistico, per l’incremento dei flussi turistici di massa.

Il panorama dell’industria turistica (in particolare quella sciistica) si configura come estremamente nebuloso e non ben definibile, almeno su scala nazionale.

Indubbiamente l’immagine che traspare ha l’apparenza di un corpo che non è in grado di reggersi sulle sue gambe, colpito dal sovradimensionamento delle strutture, dalla flessione di utenza rispetto a lontane epoche ruggenti, dai cambiamenti climatici, dai costi di gestione in impennata, da politiche fallimentari, e che necessita di essere continuamente siringato e drogato dagli interventi pubblici per sussistere senza implodere o perdere fatalmente i pezzi. Ciò solleva forti dubbi di principio sulla legittimità, sostenibilità e indispensabilità di tali interventi stessi (sicuramente il fantasma di un contraltare ingombrante quale l’eredità scomoda dell’abbandono di molti impianti sciistici sorti come funghi su tutto l’arco alpino negli anni Sessanta e poi falliti nelle decadi successive al mutare dei flussi e delle economie, rimane qualcosa da evitare necessariamente).

Ma è davvero l’unica possibilità per lo sviluppo del territorio? Ed è veramente ciò che vogliamo? Per analizzare bene il caso, vale la pena inquadrarlo in una dimensione internazionale:

Ad esempio, la dichiarazione sul “capitale naturale”, siglata da alcune tra le principali banche ed istituzioni finanziarie del pianeta lo scorso anno a Rio de Janeiro, in occasione del vertice Onu sullo sviluppo sostenibile. Per l’Italia Unicredit e il disastrato Monte dei Paschi. Dopo aver devastato l’economia produttiva, portando il pianeta sull’orlo del tracollo nel 2008, la finanza globale guarda alla natura come una via di uscita dalla crisi. Proprio quando le catastrofi naturali incalzano a causa dei cambiamenti climatici provocati dal capitalismo energivoro degli ultimi decenni, la risposta delle elite finanziarie è sempre la stessa: sarà il mercato e lo sviluppo delle tecnologie a salvare la Terra dalla crisi ecologica e le sue tragedie. I banchieri così rialzano la testa dopo la crisi finanziaria del 2007-2009 che ha scoperchiato il vaso di Pandora della finanziarizzazione dell’economia e della società. Come se nulla fosse accaduto, oggi vogliono aprire una nuova fase del capitalismo finanziario, in cui lo scambio di soldi, rischi e prodotti associati alla natura è molto più profittevole di quello di beni e servizi. Ciò ha enormi implicazioni -geografiche e tematiche- in merito agli investimenti dell’enorme mole di capitali finanziari accumulata in poche mani negli ultimi decenni e che non sa più dove poter fruttare nell’economia tradizionale. Dal principio dello scorso decennio, infatti, la finanziarizzazione ha iniziato una ricerca spasmodica di nuove frontiere, di nuovi limiti, identificati nelle risorse naturali, intesi come meccanismo per generare nuovi asset da cui estrarre più profitto. Non solo petrolio ed energia, ma prodotti minerari, cibo, ed ora si vuole ancor di più.

Le montagne, l’acqua, i boschi le foreste, persino l’aria che respiriamo, (quei preziosi elementi naturali che noi chiamiamo beni comuni) stanno subendo negli ultimi decenni un progressivo processo di finanziarizzazione. Viene dato loro un valore commerciale, di mercato, e successivamente ogni bene naturale viene cartolarizzato, come il mercato dei barili di petrolio, dell’oro, e addirittura dell’aria (nel cosiddetto mercato del carbonio sono commercializzati i crediti di CO2, che in sostanza permettono ad una azienda di produrre energia immettendo anidride carbonica se la stessa azienda acquista da un’altra crediti di aria pulita).

In Alto Adige può essere innevato artificialmente circa il 90% delle piste grazie a qualcosa come 2605 cannoni da neve e a una capacità dei serbatoi per l’accumulo pari a 12.413.138 metri cubi; o ancora che lo scorso inverno (2011-2012) a Folgaria in Trentino, addirittura un elicottero ha fatto la spola per trasportare in quota neve artificiale prodotta nel  fondovalle, solo per citare alcuni esempi.

Il pensiero comune rafforza l’idea che a tutto possa essere dato un valore economico, e quindi possa essere commercializzato nella prospettiva di poter aumentare nel breve e nel medio periodo i profitti di alcune aziende o anche di una intera comunità.

 La finanziarizzazione dei beni comuni è un’idea conforme e prioritaria rispetto alla nostra scala di valori?

La sostenibilità economica è un aspetto essenziale delle nostre vite. Ma NON CREDIAMO che l’unico cammino possibile per garantire la felicità nostra e delle generazioni future sia quello di incrementare i profitti di alcune aziende considerando acqua, montagne, boschi, aria ed energia semplici beni da poter sfruttare e commercializzare.

La tragica crisi ambientale, economica e sociale che attualmente stiamo vivendo lo dimostra. Un mondo migliore si costruisce attraverso scale di valori che pongono al primo posto l’equilibrio delle relazioni tra esseri umani, tra esseri umani e ambiente che li circonda. Mentre è essenziale capire la ricchezza senza prezzo che la natura fornisce alla società e ai suoi processi economici ogni secondo, ricchezza che va preservata anche con il rafforzamento e il finanziamento pubblico delle aree protette. L’associazione italiana Re:Common ritiene che la definizione monetaria del capitale naturale apra concretamente alla possibilità che la natura e i servizi che forniscono i suoi ecosistemi vengano mercificati. Il tutto a vantaggio soltanto del profitto di pochi attori privati, senza risolvere per altro la crisi ecologica in cui versa il pianeta. In un’economia finanziarizzata qualsiasi meccanismo di mercato sarà forgiato a favore della speculazione e renderà anche la natura una merce finanziarizzata. Il passo è breve alla finanziarizzazione dell’acqua, di altre risorse e di tutto il vivente. Sarebbe un disastro enorme per le comunità, i territori e l’intero pianeta.

La cultura dei Beni Comuni ci insegna che l’unico futuro auspicabile sarà quello in cui riusciremo a difendere il ciclo integrale dell’acqua, a garantire ai fiumi e ai torrenti di poter scorrere, agli alberi di crescere, alle montagne di ri-splendere. Insomma un sistema che possa garantire l’equilibrio degli ecosistemi e la bellezza dei luoghi in cui viviamo in un’ottica di sostenibilità di lungo periodo. E’ questa la chiave del nostro benessere, è questa la nostra ricchezza, è questo lo sviluppo che vogliamo per i nostri territori.

 

E quindi chi decide il nostro futuro?

Questa seconda riflessione pone due distinti elementi di criticità nel caso del Bacino di Montagnoli.

Innanzitutto dobbiamo chiederci se le istituzioni (le Regole, la Provincia, il Comune) siano rappresentative della volontà di una valle o delle comunità che vi abitano. Il tema attiene alla rappresentanza democratica e all’attuale crisi delle istituzioni.

E inoltre, una comunità e le istituzioni che la rappresentano, hanno il diritto di decidere sull’uso e la destinazione di un bene comune?

Un corso d’acqua, una montagna, una foresta o, in questo caso, il bacino del Sarca – la Perla del Brenta è oltretutto ritenuta dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità –  rientrano, come noi pensiamo, nella sfera dei Beni Comuni Universali. E se un Parco afferma che:” deve essere assolutamente attento a quello che è la conservazione del territorio ma deve essere anche attento agli interessi economici della valle. Questo è un intervento di utilità pubblica condiviso con il comune di Ragoli, con la comunità delle Regole Spinale Manez, con la Provincia, e con tutti gli altri enti interessati..(…)…Inoltre il bacino è solo per il 40% in area Parco, e non è in un’area integrale, ma in un’area sciabile”, noi non crediamo più all’integrità etica del Parco. Vogliamo andare oltre.

E allora, se fosse finanziarizzata la Marmolada e venduta per un complesso progetto turistico, e se questa operazione fosse ritenuta, da comunità e istituzioni locali, redditizia per le aziende limitrofe, saremmo tutti felici e contenti?

Come associazione Yaku organizziamo percorsi di formazione sulle tematiche della difesa dei beni comuni, anche nel Liceo Superiore L. Guetti di Tione, con l’obiettivo di rafforzare nella comunità trentina e nelle giovani generazioni, il senso di appartenenza al territorio montano, la reciprocità e la solidarietà attraverso la cultura dei Beni Comuni. Ci chiediamo cosa dobbiamo spiegare ai ragazzi, in questo caso: che la neve artificiale vale più di un ecosistema?

L’osservatorio Spontaneo per la Tutela del territorio trentino  si dà ciclicamente appuntamento per riflettere ed agire, ed ha avviato, fra le altre cose, una petizione per fare pressione contro l’ampliamento delle aree sciistiche della zona di Serodoli. 

Le prossime iniziative saranno volte ad informare la pubblica opinione, e cominciare a ragionare dal basso sulle scelte che veramente andranno a beneficio della tutela delle nostre montagne.

www.yakue.u