L’INFORMAZIONE FRA VERITA’ E POTERI: INTERVISTA A CHRISTIAN ELIA"

il: 12 Novembre 2014

Christian Elia è giornalista di grande esperienza: condirettore di Q Code Mag con il quale Yaku collabora, per nove anni è stato inviato di PeaceReporter e poi di E-il mensile di Emergency in Medio Oriente, Balcani e Mediterraneo; lo raggiungiamo per un’intervista mentre ha la valigia pronta, domani salirà su un aereo in direzione Sierra Leone. Un viaggio per dare inizio ad un progetto importante, il Centro Studi di Emergency, che contribuirà attraverso dati ed informazioni, a sfatare molte di quelle inossidabili certezze che permettono ai pochi di continuare a fare guerre, e ai più a non opporsi con sufficiente forza.

A Christian, Chicco per gli amici, in vista dell’iniziativa “Striplife, oltre il muro dell’informazione” che Yaku organizza insieme Gioco degli Specchi in occasione dei 25 anni della caduta del muro di Berlino (venerdì 14 novembre ore 20.30 – Centro Formazione Solidarieta Internazionale), chiediamo che ne pensa della salute dell’informazione oggi, in particolare dai luoghi di conflitto.

La serata del 14 novembre a Trento l’abbiamo voluta dedicare ai muri ancora esistenti, e abbiamo deciso di parlare di quello della vergogna, quei 700 chilometri che in Palestina hanno segnato ancora più violentemente, l’apartheid di un popolo costretto a lottare ogni giorno per acqua, cibo, diritti, libertà; e quello dell’informazione, che quando risulta falsata, connivente, tossica, ha un ruolo decisivo nella percezione e nell’andamento dei conflitti stessi.

Chicco, che ha scritto anche “Oltre il muro” – Storia di comunità divise, [Marotta e Cafiero ed], chiediamo a che punto è l’informazione oggi, in particolare, negli scenari di guerra: Chicco: “Siamo in un momento di passaggio fra la fine di anni davvero brutti da questo punto di vista – dopo il 2001 fino più o meno il 2008 – per cui raccontare una guerra era una sorta di arruolamento senza alcuna terzietà, scrivere ad esempio di Afghanistan voleva dire essere a favore dei talebani o di Saddam Hussein. Sembra un’era fa, e invece era l’altroieri. Oggi siamo in una sorta di limbo di indifferenza. Non so sinceramente cosa è peggio, se questo o l’informazione embedded. Un esempio lampante è la questione siriana: è un conflitto che non ha eguali dopo la seconda guerra mondiale, per numero di vittime e di profughi. Eppure è fuori fuoco, per come viene raccontata”.

Yaku: Dei cambiamenti sulle modalità di fare informazione però si percepiscono. Anche per una tecnologia alla portata di quasi tutti.

Chicco: “C’è tutta una generazione di giovani reporter, con un’età anche più bassa, che nononstante tutto sta riempiendo questi spazi vuoti e si dà da fare

Y: In qualche modo, anche una forma di opposizione politica

C: Si, per cui anche raccontare una guerra diventa una forma di resistenza culturale, che vuole combattere questo appiattimento. Una volta i reporter di guerra erano delle star, pensiamo ad Ettore Mo, la prima Fallaci, Robert Fisk. Oggi la dinamica è quasi opposta, e cerca di andare anche contro la non voglia di capire da parte della gente, frutto dell’ultimo trentennio di anastesia culturale. Oggi – e questo è molto bello – spesso i cronisti sono locali, stufi di essere raccontati e con la voglia di raccontare Per noi reporter è una maniera per confrontarsi ancora di più.

Y: Questo è questo un punto centrale  di Striplife, il documentario indipendente su Gaza che faremo vedere il 14 sera..

C: La produzione fuori dai circuiti mainstream, autoprodotta spesso attraverso il crowfounding, ha ormai un suo pubblico.

Y: Qual è il futuro?

C: Una liberalizzazione della professione, perché l’Ordine dei Giornalisti è un potere di casta senza deontologia. Questo ci porta a due rischi: una scarsa professionalità, e redazioni ridotte al minimo che gestiscono tutto. Ma ci sarà un’ elezione verso l’eccellenza e la specializzazione. Ora siamo in un periodo di transizione, dove anche un reportage da Aleppo viene pagato 250 euro lorde.  Nel futuro vedo anche l’unirsi dei freelancer italiani su certe battaglie basilari, come i minimi tabellari e assicurare un minimo di sicurezza quando si lavora in luoghi pericolosi. Sarà facile? No! Siamo in presenza di una generazione che fa da linea Maginot e si tiene stretti i privilegi. 

Y: Con Meri Calvelli, a Gaza, abbiamo spesso parlato di come certa stampa faccia presto a mettere ad esempio, Hamas e Isis sullo stesso piano. Impegnata ad appiattire ogni differenza fra fazioni e situazioni, con la dinamica davvero triste dei due pesi e due misure quando si parla di vittime palestinesi ed israeliane…

C: Un esempio davvero attuale è Kobane: sono mesi che tutto il mondo parla dei peshmerga che entrano nella città. Ma non sono mai stati là. Sarebbe come parlare della questione basca e delle Farc.

Chicco Elia, che ha scritto anche Storie in fuorigioco (da cui è stato tratto uno spettacolo teatrale) e ha realizzato i documentari The Empty House (vincitore IMMaginario Festival 2013, finalista al Visa puor l’Image di Perpignan e al Bellaria Film Festival nel 2010) e A different crisis (vincitore IMMaginario Festival 2013, menzione speciale della giuria al Siani Reportage Prize 2013), sarà con noi in primavera per presentare il Centro Studi: “Vuole essere un osservatorio permanente – ci dice ancora – che raccoglierà documentazioni speciali che porteranno ad una raccolta dati davvero importante: per togliere la maschera alla guerra, per contribuire alla cultura della pace”.

 

E allora suerte, Chicco, a la vuelta!

 

Francesca Caprini per yaku.eu