Il volto oscuro del capitalismo italiano in Colombia

il: 2 Novembre 2015

Il volto oscuro del capitalismo italiano in Colombia

di Riccardo Carraro

L’11 giugno scorso, all’interno di Expo 2015 si è svolto il convegno “Investire nell’agricoltura e nell’agroindustria colombiana”. Erano presenti l’ambasciatore italiano a Bogotà, il viceministro all’agricoltura, Hernàn Roman Calderon, ma non solo, il sito di Expo riporta “Ad aiutare il rilancio economico e gli investimenti nell’agroindustria, tre testimonial del mondo economico finanziario: Pascual Martìne, (…),Carlo Vigna Taglianti, ceo e direttore generale di Poligrow, che promuove progetti agricoli sostenibili di olio di palma e olio d’oliva nella zone di Mapiripà, e Finagro, una banca d’investimenti nazionale.

Nulla di strano nel trovare un convegno di questo stile all’interno della fiera del capitalismo rapace e goffamente mascherato di “verde”, che è Expo 2015. In questo caso tra i testimonial, presenti a narrare storie di sostenibilità vi è anche una persona, Carlo Vigna Taglianti e una impresa, Poligrow, che sono ben conosciute da attivisti e difensori di diritti umani colombiani.

Mapiripàn è il secondo municipio colombiano per estensione, nella regione centrale del Meta dove le Ande degradano del tutto fino all’inizio della piatta foresta amazzonica. Negli anni ’90 è stata una zona di aspri combattimenti tra esercito, sostenuto dalle numerosi gruppi paramilitari, e formazioni delle FARC. Più di 13.000 persone hanno dovuto fuggire dal municipio a causa della violenza paramilitare, culminata nel massacro di Mapiripàn, uno dei più gravi della storia recente colombiana, durante il quale per 5 giorni, dal 15 al 20 luglio 1997, gli abitanti della città furono lasciati in pasto al famigerato gruppo paramilitare delle AUC. Ci furono assassini di massa, stupri, torture inenarrabili, corpi smembrati e gettati nel fiume e ogni orrore possibile, sotto lo sguardo vigile dell’esercito che ha dato luce verde ai paramilitari per entrare nel paese. Non si seppe mai quante persone furono uccise a Mapiripàn.

Dal 2008 la popolazione, per lo più contadina, è tornata alle proprie terre. Ma proprio in quello stesso anno arriva nella regione del Meta anche Poligrow Colombia Ltda, società di Poligrow Investments, attualmente diretta da Carlo Vigna. Poligrow Investments è a sua volta sussidiaria di Asja Ambiente, una società torinese presieduta da Agostino Re Rebaudengo, appartenente al gruppo Reba Capital UK, anch’esso con a capo Re Rebaudengo.

Poligrow si occupa di agroindustria e pertanto acquista una prima estensione di 5577 ettari di terreno per trasformarli in piantagioni di palma per la produzione di olio, nella proprietà chiamata Macondo, a Mapiripàn.

L’olio di palma è una produzione in crescita in tutto il mondo, poiché oltre all’uso massiccio nel settore alimentare (merendine, biscotti, creme), viene sempre più promossa come agro-combustibile. Vari studi ed inchieste hanno dimostrato le gravi conseguenze per l’ambiente determinate dalle piantagioni di olio di palma, che impoveriscono il suolo, contribuiscono alla deforestazione, consumano quantità esorbitanti di acqua, alterano l’equilibrio di flora e fauna e riducono notevolmente la biodiversità.

Comisiòn Justicia y Paz, una riconosciuta ONG di diritti umani colombiana, da tempo svolge ricerche sull’operato di Poligrow a Mapiripàn. Ad Agosto 2015 ha prodotto una inchiesta e un video che denunciano l’impatto devastante di questa impresa in un territorio fragile ambientalmente e socialmente, un territorio ancora oggi nel pieno del conflitto.

L’inchiesta della ONG evidenzia le gravi conseguenze ambientali determinate dalla presenza di palma da olio, in un luogo biodiverso e fragile quale quello di Mapiripàn, nonché le precarie condizioni di lavoro per i contadini delle piantagioni di Poligrow.

Ma c’è di più, Comisiòn Justicia y Paz dimostra anche che la modalità di acquisizione del terreno da parte dell’azienda ha violato la legge colombiana n.160 del 1994. I tre terreni di Macondo, I II e III comprati dall’azienda italiana al registro appaiono ancora come terra originariamente baldìa cioè non coltivata, libera. Questa tipologia di terre è protetta dalla legislazione, che la utilizza come meccanismo di compensazione della mancata riforma agraria. I contadini senza terra possono reclamare la terra baldìa, e normalmente riescono ad averne possesso per vie legali, nella misura massima delle UAF, unità agricole a dimensione familiare. Poligrow ha già superato questi limiti comprando tutti e tre i terreni di Macondo. L’acquisto irregolare avviene per via di una delibera di “eccezione alla legge”, concessa dalla sindaca di Mapiripàn, Maribel Mahecha, poi indagata e condannata per corruzione e peculato.

In ogni caso, essendo Macondo terra da cui la popolazione originale è stata desplazada, cioè costretta forzatamente a lasciare la terra a causa del conflitto, era necessario la controfirma alla delibera comunale da parte del “Comitato Locale per la Protezione dei Desplazados”, ma questo non avvenne mai e la terra fu comprata ugualmente.

Nell’inchiesta si riporta pure che Poligrow negli anni si è articolata in una serie di imprese correlate (Mesa Cardenas y Caces SAS, ITA Aceites Vegetales, Poligrow Agroindustria Ltda, tutte rappresentate legalmente da Carlo Vigna) e questo ha favorito l’espansione in modo tentacolare in altre terre vicine a Macondo, e ha permesso di aggirare i limiti dati dalla legge contro la concentrazione fondiaria.

Ma non è solo Comisiòn Justicia y Paz ad occuparsi di Poligrow. Il portale colombiano di informazione indipendente La Silla Vaciaracconta che nel 2008 è stata fatta dall’azienda italiana una sorta di promessa di acquisto di una estensione ben maggiore, i 70 mila ettari di Santa Ana, sempre nel municipio di Mapiripàn. Il pre-acquisto avviene nei confronti dei discendenti della famiglia di Dumar Aljure, leader politico regionale negli anni 40 e 50. Tuttavia al registro anche questa è terra baldìa, quindi teoricamente protetta dalla concentrazione latifondista. Sempre la già menzionata pubblicazione di Comisiòn Justicia y Paz denuncia che nel 2012 William Aljure, discendente della famiglia rimasto a Santa Ana, viene minacciato da paramilitari, in presenza dell’avvocato di Poligrow, e poi cacciato dalle proprie terre, e la sua casa viene distrutta. Infatti tra gli ulteriori gravi elementi riportati nell’inchiesta della ONG colombiana, vi sono casi di minacce e pressioni nei confronti dei contadini perché vendano le proprie terre.

Infine, altre testimonianze raccolte da Comisiòn Justicia y Paz raccontano che l’operato di Poligrow è affiancato da gruppi di paramilitari, i quali sono rimasti a controllare con violenza l’area di Mapiripàn, anche dopo il rientro dei desplazados nel 2008.

Dalla pubblicazione dell’inchiesta ad oggi sono aumentate in modo preoccupante le intimidazioni e le minacce da parte di gruppi paramilitari nei confronti dei membri di Comisiòn Justicia y Paz e di William Aljure, (oggi attivista della rete nazionale CONPAZ che lotta per la difesa della terra). Secondo la ONG le minacce sono chiaramente riconducibili al loro lavoro di denuncia verso Poligrow.

In questo scenario mentre Carlo Vigna si espone pubblicamente in Colombia, Agostino Re Rebaudengo, a capo di Asja Ambiente, rimane nell’ombra. Tuttavia considerando il gioco di scatole cinesi tra imprese, ricostruito da una ricerca sempre del portale La Silla Vacia, si può capire che è lui alla regia di questa strategia industriale. Re Rebaudengo è attualmente presidente di Assorinnovabili, l’associazione di industriali produttori di energia da rinnovabili – e l’olio di palma è purtroppo ritenuta una fonte di energia rinnovabile – è stato presidente del Teatro Stabile di Torino per 10 anni, la rete è ricca di suoi contributi in conferenze che parlano di green economy. Assieme alla moglie, Re Rebaudengo ha poi fondato una fondazione omonima che si occupa di promuovere giovani artisti.

Resistere in Colombia significa difendere la terra, palmo a palmo, dalla rapacità delle imprese multinazionali, che sono sostenute dalle strutture del paramilitarismo. Se quel conflitto in generale è un paradigmatico prodotto della violenza neoliberista, questa specifica vicenda, raccontata da attivisti e giornalisti colombiani, ci dimostra quanto anche l’imprenditoria italiana sia implicata direttamente nel sistema che genera ingiustizia, sfruttamento e violenza nel paese latinoamericano.

Sta a noi, vista la “vicinanza” con la questione, costruire reti di solidarietà e denuncia di quanto sta avvenendo, tanto più visto che, mentre all’estero si è occupato della questione perfino il Washington Post, in Italia vige il silenzio assoluto e complice.

 

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