Colombia, le armi in cambio della parola

Colombia, le armi in cambio della parola

il: 4 Luglio 2017

Dopo 41 anni le FARC lasciano la vita militare e formano un partito politico

Articolo uscito su  La Repubblica Online 

“Entro il 20 giugno l’ONU riceverà tutti i nostri armamenti – dicono i vertici delle FARC – da quella data la nostra unica arma sarà la parola”. Un processo iniziato con la firma degli accordi di pace fra il primo esercito guerrigliero della Colombia e il governo del presidente Juan Manuel Santos

di FRANCESCA CAPRINI

QUIBDO’ (dipartimento del Chocò, Colombia) – Attraverso un breve comunicato, il máximo jefe delle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia Rodrigo Londoño alias Timochenko, ha comunicato che fra pochi giorni terminerà la consegna definitiva delle armi da parte dei suoi soldati: “ Entro il 20 giugno l’ONU riceverà tutti i nostri armamenti.  Da quella data la nostra unica arma sarà la parola”. Un processo iniziato con la firma degli accordi di pace fra il primo esercito guerrigliero della Colombia – le FARC appunto –  ed il governo del Presidente Juan Manuel Santos, per mettere fine ad oltre mezzo secolo di conflitto interno fra guerriglie, esercito e paramilitari: una “guerra sporca” che ha fatto almeno 250.000 caduti, un numero imprecisato di dispersi e fra i 7 e i 10 milioni di sfollati interni. La più longeva dell’America latina.

La consegna delle armi. Alla consegna della prima parte delle armi, a marzo, eravamo in una delle  “Zonas Veredales Transitorias de Normalización (ZVTN)”, i 23 villaggi temporanei costruiti da ONU ed esercito colombiano in altrettante zone della Colombia dove gli oltre 8000 effettivi delle FARC si sono radunati, così come da accordi con il governo.  Primo di molti passi per il reinserimento dei guerriglieri nella vita civile, l’allontanamento dei guerriglieri fariani dalle proprie zone di influenza militare ha avito lo scopo di sottoporli alla cosiddetta giustizia transizionale, per decidere caso per caso chi possa godere di aministia, chi di indulto, chi di altre condanne. A noi era stato concesso di entrare per breve tempo nella ZVTN del 54° Frente, nel Chocò. Attraversata dal Rio Atrato, questa regione nel Nord Ovest del Paese ha una storia che coincide con le più crude narrazioni della guerra colombiana, fatta di sfollamenti forzati per mano di esercito e paramilitari, e centinaia di vittime degli scontri fra attori armati.

A colloquio col comandante Pablo Atrato. Il Capitano Pablo Atrato – nome di battaglia – ci riceve in una delle baracche della ZVTN fatta di teli di plastica azzurri e di assi. Il caldo è soffocante. “Da oggi inizia una nuova fase della nostra lotta”, ci dice, mentre fa accendere un piccolo generatore per azionare un ventilatore. Beviamo succo di pesca olandese: ”Sono le razioni di cibo dell’Onu”, spiegaNathalie Mistràl, una francese che da 15 anni fa parte delle FARC. E racconta come la sera prima i pasti fossero arrivati di notte, ormai disfatti. “Noi abbiamo orari da esercito: alle 18 andiamo a dormire e ci svegliamo alle 5. Ieri abbiamo digiunato e sarà così anche stasera, immagino. Ci trattano da vinti, è una loro tattica”.

Pablo è un uomo imponente. Afrodiscendente, alto quasi due metri. Da 30 anni nell’esercito fariano, ci racconta come gli accordi di pace siano il naturale proseguimento di una battaglia “contro il capitale, al fianco delle comunità”, che militarmente non era più sostenibile: ”Volevamo prendere il potere e cambiare le cose. Ora la nostra sarà una lotta politica contro chi si è davvero accaparrato le terre in questi anni, smascherando i veri burattinai della guerra sucia. Dobbiamo creare le condizioni per sovvertire l’economia neoliberista che in Colombia ha permesso i più grandi massacri. Saremo capaci di imporre la nostra verità? Questa è la scommessa”. Pablo racconta di come le FARC vogliano essere un laboratorio politico con vocazione territoriale: ”Saremo un movimento senza armi per lo sviluppo di progetti economici locali, sostenibili per ambiente e collettività. Abbiamo un lungo lavoro per recuperare la fiducia di parte della popolazione colombiana, che per anni ha immaginato le FARC come la mano dei peggiori fatti di sangue”.

La fragile fiducia negli accordi di pace. In effetti, buona parte dei colombiani – quelli che abitano nei grandi agglomerati urbani, o nelle vaste pianure del meridione – hanno dimostrato di avere una fiducia fragile negli accordi di pace, e il passaggio plebiscitario dello scorso 1 ottobre ha sancito una sconfitta del trattato appena firmato, che ha dovuto essere riscritto. “Nel frattempo – continua Pablo – noi viviamo come prigionieri in queste strutture fatiscenti senza possibilità di comunicare con l’esterno. Siamo circondati da paracos e non possiamo avere contatti con la gente della comunità”. Dalla firma degli accordi di pace – lo scorso 24 novembre – l’aumento della presenza paramilitare in molte zone del Paese è denunciata da comunità, organizzazioni civili ed osservatori internazionali.

Uccise 160 persone in 6 mesi. E il saldo degli assassinii fra difensori dei diritti umani e leaders comunitari, ha raggiunto la cifra di quasi 160 persone in 6 mesi. Nonostante questo, il Governo Santos continua a negare l’esistenza di forze paramilitari.  E mentre la Colombia cerca faticosamente di attraversare il momento forse più complesso – sul piatto ci sono la lotta alla coltivazione di droghe illecite, il risarcimento per di milioni di vittime del conflitto, la redistribuzione delle terre –  e l’altro esercito guerrigliero – l’Esercito di Liberazione Nazionale – è ancora lontano dal lasciare la lotta armata, le FARC lo scorso 27 maggio hanno festeggiato il loro ultimo compleanno, il numero 41, e si preparano per questo 20 giugno storico a lasciare per sempre la vita nella selva.

In corse alle elezioni del 2018. La Corte Costituzionale colombiana intanto si esprimerà a breve sulla costituzione del partito politico delle FARC, che scenderà in corsa alle prossime elezioni del 2018. Il timore che si ripeta il massacro dell’Union Patriotica – il partito politico che negli anni ’80 sorse come espressione dei gruppi guerriglieri,

oggetto di uno sterminio politico senza precedenti –  è comunque alto : “Sappiamo che la posta in gioco è alta – ha dichiarato ancora Timochenko – al nostro prossimo congresso a settembre decideremo quale sarà il nome del nostro partito”.