Colombia: la mano elenista nell’attentato a Bogotà

il: 23 Gennaio 2019

Sono passati alcuni giorni dall’attentato che lo scorso 17 gennaio ha ferito a morte la città di Bogotà: l’autobomba che è esplosa nella scuola di polizia Santander – uccidendo 21 giovani cadetti e provocando il ferimento di almeno 65 persone – ha creato un cordoglio generale, ma soprattutto la risposta immediata del governo Duque che fin dalle prime ore aveva attribuito all’esercito guerrigliero ELN la paternità della strage, rompendo unilateralmente il processo di pace e spiccando un mandato di cattura per una decina di guerriglieri.

Da due giorni si sa che in effetti è stato l’ELN: in un comunicato pubblicato nel portale ‘Eln-Voces’, la guerriglia sostiene che l’attacco è stato realizzato contro “un’ istallazione militare” come risposta all’assedio e agli omicidi perpetrati contro le proprie basi militari in varie parti del Paese. Il gruppo ha chiesto al presidente Iván Duque di inviare nuovamente “la sua delegazione di dialogo al tavolo negoziale” esistente a Cuba, affermando che “il cammino della Colombia non è la guerra, ma la pace”.

La situazione della Colombia – che dalla firma degli accordi di pace con le FARC- Ep nel dicembre del 2016 registra un’efferata ondata di violenza in particolare contro attivisti e leader comunitari – si complica ulteriormente.

Molte le organizzazioni per i diritti umani che chiedono al presidente Duque di non cadere nella trappola della violenza e di proseguire il cammino per la costruzione della pace. Ivan Cepeda, senatore del Polo Democratico, ha chiesto ufficialmente che venga rispettato il protocollo convenuto con l’ELN, e che non violi il diritto internazionale umanitario. “La società colombiana deve essere unita e chiedere sia al governo che alla guerriglia di tornare a sedersi alla tavola del dialogo”.

Il presidente Duque fin dalla campagna elettorale dell’anno scorso aveva improntato parte del suo programma politico proprio alla chiusura degli accordi di pace con gli elenos e al non rispetto di parte degli accordi di pace già sottoscritti dal precedente governo Santos con le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia – FARC.

E mentre la Norvegia – in qualità di Paese garante del processo di pace – con una conferenza stampa risponde alla Cancelleria colombiana che il suo compito di traghettare verso la pace la Colombia non può venir meno, il presidente Duque insiste per la rottura unilaterale degli accordi e l’estradizione dei 10 capi elenisti che in questo momento sono sotto la protezione del governo cubano.

In questo delicato contesto diplomatico, la comunità internazionale si cela per la grande maggioranza dietro un assordante silenzio: Federica Mogherini come Alto Rappresentante EU ha condannato l’attentato, mentre l’ambasciatrice UE per la Colombia Patricia Llombart ha espresso il suo cordoglio.

Ma è solo la Germania ad esporsi, chiedendo esplicitamente al governo Duque di non rinunciare al processo di pace in corso.

L’appello più forte parte comunque dalle comunità colombiane, appoggiate dalle organizzazioni per i diritti umani fra cui Justicia y Paz Colombia: l’escalation di dichiarazioni forti da parte del governo colombiano non lasciano spazio ad elaborazioni più complesse e non menzionano il dato più terrificante della guerra interna colombiana: i 400 leaders assassinati – cifra che è frutto delle relazioni della Onu, della Defensoría, di Marcha Patriótica e della Cumbre Agraria – dalla firma degli accordi di pace, per interrompere ogni forma di auto organizzazione dal basso e di costruzione di dinamiche di pacificazione nei territori.

Il 2019 è iniziato nel peggiore dei modi, con il ritmo di un defensores al giorno ammazzato, a causa delle dinamiche che stanno alla base del conflitto colombiano, e che vedono gruppi paramilitari, narcos, guerriglia e connivenza con l’esercito colombiano, costruire una braccio mortifero in quasi tutte le regioni della Colombia.