25 novembre, cambiare il sistema non le donne.

il: 24 Novembre 2015

25 novembre giornata internazionale contro la violenza sulle donne: un problema sociale, culturale. ma anche economico. Oggi i sistema capitalista si accanisce sulle risorse, e copisce le donne…

“Tornando in aereo dall’Afghanistan, verso l’India, viaggiavo vicino ad una coppia. La donna portava il burka. Ci siamo scambiate biscotti e qualcosa da mangiare…non ci si capiva, ma era nata un’immediata simpatia. Ad un certo punto dirottarono l’aereo verso Kandahar. All’aeroporto sono saliti militari armati. La mia vicina subito mi fece segno di coprirmi e mi buttò il burka sulla testa, salvandomi dai talebani che mi avrebbero sicuramente scendere dall’aereo. Si era santa un rischio enorme. Le donne proteggono e si prendono cura, ti cullano, ti consigliano, ti abbracciano. Con la nostra superiorità occidentale a volte noi pensiamo di andare a fare chissacchè  favore. Ma poi sono loro che lo fanno a te…”. 

nocem

E’ l’inizio della bella intervista a Nocem Collado, la regista che venerdì 20 novembre è stata ospite per Yaku alla Scuola dell’Acqua con il suo meraviglioso documentario “La Mujer y el Agua”, vincitore del cosiddetto Oscar Verde 2015, il Premio per il miglior film al Green Film Network. L’intervista completa uscirà per a rivista spagnola “Gansos Salvajes”.

L’acqua e la donna”, il docufilm che è entrato in concorso al festival cinematografico curato da Mandacarù “Tutti nello Stesso Poster-of-the-film-610x900Piatto”, è un affresco poetico e durissimo in quattro capitoli sulla condizione della donna indiana rispetto all’accesso all’acqua.

Venerdì con Nocem abbiamo parlato di questo 25 novembre, giornata internazionale della violenza contro le donne. E siamo giunte alla stessa conclusione: in questo momento storico, l’oppressione e lo sfruttamento delle donne è strettamente connesso con l’egemonia dell’attuale sistema economico, sociale, culturale, la privatizzazione delle risorse e la difesa delle stesse da parte delle donne nel mondo.

Di fronte alla propria crisi sistemica, il capitalismo cerca una ristrutturazione ampliando i meccanismi di accumulazione violenta che sono presenti fin dalle sue origini e possono essere raggruppati in quattro processi: l’accaparramento della Natura e delle sue risorse, l’appropriazione dei diritti dei lavoratori e dei loro guadagni; il controllo del corpo e della vita delle donne; la militarizzazione dei territori e la criminalizzazione delle lotte.

Gli attori di questo capitalismo e del patriarcato hanno una faccia ben riconoscibile: sono le multinazionali dell’industria mineraria, degli agrocombustibili e dell’industria farmaceutica; le corporations che privatizzano la nostra acqua, la terra, i semi, i saperi tradizionali, e che intentano di imporre stili di consumo e di bellezza; sono i settori dell’estrema destra, e i fondamentalisti religiosi, che tentano di far retrocedere i diritti conquistati dalle donne; sono le banche, coloro che dettano le norme delle nuovi schiavitù attraverso trappole di continui indebitamenti, che siano di stati o di individui. E sono anche gli uomini che, come gruppo sociale, detengono privilegi che favoriscono questa oppressione verso le donne, ed esercitano il loro potere su di loro.

25 novCon la risoluzione numero 54/134 del 17 dicembre 1999, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha designato il 25 novembre come Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne e ha invitato i governi, le organizzazioni internazionali e le ONG a organizzare attività volte a sensibilizzare l’opinione pubblica in quel giorno. L’Assemblea Generale dell’ONU ha ufficializzato una data che fu scelta da un gruppo di donne attiviste, riunitesi nell’Incontro Femminista Latinoamericano e dei Caraibi, tenutosi a Bogotà nel 1981. Questa data fu scelta in ricordo del brutale assassinio nel 1960 delle tre sorelle Mirabal, considerate esempio di donne rivoluzionarie per l’impegno con cui tentarono di contrastare il regime di Rafael Leónidas Trujillo (1930–1961), il dittatore che tenne la Repubblica Dominicana nell’arretratezza e nel caos per oltre 30 anni.

Le donne sono la forza del mondo, la sua spina dorsale,lo spirito.

Belle parole che si sentono ripetere a volte con intensità, a volte con vuotezza sconfortante. In India, ma anche in America latina, dove Yaku lavora, spirito ed ossa al femminile si concretizzano in azioni quotidiane e politiche che formano una pasta poetica, forte e permeante. Per esempio in Colombia gli acquedotti comunitari, forme di sussistenza idrica che le comunità si sono inventate per poter accedere all’acqua, sono spesso gestiti da donne.

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Questi acquedotti più o meno artigianali, solidali e rispettosi dell’ambiente, danno da bere a milioni di persone – almeno 4, un decimo dell’intera popolazione colombiana. Alcune di queste donne le stiamo incontrando ed intervistando:  c’è Andrea, figlia di desaparecidos, cresciuta orfana, già madre a 16 anni. Ha cominciato ad occuparsi di acqua quando nella sua comunità nella zona periurbana di Medellin hanno staccato l’approvvigionamento idrico a 45 famiglie su 230 perché non avevano soldi per pagare quelle bollette che in pochi anni erano cresciute in maniera esponenziale. Nella difesa del bene comune acqua, nella gestione partecipata dell’acquedotto, Andrea ha trovato un ruolo. Ha cominciato a studiare, fra qualche mese riuscirà a prendere un diploma in gestione amministrativa:”Le donne sono più attente, sono più precise, e soprattutto, meno conflittive, nella gestione degli acquedotti. A casa siamo picchiate, relegate, maltrattate. Ma attorno agli acquedotti sta nascendo qualcosa che ci fa rispettare, e siamo sempre di più”, ci ha detto. C’è la signora Johana, afrodiscendente originaria del Chocò, che è sempre stata una leader della sua comunità. Fin dai tempi del desplazamento, quando i paramilitari, una dozzina di anni fa, hanno fatto strage del suo popolo e l’hanno allontanata dalle terre che da sempre abitavano lungo il Rio Cacarica, la gente ascoltava lei. “Abbiamo dovuto lasciare le nostre case, i nostri campi, i nostri morti. Qui abbiamo ricostruito la nostra vita. Non c’era acqua, ci siamo organizzati. L’acqua è per tutti, da noi non si paga. Io sono la referente. Ho sempre preso decisioni, ma alla fine gli uomini si prendevano il merito. L’acqua è connessa alle donne. E’ il nostro vero territorio”.

L’acqua è vita e anche motivo di riscatto per le donne. Ma anche di minaccia e di morte.

C’è Máxima Acuña, la piccola donna peruviana che sta affrontando con altre compagne una battaglia esemplare in difesa del suomaxima territorio e dei suoi laghi sacri contro la Minera Yanacocha — costituita da un cartello con Newmont Mining Corporation (51,35%), Compañía de Minas Buenaventura (43,63%) y Corporación Financiera Internacional (5%).

Anche ieri, a Maxima hanno distrutto la casa: ancora una volta, la piccola donna – che è minacciata, è stata denunciata, portata in carcere, rilasciata – ha rimesso insieme le quattro assi della sua baracca dove vive con la sua famiglia: “Amiamo le nostre montagne – dice – le nostre valli, i nostri fiumi. Questa è la vera ricchezza. Dove uno vede progresso, altri vedono l’agonia della nostra Pacha Mama”

Dall’India al Perù, dalla Colombia al’Italia: si può pensare quello che si vuole, delle giornate mondiali dedicate ai grandi temi. Ma sulla questione di genere, noi diciamo che finchè non si andranno a scoperchiare e combattere le vere cause della violenza e dell’oppressione delle donne, non ci sarà risoluzione, giornata mondiale, obiettivo del millennio o ennesima Ong, a trovare soluzione o strumento efficace.

La privatizzazione dell’acqua e delle risorse sono colpiscono in primis la donna. Le multinazionali che nei Paesi si accaparrano con la violenza le terre, fanno delle donne – tre volte svantaggiate, perché povere, indigene o contadine, discriminate – l’anello su cui l’efferatezza di questo sistema si accanisce tentando di spaccare tutta una catena. E finchè l’Onu, le mille associazioni ed istituzioni che si occupano di donne e bambini e di questioni di genere, non denunceranno con forza la commistione criminale che esiste fra economia capitalista e povertà, la privazione di diritti basici e l’orrore della schiavitù e della sottomissione femminile al patriarcato, non ci sarà 25 novembre che serva.