25 novembre, giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne: parliamone fuori dall'ipocrisia

il: 21 Novembre 2013

L’oppressione e lo sfruttamento delle donne è strettamente connesso con l’egemonia dell’attuale sistema economico, sociale, culturale.

Di fronte alla propria crisi sistemica, il capitalismo cerca una ristrutturazione ampliando i meccanismi di accumulazione violenta che sono presenti fin dalle sue origini e possono essere raggruppati in quattro processi: l’accaparramento della Natura e delle sue risorse, l’appropriazione dei diritti dei lavoratori e dei loro guadagni; il controllo del corpo e della vita delle donne, la militarizzazione dei territori e la criminalizzazione delle lotte.

Gli attori di questo capitalismo e del patriarcato hanno una faccia ben riconoscibile: sono le multinazionali dell’industria mineraria, degli agrocombustibili e dell’industria farmaceutica; le corporations che privatizzano la nostra acqua, la terra, i semi, i saperi tradizionali, e che intentano di imporre stili di consumo e di bellezza; sono i settori dell’estrema destra, e i fondamentalisti religiosi, che tentano di far retrocedere i diritti conquistati dalle donne; sono le banche, coloro che dettano le norme delle nuovi schiavitù attraverso trappole di continui indebitamenti, che siano di stati o di individui. E sono anche gli uomini che, come gruppo sociale, detengono privilegi che favoriscono questa oppressione verso le donne, ed esercitano il loro potere su di loro.

In agosto, oltre 1600 donne provenienti da 50 paesi diversi si sono trovate a San Paolo, in Brasile, per il nono incontro della Marcia Mondiale delle Donne, l’organizzazione mondiale che dal ’95 si occupa di studiare e combattere i fenomeni sociali ed economici che, amplificati dalla globalizzazione, impoveriscono  donne in tutto il mondo, rendendole più vulnerabili e meno capaci di difendere i propri figli.

Una Carta Mondiale delle Donne stabilisce 5 valori e 31 affermazioni del mondo che come donne, vogliamo costruire. In questo mondo, lo sfruttamento l’oppressione, l’intolleranza e l’esclusione, saranno abolite, e l’integrazione, la diversità, i diritti e le libertà di tutte le donne e gli uomini saranno rispettati. Un mondo basato su 5 pilastri: uguaglianza, libertà, solidarietà, giustizia e pace.

“Siamo sindacaliste, studentesse, militanti; siamo lavoratrici, siamo differenti, ma simili. Unite e plurali vogliamo che le nostre azioni accelerino il lento progresso verso l’uguaglianza e l’autonomia delle donne. Siamo forti con una forte voce comune che parla a nome di tutte le donne. Siamo impegnate nella costruzione di un mondo migliore” (Marcia Mondiale delle Donne)

Con la risoluzione numero 54/134 del 17 dicembre 1999, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha designato il 25 novembre come Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne e ha invitato i governi, le organizzazioni internazionali e le ONG a organizzare attività volte a sensibilizzare l’opinione pubblica in quel giorno. L’Assemblea Generale dell’ONU ha ufficializzato una data che fu scelta da un gruppo di donne attiviste, riunitesi nell’Incontro Femminista Latinoamericano e dei Caraibi, tenutosi a Bogotà nel 1981. Questa data fu scelta in ricordo del brutale assassinio nel 1960 delle tre sorelle Mirabal, considerate esempio di donne rivoluzionarie per l’impegno con cui tentarono di contrastare il regime di Rafael Leónidas Trujillo (19301961), il dittatore che tenne la Repubblica Dominicana nell’arretratezza e nel caos per oltre 30 anni.

All’inizio di novembre eravamo proprio a Bogotà. Si era appena conclusa la Cumbre Nacional de Mujeres y Paz: 400 partecipanti di diverse organizzazioni colombiane  ed internazionali si erano incontrate per dibattere ed organizzare la partecipazione diretta come colombiane, nel dialogo di pace fra Armadas Revolucionarias de Colombia-Ejército del Pueblo (FARC-EP) ed il governo di Santos.

Convocata sotto l’egida dell’ONU, partecipata da rappresentanti di organizzazioni e di movimenti sociali, la Cumbre aveva elaborato nella tre giorni una serie di proposte che se da una parte raccoglievano i diversi aspetti della vita delle donne nel mezzo del conflitto armato colombiano – sparizioni, violenze, fame – dall’altra si ergevano come protagoniste e parte della soluzione. “Le donne sono le principali vittime di questo conflitto: subiscono violenze sessuali, sotterrano i loro figli, vengono sfollate: devono essere parte del percorso di pace!”. I negoziati che dal novembre dello scorso anno vedono governo ed eserciti guerriglieri dibattere su una possibile uscita dal conflitto armato, si sono prefissi di analizzare sei punti: sviluppo agrario, fine del conflitto e smobilitazione degli eserciti, narcotraffico, riconoscimento dei danni alle vittime. Il sesto punto, il referendum sul percorso di pace, è stato recentemente aggiunto.

 La creazione di una commissione di verità per una giustizia vera e con riparazione è la prima e più forte proposta.  Piedad Cordoba, la referente del movimento politico Poder Ciudadano, commentava come la partecipazione delle donne in questo processo di pace sia quanto mai urgente. La spagnola Manuela Mesa, direttrice del Centro de Educación e Investigación para la Paz (CEIPAZ), sottolineava come ormai sia il momento di andare più in là del concetto di donna – vittima. “La risoluzione 1325 approvata nel 2000 dal consiglio di sicurezza dell’Onu ha voluto riconoscere la necessità di proteggere le donne dalla violenza e riconosce la donna come attore di pace, per la prima volta nella storia. Anche nella stessa Onu c’è bisogno di una maggiore partecipazione femminile. In ogni caso, la Colombia non ha recepito questa risoluzione”. Dalla Cumbre la visione al femminile è molto chiara anche su tematiche come educazione, salute, riabilitazione delle vittime. Sia in Sud Africa che in Irlanda del Nord, le donne sono  obbligatoriamente rappresentate per un terzo in ogni partito e in ogni gruppo di lavoro: si è creata così una forte tradizione di attivismo per la pace al femminile. La speranza è che anche nella Colombia di questi mesi, dove il cambiamento politico è tangibile, sia possibile il protagonismo delle donne per una pace reale e duratura.

Le donne sono la forza del mondo, la sua spina dorsale,lo spirito. Belle parole che si sentono ripetere a volte con intensità, a volte con vuotezza sconfortante. In Colombia, come da molte altre parti, spirito ed ossa al femminile si concretizzano in azioni quotidiane e politiche che formano una pasta poetica, forte e permeante.

Per esempio, gli acquedotti comunitari, forme di sussistenza idrica che le comunità si sono inventate per poter acceder all’acqua.

Le politiche assetanti dei governi che si sono succeduti in Colombia stanno svendendo a pezzi il Paese, e l’acqua è come moneta corrente. Questi acquedotti più o meno artigianali, solidali e spesso rispettosi dell’ambiente, danno da bere a milioni di persone – almeno 4, un decimo della’intera popolazione colombiana. Molti sono gestiti da donne.

Io ne ho incontrate ed intervistate almeno venti. C’è Andrea, figlia di desaparecidos, cresciuta orfana, già madre a 16 anni. Ha cominciato ad occuparsi di acqua quando nella sua comunità nella zona periurbana di Medellin hanno staccato l’approvvigionamento idrico a 45 famiglie su 230 perché non avevano soldi per pagare quelle bollette che in pochi anni erano cresciute in maniera esponenziale. Nella difesa del bene comune acqua, nella gestione partecipata dell’acquedotto, Andrea ha trovato un ruolo. Ha cominciato a studiare, fra qualche mese riuscirà a prendere un diploma in gestione amministrativa:”Le donne sono più attente, sono più precise, e soprattutto, meno conflittive, nella gestione degli acquedotti. A casa siamo picchiate, relegate, maltrattate. Ma attorno agli acquedotti sta nascendo qualcosa che ci fa rispettare, e siamo sempre di più”.

C’è la signora Johana, afrodiscendente originaria del Chocò, che è sempre stata una leader della sua comunità. Fin dai tempi del desplazamento, quando i paramilitari, una dozzina di anni fa, hanno fatto strage del suo popolo e l’hanno allontanata dalle terre che da sempre abitavano lungo il Rio Cacarica, la gente ascoltava lei. “Abbiamo dovuto lasciare le nostre case, i nostri campi, i nostri morti. Qui abbiamo ricostruito la nostra vita. Non c’era acqua, ci siamo organizzati. L’acqua è per tutti, da noi non si paga. Io sono la referente. Ho sempre preso decisioni, ma alla fine gli uomini si prendevano il merito. L’acqua è connessa alle donne. E’ il nostro vero territorio”.

L’acqua è vita, e in Colombia è anche motivo di riscatto per le donne. Ma anche di morte.

Adelinda Gómez Gaviria   era una grande leader contadina del Cauca. Ha dedicato la sua vita al lavoro comunitario. Quando le minerias delle multinazionali hanno cominciato a dividersi il Macizo Colombiano come un osso fra cani, Adelinda fece della difesa di queste terre la sua lotta. Diventa parte del CIMA – CNA (Comité de Integración del Macizo Colombiano – Coordinador Nacional Agrario), organizza un Foro Minero y Ambiental al quale parteciparono più di 1500 persone. Il 30 settembre è stata ammazzata in un’imboscata. Dopo tante minacce, alla fine ce l’hanno fatta.

”Cuánto puede valer la vida de una madre? ¿La vida de una mujer? ¿Cuánto vale la vida?”si sono chieste le donne sue compagne, quelle della Rete delle Donne Latinoamericane in difesa dei diritti sociali ed ambientali.

Imprese europee (Vivendi, Suez e Thames Water) controllano il 90% dei servizi idrici del continente, 270 milioni di utenze. La Banca Mondiale ha sempre dato priorità alla privatizzazione dei servizi esigendo che questo fosse una condizione necessaria per futuri prestiti. Di fatto, la privatizzazione dell’acqua e l’eliminaizone di sussidi è stata una condizione alla base di almeno il 30% dei suoi accordi con vari Paesi. Privatizzazioni che – Cochabamba insegna – non accettavano una reversibilità al pubblico, pena multe salatissime. La Commissione Europea nel frattempo, pubblica il Blueprint sull’acqua, facendo finire l’Oro Blu nella grande famiglia della “green economy”. Con la finanziarizzazione della natura le grandi imprese cercano di utilizzare gli strumenti finanziari derivati per speculare sulle risorse collettive, creare nuovi mercati, e in fin dei conti controllarli a proprio vantaggio. Esempi di questa mercificazione sono i sistemi di scambio di diritti, il Pagamento di Servizi Ecosistemici (PES). La Riduzione delle Emissioni dovute alla Deforestazione e al Degrado delle Foreste (REDD) e la creazione di mercati e banche dell’acqua.

All’inizio del mese di settembre si è conclusa, in tutti  i Paesi dell’Unione Europea, la campagna di raccolta delle firme per l’Iniziativa dei Cittadini Europei –  ICE, finalizzata al fatto di sancire che l’acqua è bene  comune e diritto umano universale e che il servizio  idrico non può essere privatizzato: 1 milione e  900.000 firme raccolte in tutt’Europa, 1 milione e  200.000 nella sola Germania, superando di molto il  traguardo di 1 milione di firme per dichiarare valida  l’ICE. Ma ascolterà, l’Unione Europea, questa forte indicazione verso l’acqua come diritto umano ed ambientale, e bene comune, arrivato da ben 13 paesi? Vedremo.

 Si può pensare quello che si vuole, delle giornate mondiali dedicate ai grandi temi. Spesso promuovono anche qualche sottile fastidio. Forse è quel sapore di ipocrisia di fondo, consapevole o inconsapevole. Sulla questione di genere, noi diciamo che finchè non si andranno a scoperchiare e combattere le vere cause della violenza e dell’oppressione delle donne, non ci sarà risoluzione, giornata mondiale, obiettivo del millennio o ennesima Ong, a trovare soluzione o strumento efficace.

La privatizzazione dell’acqua e delle risorse sono colpiscono in primis la donna. 

Le multinazionali che nei Paesi si accaparrano con la violenza le terre, fanno delle donne – tre volte svantaggiate, perché povere, indigene o contadine, discriminate – l’anello su cui l’efferatezza di questo sistema si accanisce tentando di spaccare tutta una catena. E finchè l’Onu, le mille associazioni ed istituzioni che si occupano di donne e bambini e di questioni di genere, non denunceranno con forza la commistione mafiosa e criminale che esiste fra economia capitalista e povertà, la privazione di diritti basici e la connessione fra questo piano e i fondamentalismi culturali che ancora, rendono più profondo quel solco culturale dove si annidano l’orrore della schiavitù e della sottomissione femminile al patriarcato, non ci sarà 25 novembre che non ci faccia venire prurito in gola ed amaro sulla lingua.

 Francesca Caprini