5 donne per un'economia migliore: all'OltrEconomia Festival, il prossimo 3 giugno

il: 30 Maggio 2016

“La misura femminile dell’economia” è il titolo volutamente ampio per un incontro – quello del 3 giugno alle ore 17.00, all’interno dell’Oltreconomia festival – che vorrà provare a restituire la complessità di un argomento di cui si fa ancora fatica a parlare almeno, da questa parte del mare, ed è il rapporto fra economia e donna, nella misura in cui le donne possano avere uno sguardo privilegiato nel evidenziare – e magari correggere – le storture dell’attuale sistema economico.

E’ dedicato a Bertha Cacères, l’attivista honduregna assassinata solo pochi mesi fa per la sua lotta in difesa del territorio indigeno Lenca: Bertha è un simbolo – forse solo l’ultimo in ordine temporale – della strenua difesa della donna verso la Natura, che paga con la vita l’aver messo in discussione un sistema ingiusto e biocida.

Lo affronteremo con un gruppo di donne variegato e rappresentativo:cinque racconti di vita e di politica, che si intrecceranno disegnando una geografia economica ed umana straordinaria: la Palestina di Stephanie Westbrook, l’Afghanistan di Gabriella Ghidoni, l’America latina che darà il “la” alle riflessioni, l’Africa di Agitu Ideo, e la visione economica “tecnica” di una bocconinana, Elena Sisti, che mette in luce l’urgenza di una visione di genere dell’economia, capace di rappresentare la crisi sistemica del nostro sistema economico.

elena sistiElena Sisti è consulente  di project finance e di analisi macroeconomica, ma anche per organizzazioni non profit. Con  un master alla London School of Economics, ha lavorato come economista per la New Economics Foundation (think-tank economico indipendente) su tematiche di sviluppo economico e sostenibilità. E’ coautrice de “Le donne che reggono il mondo” pubblicato per Altreconomia. “Le donne del mondo ogni giorno vanno a lavorare, preparano da mangiare, puliscono le case, coltivano le terre, cuciono i vestiti, partoriscono, educano e curano i bambini – spiega Elena –  si prendono cura degli anziani e delle persone deboli delle comunità. La maggior parte di tutto questo non lascia traccia nelle statistiche ufficiali, solo il lavoro formale verrà rilevato nel calcolo del PIL, anche se nessuno mette in discussione il contributo di queste attività al benessere delle nostre società. Possiamo tentare un’altra strada?”

L’economia capitalista per ragioni storiche e politiche, ha uno stampo maschile – dalla rivoluzione industriale, la divisione del lavoro è stata netta, è di conseguenza, i valori che ne sono derivati – quindi non valorizza esperienze, occupazioni e visioni, praticate dalle donne, ed incide negativamente di più sull’universo femminile in termini economici.

Un mondo in preda al dogma dell’accumulazione ha creato dunque rigide barriere economiche, politiche e culturali: tanto nel cosiddetto Sud del mondo, come nel Nord,  la divisione sessuale del lavoro è statisticamente rilevante, con le donne relegate in posizioni subordinate nell’economia e nella societá; il lavoro di riproduzione sociale (scuola, sanitá, servizi sociali, cooperazione, lavoro domestico, agricoltura familiare, etc) ed il valore d’uso ad esso associato, ne è svalorizzato. Nonostante i diritti conquistati dalle donne nel corso dell’ultimo secolo, la dicotomia tra produzione e riproduzione è ben salda.

Ma le crisi che attraversano il nostro tempo stanno anche rendendo visibile un protagonismo femminile, che viaggiando su altre dimensioni concettuali e pratiche, sta offrendo un’alternativa possibile: la valorizzazione del ruolo della donna non significa diventare maggiore capacità di competizione in un mondo votato al profitto, ma mettere in discussione le attuali regole di mercato e di potere. La crisi ecologica in particolare racconta di donne in prima linea per la difesa dell’acqua, della terra, della vita, in molti territori di conflitto. Molti movimenti sociali sono a guida o componente maggioritaria femminile: contro i rifiuti tossici, il nucleare, l’attivitá estrattiva, la deforestazione e i pesticidi, le grandi dighe e altri progetti ad alto impatto ambientale in diversi contesti geografici. Le lotte contro la deforestazione in India, originate con il movimento Chipko negli anni ‘70, quelle per la giustizia ambientale negli USA, nate verso il finire degli anni ’80, il femminismo indigeno/comunitario dell’ America Latina nell’ultimo decennio in reazione all’impatto territoriale del neo-estrattivismo, sono solo alcuni esempi di questo fenomeno; anche in Italia l’ultimo decennio ha visto un proliferare di movimenti e lotte a guida femminile per la difesa del territorio, tra cui quelle contro discariche e inceneritori in Campania, quelle contro l’ILVA di Taranto, per l’acqua pubblica. Un’economia frutto di un lungo processo storico che prevede lo smantellamento del welfare e dei servizi pubblici, la finanziarizzazione della Natura, e l’accaparramento delle risorse: attivismo e scelte al femminile fanno parte di un protagonismo delle donne in questo campo

“Le donne palestinesi che lottano per il diritto all’acqua e contro l’apartheid ne sono un esempio – racconta Stephanie stefanieWestbrook,  ingegnere informatico statunitense, impegnata da anni nei movimenti per i diritti umani, più recentemente nei movimenti di solidarietà con la Palestina. Attualmente è referente nazionale per BDS Italia, la sezione italiana del movimento a guida palestinese per il boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS) nei confronti di Israele – campagne importanti, che si sono dimostrate capaci di causare sia danni d’immagine che economici, portando le imprese coinvolte a agituporre fine alle complicità con violazioni dei diritti umani”. Anche Agitu Ideo, che si è laureata con una tesi sul landgrabbing in Etiopia, suo paese d’origine, racconta delle lotte in difesa della terra contro il fenomeno dell’accaparramento da parte delle multinazionali:  lei stessa ne è un esempio: profuga politica, è arrivata in Trentino qualche anno fa è ha fatto del suo amore per la terra una professione: produce formaggi ed alleva capre in maniera biologica e rispettosa di animali ed ambiente. Gabriella Ghidoni  è fondatrice della Onlus Arte-fatto e Royah. Psicologa, imprenditrice sociale, facilitatrice di ghidoniprocessi, si occupa di sviluppare mercati per artigiani e produttori di paesi emergenti e in via di sviluppo. Ha lavorato con la Cooperazione Internazionale tra Sierra Leone, Afghanistan, Zambia, Pakistan, Bangladesh, Indonesia e India.  Con Royah ha lavorato in Afghanistan per sette anni. Con lei si concluderà l’elaborazione attorno alla riflessione critica del nostro sistema economico, guardato con le lenti del genere, ma attraversato anche da riflessioni ecofemministe: un’economia che dia maggiore peso al valore sociale del lavoro, al rispetto della Natura e alla valorizzazione del ruolo della donna, non è vero che metterebbe in crisi il comparto occupazionale e produttivo globale: può essere una soluzione.

Con l’incontro “La misura femminile dell’economia” vogliamo provare insieme non solo a rendere alcuni concetti e testimonianze che raccontino lo sguardo delle donne e le loro proposte in seno ad una rivoluzione ecologica e della produzione, ma raccontare le alternative possibili che da questa visione possono scaturire, mirando al superamento della dicotomia  di produzione e riproduzione così come quello di uomo – donna, e dunque di orientare nuove strategie, piú efficaci e politicamente radicali, di uscita dalla crisi.