Colombia: dopo il No del referendum agli accordi di Pace

il: 20 Ottobre 2016

Le FARC, all’indomani del sorprendente risultato referendario che in Colombia ha visto vincere il NO agli accordi di pace siglati lo scorso 26 settembre con il Governo di Manuel Santos, hanno scritto un comunicato: “Le Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia lamentano che il potere distruttivo di coloro che seminano odio abbia potuto influire sull’opinione pubblica colombiana. Con questo risultato sappiamo che il nostro compito è ancora più grande. Le FARC mantengono la propria volontà di usare solo la parola come arma di costruzione verso il futuro. Al popolo colombiano che sogna la pace noi diciamo: conta su di noi, la pace trionferà”.

C’erano voluti 4 anni di negoziati – tenutisi all’Avana, con Cuba e la Norvegia come garanti – per giungere all’accordo che aveva siglato la fine al più lungo conflitto armato dell’America latina, la guerra civile della Colombia. 52 anni e 267.000 morti, 50.000 desaparecidos, 7 milioni di sfollati. E uno smembramento violento della società, stretta fra attori armati – eserciti guerriglieri, paramilitari, esercito governativo – e narcotraffico.

Lo scorso settembre la stretta di mano fra Santos e il guerrigliero Timochenko aveva siglato il complesso accordo che in sei punti – il riconoscimento dei danni alle vittime, la redistribuzione delle terre, il protagonismo delle donne, i crimini di Stato, l’abbandono delle armi di 8000 guerriglieri – avrebbe potuto ridisegnare la vita dei colombiani in pace. La tornata referendaria – fortemente voluta dal Presidente, per blindare la propria solidità politica sul piano internazionale – sembrava una formalità. Ieri la doccia fredda: astensione del 62.58%, vittoria del NO agli accordi con il 50.21% .

 

Yohana Lopez Almeida lavora per la difesa dei diritti umani nella Commissione Interecclesiale Justicia y Paz, organizzazione che da trent’anni accompagna comunità indigene, contadine ed afrodiscendenti nei territori di conflitto e che ha avuto voce nei negoziati di pace. Yohana è stata a Trento il 3 marzo scorso, invitata dall’associazione Yaku per la conferenza “Donne in difesa della Madre Terra”, e ricevuta dall’assessora alla Solidarietà internazionale Sara Ferrari: “Stavamo vivendo in momento di speranza – ci racconta Yohana, raggiunta telefonicamente – Questo risultato dimostra che ha pesato la paura della perdita dei diritti nella borghesia latifondista legata alle forze di destra e la retorica sulla depenalizzazione dei reati ascritti alle FARC. Ora è importante andare avanti per salvare il senso degli accordi, lottare ancora di più perché questo paese incontri la pace. E riproporre la creazione di un’assemblea costituente. La preoccupazione più grande – continua Yohana  – riguarda la ristrutturazione di forze neoparamilitari nei settori dove le FARC stanno ritirandosi. In questo panorama, la presenza delle organizzazioni umanitarie sui territori è fondamentale ”.

Il ruolo  della società civile rimane centrale: “Sono le comunità a poter costruire la pace. Il governo Santos appartiene ad una tradizione politica che ha permesso un uso dei territori arbitrario e incurante delle sorti della popolazione – conclude Yohana –  l’affanno del passaggio referendario nascondeva la necessità di poter promettere le terre colombiane alle majors straniere”. E a guardare la divisione delle regioni che hanno votato per il si e per il no, l’idea è chiara: i territori frontalieri, che più hanno subito l’impatto della guerra, hanno votato a favore degli accordi; le regioni interne, roccaforte dell’ex presidente della Repubblica Alvaro Uribe, legato ai grandi terratenientes e protagonista di una violenta campagna di opposizione, è dove il no ha dilagato.

“Le comunità continueranno in resistenza, denunciando i danni ambientali e sociali che le multinazionali stanno provocando – conclude l’attivista colombiana – L’appoggio alle scuole comunitarie e la diffusione dei contenuti degli accordi nei territori sarà ancora più essenziale”. Esponenti di Justicia y Paz sono stati invitati regolarmente in Trentino Alto Adige per denunciare ciò che accadeva nel loro Paese. Testimoni di una pace possibile, che si realizzerà anche grazie ai legami fra territori lontani geograficamente, ma vicini nelle lotte per la giustizia.