L’Isis e l’Imperialismo Saudita raccontato da Terence Ward

il: 2 Giugno 2016

“Il re è nudo? Lo sanno tutti ma nesssuno fa niente e si parla d’altro. Di guerra tra civiltà, tra religioni, tra il mondo occidentale e quello arabo. E mai di imperialismo Saudita – wahabita che muove le fila della corrente maggioritaria mussulmana sunnita –  cioè dei primi finaziatori non solo dell’Isis ma anche del fondamenatalismo sunnita che ha dato origine prima alla riconquista Talebana dell’Afganistan, e poi della nascita di Al Qaeda. E allora perché chi finanzia il terrorismo, le azioni dei “martiri di Allà” che hanno macchiato di sangue anche l’occidente, è il miglior alleato arabo degli Stati Uniti e dell’Unione Europea? Perché si guarda altrove e non in Arabia Saudita dove milioni di petrodollari vengono dirottati verso Raqqa e il sedicente Stato islamico?” Terence Ward, scrittore, documentarista statunitense e profondo conoscitore del mondo mediorientale, che ha diviso la sua vita tra Arabia Saudita, Egitto, Iran, Stati Uniti come consulente economico e adesso vive a Firenze, lo spiega da tempo che il problema sta lì, neanche troppo celato intorno a la Mecca e Medina, tra i poteri trasversali della famiglia Saudita, petrolio e fondi di investimento insieme alla connivenza e il silenzio dei Paesi occidentali. Terence Ward molto ha scritto e molto ha detto. Ma in un momento in cui gli sbarchi dei profughi in europa si fa ancora più intenso, il conflitto mediorientale miete le sue vittime, e la diplomazia occidentale sembra brancolare nel buio, l’esperteo viaggiatore plurilingue di origine irlandese cercherà nuovamente di rispondere a tali domande all’Oltre Economia Festival di Trento propio nel giorno di apertura al parco Santa Chiara, il 1° giugno in un dialogo con lo scrittore e giornalista Paolo Cacciari. Poi il 2 giugno alle 16,00 presenterà il suo libro “Alla ricerca di Hassan – il volto nascosto dell’Iran”.

Secondo Terence per capire la stategia dell’Imperialsmo Saudita, a cui sono connessi gli interessi di multinazionali e il destino energetico della quasi totalità dei Paesi occidentali ancora dipendenti dal petrolio, è necessario analizzare, senza veli, i 5 progetti jadisti che nel corso degli ultimi 40 anni sono stati  finanziati dalla dinastia wahabita.

Così li spiega Terence Ward: “Il primo di questi progetti, in Pakistan, risale a quando il generale Zia ul-Haq, dopo aver preso il potere nel 1977, impose la legge della Shari’a dando carta bianca alla creazione di innumerevoli madrase (scuole islamiche) wahabite, finanziate dall’Arabia Saudita e disseminate  per tutto il territorio al fine di indottrinare i bambini, in tal modo riempiendo il vuoto educativo lasciato dal sistema ormai crollato. Puntando sui campi dei rifugiati afghani in fuga dall’invasione sovietica, il movimento wahabita trovò la sua base nel paese.

Anche il secondo progetto afghano ebbe origine proprio in quei campi profughi in Pakistan: si formò la prima generazione autobattezzatasi “gli studenti” (Taliban). Nel 1994 il Mullah Omar e 50 studenti delle madrase attraversarono la frontiera prendendo prima Kandahar, poi nel 1996 Kabul. Nel 1998 il Mullah Omar venne invitato in pellegrinaggio alla Mecca dal monarca saudita; dopo di che, nel marzo 2001 – e in piena sintonia con le sue vedute iconoclaste – ordinò di far saltare per aria i Buddha di Bamiyan. Poi, dopo l’attentanto delle torri gemelle dell’11 settembre dello stesso anno, le gite turistiche gratuite da Riyadh e da Al-Hasa si interruppero di colpo.

Il terzo progetto consisteva nella jihad globale. A finanziarla furono gli stessi finanziatori wahabiti, i quali avevano iniziato con il foraggiare i combattenti stranieri nell’Afghanistan occupato dai sovietici e che raggiunsero l’apice l’attacco alle Torri Gemelle. Per chi non se lo ricordasse 15 dei 19 dirottatori, come pure il fondatore Bin Laden, venivano dall’Arabia Saudita.

Il quarto progetto imperiale, che ha nome ISIS, ISIL o DAESH, nasce per parte materna dall’invasione americana dell’Iraq; mentre a fargli da padre sono stati gli zelanti wahabiti dell’Arabia Saudita nonché una sfrenata ideologia, centrata sull’umiliazione subita dai sunniti in Iraq e in Siria.

Il quinto progetto imperiale si sviluppa appunto nell’Europa occidentale, nelle madrase – finanziate e costruite con i soldi sauditi e guidate  da imam wahhabiti – a Parigi o a Bruxelles, ad Anversa o a Rotterdam, a Marsiglia oppure a Birmingham. Migliaia di moschee e scuole coraniche hanno allevato  una generazione di giovani musulmani, rigidamente educati alla fede intollerante importata da Riyadh senza che vi fosse alcun controllo da parte delle autorità governative locali.

A partire dal 2001 i capi di stato occidentali hanno sempre evitato, con discrezione, di guardare in faccia la realtà: e cioè che il terrorismo islamico, ormai, è profondamente radicato all’interno della fede wahabita dei sauditi. Ancor oggi, la rappresaglia posta in essere dall’Occidente per l’attacco di al-Qaeda alle Torri Gemelle, poi ribadita in seguito al recente blitz di Parigi, e successivamente alle bombe dell’ISIS su Bruxelles, dimostra che tuttora si trascura volutamente l’esistenza di tale radicamento. Perché il petrolio è più importante della verità scomoda di una Guerra. Perché le relazioni con l’Arabia Sudita coi suoi interessi e fondi di investimento sono più importanti della soluzione di un conflitto. Che appare sempre più funzionale agli equilibri economici e politici in medioriente.