di Marco Bersani, Attac Italia
Sabato 26 marzo a Firenze è stata una bellissima giornata. Oltre 40.000 persone hanno sfilato per le vie della città in quella che è stata la prima grande manifestazione nazionale della convergenza dei movimenti.
Non era facile, per certi versi era sembrato persino un azzardo: una data collocata a inizio primavera senza una scadenza di per sé mobilitante, dentro una situazione precipitata da più di un mese nel nuovo e drammatico scenario della guerra.
Ma il futuro è di chi lancia il cuore oltre l’ostacolo e il collettivo di fabbrica Gkn ha dimostrato di saperlo fare sin dal primo momento, quel 9 luglio 2021, quando, con una semplice email, il fondo speculativo d’investimento Melrose aveva comunicato la chiusura dello stabilimento e la fine del lavoro per oltre 500 lavoratrici e lavoratori. Quel giorno nessuno di loro ha fatto appello ai vertici sindacali per ottenere il solito tavolo al Ministero dello Sviluppo Economico, qualche mese di cassa integrazione e vane promesse di reindustrializzazione.
Si sono invece rivolti alla città, al territorio e alla società, chiedendo “Voi, come state?” e dichiarando da subito che la forza della loro lotta stava tutta nella condivisione della sua vulnerabilità. E’ stato questo passo a far aprire un dialogo orizzontale, sincero, intenso e articolato, che ha posto tutte e tutti di fronte al compito, non tanto di solidarizzare con la loro vertenza, ma di moltiplicarla in ogni territorio e in ogni settore sociale. Con la consapevolezza che “nessuna si salva da sola” e che si vince solo cambiando i rapporti di forza dentro la società.
Una società investita dalle multiformi crisi sistemiche del capitalismo, scaraventata da una crisi eco-climatica e sociale dentro una pandemia e da questa dentro una guerra senza soluzione di continuità.
Hanno fatto due incontri importanti le lavoratrici e i lavoratori della Gkn in questi mesi di intensa mobilitazione.
Hanno incontrato il percorso della “Società della Cura” ovvero un insieme molto ampio di realtà sociali che, dalla fine del primo lockdown, rifiutandosi di trasformare il necessario distanziamento fisico in distanziamento sociale, hanno deciso di farsi attraversare dagli insegnamenti che la pandemia ha portato con sé e che, contro il mito liberista dell’individuo indipendente che si afferma a scapito degli altri, hanno assunto la vulnerabilità delle esistenze, l’interdipendenza tra le stesse e con la natura, l’idea che nessun* si salva da sol*, come assi portanti per la costruzione di un nuovo paradigma e di un altro orizzonte sociale.
Un percorso che oggi vede oltre 450 realtà sociali e oltre 2000 persone individualmente attive riconoscersi nell’orizzonte del “prendersi cura di” e del “prendersi cura con” come pratica antagonista rispetto al trittico “crescita, concorrenza, competizione”, riproposto dai poteri dominanti come faro delle scelte politiche, economiche, ecologiche e sociali.
E, all’interno di questo percorso, hanno incrociato la giovane generazione ecologista in campo da alcuni anni contro la crisi eco-climatica e per un’inversione di rotta radicale nell’organizzazione della produzione, riproduzione e relazioni sociali dentro le quali si organizzano le vite delle persone.
Il coloratissimo corteo di sabato 26 a Firenze è stato l’epifania di questi processi e un grande salto di qualità nel superamento delle parcellizzazioni imposte dai poteri dominanti per dividere la società.
Un corteo promosso insieme dal collettivo di fabbrica della Gkn e dai Fridays For Future, ovvero la messa in comune di due nuove consapevolezze –il diritto al lavoro comprende il diritto a che il lavoro sia ecologicamente e socialmente orientato / nessuna transizione ecologica può essere davvero fatta senza il coinvolgimento di lavoratrici e lavoratori– che finalmente fanno carta straccia di tutti i conflitti costruiti sulla contrapposizione artificiale fra ambiente e lavoro, per ricollocarli come conflitti fra lavoro e ambiente da una parte e profitti dall’altra.
Un corteo stracolmo di giovanissime e giovanissimi, e nel contempo attraversato da tutte le età anagrafiche e politiche: un plastico superamento di tutti i conflitti intergenerazionali artificialmente agitati dai poteri dominanti per mettere giovani contro anziani, precari contro lavoratori a tempo indeterminato, invisibili contro garantiti.
“Fine del mese e fine del mondo, stessi colpevoli, un’unica lotta” hanno detto, cantato e gridato i 40mila di Firenze.
E tutte e tutti contro la guerra, contro ogni guerra, quella di chi invade e di chi riarma, quella di chi pratica il dominio e di chi chiude gli spazi di dissenso, perché ogni guerra è agita e usata dai potenti contro i popoli.
A Firenze abbiamo fatto tutte e tutti un primo importantissimo passo, ma abbiamo di fronte ancora un lungo e difficile cammino.
Non hanno ancora paura di noi i poteri dominanti, nonostante la ferocia delle loro politiche e azioni ne dimostri l’intrinseca fragilità: possono ancora contare su una grande area di popolazione, attonita e angosciata, immersa nella solitudine competitiva, e in un panico che chi comanda spinge perché diventi rancore.
E’ un’area vasta di persone che dobbiamo saper coinvolgere per trasformare insieme il panico in preoccupazione e il rancore in una molto più creativa rabbia.
Oggi possiamo farlo con molta più fiducia di ieri.