Il Cuore del Mondo

il: 7 Aprile 2023

da la Nuova Ecologia

di Francesca Caprini

Berito suona i sonagli cerimoniali e con una canzone antica sigilla i confini dell’antico territorio della sua gente, il Pueblo Nacion U’wa. Dalla sua casa di legno e paglia circondata dalla foresta si stende il suono ritmico degli strumenti e la sua voce di sciamano, come in un quadro astratto, disegna gli spazi del planeta azul. Il “pianeta blu” viene raccontato nella cosmogonia di questo antico popolo indigeno della Colombia che da millenni abita le pianure ed i monti, oggi definiti dalle regioni del Nordest del Paese al confine con il Venezuela. In questi spazi per lo più intergi e di rara bellezza, si intrecciano le più forti tensioni dell’eterno conflitto colombiano. 

Berito Cobaria Kubar’Uwa è il cantor della sua gente, una figura che è al tempo stesso autorità tradizionale e leader politico. Il suo volto fiero ha fatto il giro del mondo alla fine degli anni Novanta per aver guidato la resistenza pacifica degli U’wa contro la multinazionale petrolifera statunitense Occidental Petroleum corporation (Oxy). Da allora Berito è un simbolo riconosciuto della lotta all’estrattivismo capitalista. La Oxy, con sedi in Africa, Medio Oriente e America Latina, aveva ottenuto la licenza da parte dello Stato colombiano per un giacimento stimato attorno ai 1.400 milioni di barili di petrolio. Ma di fronte alla perseveranza pacifica dell’allora sconosciuto popolo indigeno, dopo anni di battaglie nei tribunali e di scontri con le forze armate colombiane, nel 2002 la multinazionale cede il territorio alla compagnia statale colombiana Ecopetrol.

Se è vero che la storia è circolare, oggi in Colombia gli eventi sembrano ripetersi: lo scorso 4 febbraio, durante un incontro ufficiale fra i delegati della compagnia petrolifera e il Cabildo mayor (organo collegiale, ndr) del popolo U’wa, Ecopetrol ha annunciato che riprenderà le operazioni di esplorazione in pieno territorio collettivo. La risposta del Popolo U’wa non si è fatta attendere. Per questo Berito canta, alimentando l’energia creatrice e di unità delle comunità del suo popolo. 

Le parole di Javier Villamizar Corona, presidente di Asou’wa, l’organizzazione che riunisce autorità tradizionali e Parlamento indigeno, non lasciano spazio a fraintendimenti: «Esprimiamo la nostra massima preoccupazione per i progetti di Ecopetrol – dice – Se non sarà resa pubblica una dichiarazione di sospensione da parte dei vertici di Ecopetrol e del presidente della Repubblica, Gustavo Petro, siamo pronti alla resistenza». Incontriamo Corona nella sede dell’organizzazione a Cubarà, cittadina appena fuori dal resguardo U’wa. Sono giorni di tensione, parla in maniera animata. Accanto alla minaccia di nuove estrazioni fossili, c’è il conflitto armato: il 10 gennaio uno scontro armato fra Esercito di liberazione nazionale (Eln) e la disidencia delle Farc ha provocato dieci morti. La zona di frontiera è storicamente controllata dal gruppo armato Frente Domingo Laín, con il quale il governo Petro (la Colombia è una repubblica presidenziale, ndr), in carica da agosto, sta provando a riaprire il dialogo per concludere gli accordi di pace iniziati nel 2016. Nel 2022 gli scontri fra Eln e altri gruppi armati – gruppi dissidenti delle Farc, guerriglieri della Segunda Marquetalia, paramilitari – hanno fatto oltre trecento vittime nella sola regione di Arauca e nel sud dello Stato venezuelano di Apure. 

Scortati dalla guardia indigena U’wa – un corpo pacifico e senza armi, che controlla l’entrata delle persone nel resguardo e l’equilibrio ambientale – andiamo a visionare la zona del Pozo Cedeño. Ci accompagna una figura storica del popolo U’wa, Roberto Perez, che nei primi anni delle contestazioni contro Ecopetrol era il presidente del Cabildo Mayor: «Ricordo le giornate degli scontri. Eravamo qui – dice indicando il fiume Cubogon e la strada che attraversa le montagne del Norte di Santander –  dove sono morti anche i nostri compagni indigeni Guahibos». È una geografia del conflitto e della violenza quella che don Roberto racconta mentre camminiamo, in questo continuo scontro tra ragioni di Stato e visione ancestrale e culturale di un territorio.  La sua fattoria si trova nel territorio collettivo, invaso da Ecopetrol con tre pozzi petroliferi. A poche decine di metri in linea d’aria c’è la base militare che protegge gli impianti. Lo scarto tra la bellezza dei boschi e delle montagne intatte e il sito petrolifero circondato da militari riassume perfettamente lo scontro in atto. «Gli impianti petroliferi stanno uccidendo il nostro territorio e seccando i nostri fiumi – spiega Judy, la giovane figlia di Roberto – La vicina scuola indigena è ancora una volta senz’acqua». Guardiamo la ciminiera del pozzo petrolifero, con la sua fiamma persistente. Di notte, raccontano, emette una specie di fischio che non fa dormire. Sulla strada invece, colorati cartelli di Ecopetrol avvertono di avere “cura degli animali selvaggi”. La multinazionale non manca poi di elargire denaro per “la salute e l’educazione del popolo U’wa”, come per infrastrutture come la “Casa della saggezza”, la cui costruzione si è offerta di supportare. Strategie vecchie come il mondo, che in ogni caso non smettono di creare profonde spaccature.  

La voce del popolo nazione U’wa, per bocca delle sue istituzioni rappresentative, è però unita: «Gli U’wa combattono per la sopravvivenza del loro popolo e del loro territorio sacro, che nella sua integrità fisica e spirituale rappresenta il cuore del mondo – dice Juan Gabriel Tegria, avvocato di Asou’wa – Lo facciamo con i nostri werkuajas (i sacerdoti), e occupazioni pacifiche; ma anche nelle aule dei tribunali: a  giorni aspettiamo, dopo 25 anni, la sentenza della Commissione Interamericana dei Diritti Umani per il riconoscimento delle violazioni di diritti e il dell’integrità del nostro territorio ancestrale». Sperano anche nelle nuove aperture del Governo Petro, «che noi abbiamo votato», sottolinea Juan. E che attraverso la ministra dell’Energia, Irene Velèz, subito messa sulla graticola dalle opposizioni, ha annunciato che non ci saranno nuove esplorazioni petrolifere in Colombia. 

Daris Maria Cristancho è l’altro volto riconosciuto internazionalmente del popolo U’wa. La incontriamo negli uffici del Municipio di Cubarà: sua figlia Aura è la prima sindaca indigena della Colombia. Leader delle donne U’wa, con Berito ha partecipato a incontri e conferenze in tutto il mondo. Insieme sono venuti anche in Italia e nel 2011 erano sulla Marmolada per sostenere il referendum sull’acqua pubblica. «Il nostro ghiacciaio, Zizuma, non deve fare la fine della vostra Marmolada – dice Daris, ricordando il crollo del ghiacciao dello scorso luglio – La nostra lotta è anche il monito per i nostri fratelli minori (i bianchi, nda), affinché si fermino prima di distruggere la vita». 

C’è un che di sincronico in questi piani temporali che si incrociano: venticinque anni dopo le prime lotte, il Popolo U’wa si riorganizza contro Ecopetrol; venticinque anni anche per avere una risposta della Corte. Un quarto di secolo durante il quale la percezione dell’ineluttabilità dello sfruttamento delle risorse naturali è profondamente cambiata. Quello che non cambia è la resistenza di questo popolo, e la capacità di mettere il mondo di fronte alle sue contraddizioni. «Non cederemo – dicono da AsoUwa – Chiediamo alla comunità internazionale di darci la sua solidarietà. La lotta per il pianeta azul è la lotta di tutti».