"Se qualcuno vuole farti del bene, scappa". Intervista a Gustavo Esteva.

il: 15 Maggio 2013

Racconta Gustavo Esteva, scrittore, giornalista, attivista messicano fra i più lucidi pensatori dell’America latina d’oggi, di quando il Subcomandante Marcos dalla Selva Lacandona volle denunciare il livello a cui erano giunti gli aiuti umanitari verso il suo popolo. Non usò tante parole: prese un sacco di tela e tirò fuori una scarpa da donna rosso fiammante tacco 12. Faceva parte di un pacco di aiuti appunto “umanitari” diretti alla sua gente. “Se volete aiutare i poveri indigeni in lotta con il governo per i propri diritti allora no grazie – diceva il comandante zapatista – Ma se pensate di condividere la nostra lotta, allora sarete i benvenuti”.

Gustavo Esteva è stato l’ospite d’eccezione dell’incontro fiorentino “Aiuti? No grazie”, organizzato a Firenze sabato scorso da Re:Commons, associazione che per anni si è occupata di finanza per lo sviluppo attraverso la nota Campagna per la Riforma della Banca Mondiale. In Italia per presentare alcuni suoi lavori, fra cui il volume “Antistasis – L’insurrezione in corso” per i tipi di Asterios, Esteva è intellettuale poliedrico, zapatista della prima ora – è stato assessore degli zapatisti nei dialoghi di pace con il Governo messicano ed opera in stretto contatto con il Congresso Nazionale Indigeno – ed esperto di tematiche attuali come appunto la cooperazione internazionale, la solidarietà e il discusso termine dei nostri tempi, lo sviluppo.


“Come si devono essere sentiti i contadini del Chapas nel ricevere dei sandali da sera per girare nella selva? – ha chiesto Esteva – Questo è un esempio emblematico, ma anche le cifre surrogano questa tesi: gli aiuti non aiutano, sono dannosi ed offendono la dignità”. “Se c’è qualcuno che ancora pensa che gli aiuti allo sviluppo realizzino ciò che è implicito per loro stessa definizione, sappia che per ogni dollaro che il Sud riceve, al Nord ne tornano dieci grazie a sofisticati meccanismi finanziari”, si legge ancora nel documento d’apertura dell’incontro.

In un momento in cui anche in Trentino gli “aiuti allo sviluppo” sono sottoposti ad attacchi importanti – è recente la presentazione di due disegni di legge in Consiglio Provinciale per modificare e cancellare la percentuale in bilancio per i fondi da destinare alla cooperazione internazionale – ci è parso dunque interessante l’incontro fiorentino che ha tentato di sottoporre a dibattito la “robusta narrativa solidarista diventata negli anni categoria intoccabile, soprattutto in Italia”, e di poterlo fare insieme ad uno degli autori del noto “Dizionario allo sviluppo” (edizione italiana a cura di Alberto Tarozzi, traduzione di Marco Giovagnoli- Torino, Gruppo Abele 1998), un’elaborazione critica delle vaste implicazioni teoriche e politiche legate al campo dello sviluppo.

Esteva infatti, oltre ad essere uno dei fondatori della “Universidad de la Tierra” di Oaxaca ed essere stato amico intimo e collaboratore dello storico e filosofo Ivan Illich, in mezzo alle decine di libri e saggi che ci ha regalato in questi anni , insieme ad alcuni autori più noti ha prodotto il “Dizionario dello Sviluppo”, libro pionieristico scritto quasi vent’anni fa dove i principali esperti di sviluppo a livello mondiale ne passano in rassegna i concetti chiave esaminandoli criticamente e mettendone in luce le contraddizioni.

Esteva, che opinione ha della macchina degli aiuti?

“E’ uno dei modi che ha il Nord del mondo per promuovere i propri interessi economici verso il Sud. Visti dalla nostra parte, questi aiuti sono controproducenti. Lo dicono le cifre – per esempio il 90% del denaro che le grandi organizzazioni dovrebbero destinare ai paesi impoveriti, servono per mantenere le strutture stesse. Ma la cosa è più perversa: la dipendenza dagli aiuti, denunciata da varie organizzazioni di base ed intellettuali del Sud, non è solo un danno collaterale a un sistema altrimenti virtuoso, quanto piuttosto un obiettivo. Dietro al paradigma sviluppista e ai suoi protagonisti c’è l’interesse ad imporre un modello unidirezionale, assimetrico e vantaggioso per il Nord”.

Quali i punti di maggiore fragilità?

“Posso rispondere con due frasi significative. Lo scrittore uruguayano Eduardo Galeano dice “Prima di venire ad aiutarci a risolvere i nostri problemi, cercate di risolvere i vostri”; Gandhi insegna: “Sii te stesso il cambiamento che vuoi per il mondo”. Cosa voglio dire? Il sottosviluppo inizia il 20 Gennaio 1949, con il memorabile discorso che il presidente USA Harry Truman fece alla nazione elencando i 4 punti della sua amministrazione: divise il mondo tra quelli che erano moderni e sviluppati e quelli che non lo erano e dettò degli standard che divennero la base della visione occidentale anche per stabilire le necessità basiche. Anche se Truman postulava che con l’aiuto statunitense i paesi poveri avrebbero impiegato 25 anni per mettersi in pari, risultò evidente che questo non era fattibile e che sarebbe stato ecologicamente insensato che tutti gli abitanti delle aree che Truman indicava, adottassero gli stessi parametri di vita. Tuttavia,anche se dagli anni Settanta si ridusse con realismo la proposta dell’impegno di garantire a tutti la soddisfazione di certe necessità basiche, non si abbandonò quella definizione universale di buona vita e un orientamento che continua a determinare la forma e il senso delle politiche governative anche nella dinamica degli aiuti, che oggi significa soprattutto assicurarsi alleanze geopolitiche e mantenere il controllo e gli equilibri disequilibrati.

Quale potrebbe essere la strada giusta per chi vuole lavorare nella cooperazione internazionale?

Quello che io ritengo giusto in un panorama globale in grande trasformazione lo riassumo con la parola solidarietà militante. Ovvero, condividere le battaglie piccole e grandi per la difesa del pianeta e le sue risorse. Risolvere realmente i problemi delle comunità impoverite nel mondo in una visione non assistenzialista ma politica, rimuovendo le cause all’origine delle diseguaglianze sociali fra i popoli. Una fase in cui le donne hanno un ruolo enorme che ricorpono quasi isitintivamente: è la difesa della vita, senza ipocrisie. Questa è la vera reciprocità”.

Antonio Tricarico di Re: Commons esprime il fulcro del ragionamento critico del Forum: “Fermo restando che l’attuale crisi economica e finanziaria mondiale, e le sempre più frequenti sciagure naturali ed emergenze umanitarie richiedono strumenti nuovi e democratici di cooperazione e solidarietà tra Stati e popoli nel breve termine (quale ad esempio un autentico prestatore di ultima istanza ben diverso dall’attuale Fmi), sono due le domande centrali che dovrebbe porsi chi aspira a fare “cooperazione” e solidarietà internazionale: a quale sviluppo puntiamo? E quali forze sociali occorre sostenere per raggiungerlo? Al riguardo è centrale chiedersi cosa significa oggi solidarietà e cooperazione, quando ampi strati della popolazione dei Paesi cosiddetti ricchi stanno progressivamente finendo in povertà. Cosa significa quindi andare oltre le categorie di Nord e di Sud e promuovere un’azione per la giustizia sociale, ambientale ed economica che funzioni nel Nord come nel Sud geografico, in Grecia come in Africa sub-Sahariana.Sarebbe in sostanza necessario un processo di rifondazione che parta dal basso e da approfondite analisi interne alle singole organizzazioni, dalla loro condivisione e dal recupero di uno spirito originario di solidarietà militante”.

Ad oggi si contano più di settanta centri finanziari offshore e giurisdizioni segrete che favoriscono questo processo. Si tratta di una vera e propria fuga di capitali sotto forma di flussi illeciti  che, secondo un rapporto pubblicato nel 2012 da Global Financial Integrity, oscilla tra gli 850 e i 1000 miliardi all’anno. Una valanga di soldi in fuga, che va a pesare negativamente sui bilanci pubblici dei paesi poveri e che, da un lato, aumenta il loro debito estero, e dall’altro smantella la capacità dei governi locali di assicurare la fornitura di beni e servizi. Servizi che vengono così privatizzati, (e spesso lasciati di competenza degli aiuti), aprendo enormi opportunità e nuovi mercati per le nostre imprese.Una ricerca commissionata dall’OCSE nel 2010per la valutazione della attuazione della Dichiarazione di Parigi sull’efficacia degli aiuti ha scoperto come, nonostante le raccomandazioni OCSE, ad aggiudicarsi la maggior parte dei contratti finanziati con il sistema degli aiuti continuino ad essere imprese del Nord. Nonostante gli accordi firmati in sede OCSE nel 2011, l’aiuto legato continua a essere un efficace strumento politico e commerciale che, garantendo preziosi ritorni alle imprese del Nord, concretizza l’effetto boomerang del sistema degli aiuti, provocando un flusso finanziario inverso rispetto a quanto dichiarato sulla carta.