I Fiumi disobbedienti in Colombia. Domani all’Oef19.

il: 30 Maggio 2019

Estrattivismo e processo di pace in Colombia raccontato dalle donne in prima linea per la pace

F. Caprini

“La pace colombiana è troppo importante per essere abbandonata”. Così titola un editoriale del New York Times dei giorni scorsi. I più di 500 morti fra attivisti ed ex guerriglieri dalla firma degli accordi di pace, l’aumento della violenza in ogni parte del Paese latinoamericano e le evidenti intenzioni dell’attuale governo Duque di non rispettare i termini che nel 2016 sono stati sottoscritti a livello internazionale con l’esercito guerrigliero delle FARC, fanno della Colombia un sorvegliato speciale.  Che ha scelto il modello estrattivista per gestire un Paese dalle ricchezze naturali incredibili, condannandolo ad un continuo conflitto sociale ed ecologico. Le donne in Colombia sono in prima linea per la pace, ma anche per costruire un’alternativa alle dinamiche che l’estrattivismo si porta dietro: patriarcato, relazioni di potere tipiche del sistema capitalista e coloniale, razzismo, ipersfruttamento delle risorse: “Quando un territorio viene violentato, anche i nostri corpi di donne soffrono la stessa sore, perché siamo noi a prendercene cura, a mantenere l’equilibrio”, raccontano tre donne colombiane, in Italia per una serie di incontri – denuncia su quello che in Colombia sta succedendo nel silenzio quasi totale dei media. 

Angelica, Rubiela, Tatiana,sono tre attiviste colombiane, in Italia fino al 2 giugno invitate da Yaku e in questi giorni all’OltrEconomia festival di Trento per raccontare i propri percorsi di resistenza nei movimenti e comunità di appartenenza e per denunciare la devastazione dei propri territori, la rapina dell’acqua e dei fiumi a causa di progetti estrattivi o di produzione energetica, e il continuo sfollamento di persone da terre e quartieri delle periferie. Un panorama che in Colombia è intrinsecamente legato alla strage di attiviste e attivisti – defensores  – che lottano per il riconoscimento dei propri diritti ad esistere e resistere, e che stanno subendo quello che viene definito ormai un genocidio politico, che ricorda tristemente quello della Union Patriotica degli Anni Ottanta, quando un intero partito politico – più di 5000 fra sindaci, assessori, militanti – fu ridotto alla sparizione da una mattanza capillare ordinata dai vertici governativi e messa in atto da paramilitari ed esercito. 

Dalla firma degli Accordi di Pace fra governo colombiano ed esercito guerrigliero delle FARC – nel dicembre del 2016 – sono stati denunciati più di 500 omicidi politici, fra attivisti, leaders comunitari ed ex guerriglieri. Sono tornati tristemente in campo anche i falsos positivos, ovvero l’uccisione di contadini o indigeni estranei a fatti di guerriglia, che vengono camuffati da morti come ex guerrieglieri. L’estensione di forme di neoparamilitarismo poi, sta ridisegnando la cartina della criminalità colombiana, connessa con narcotraffico, agroindustria e carbone. 

Una situazione di gravità allarmante, posta anche all’attenzione, lo scorso 5 aprile, alla  Corte Penale Internazionale (CPI) , ma che ha allertato l’Onu e quasi tutte le grandi organizzazioni per i diritti umani nel mondo.

Il Governo del presidente Ivan Duque da canto suo sconfessa gli accordi di pace attraverso la manipolazione del meccanismo della JEP – la giustizia tradizionale di pace – e la implementazione del sistema estrattivista, con un Piano di Sviluppo Nazionale che sembra più una dichiarazione di guerra a comunità e ambiente, che un progetto di ricostruzione di un paese piagato da povertà e mancanza di strutture: prevede la concessione di più di metà del territorio a multinazionali, che anche attraverso il meccanismo di “Obras por impuestos” – opere di interesse pubblico per pagare le tasse – metteranno sostanzialmente in campo forme di neocolonialismo e scardineranno gli sparuti strumenti previsti dalla Costituzione – come le consultas previas, incontri preliminari obbligatori con le comunità indigene ed afrodiscendenti, qualora si facciano dei progetti che li coinvolgano – che  le comunità territoriali hanno per arginare l’avanzata di  forme di land e watergrabbing.

Duque appartiene al partito fondato dall’ex presidente della repubblica Alvaro Uribe Velez, il Polo Democratico, che ha apertamente preso posizione contro il Processo di Pace durante la campagna per le lezioni presidenziali. Una posizione, quella del Governo Colombiano, che negli ultimi mesi, ha provocato come risposta una Minga Indigena di dimensioni mai viste: la minga è la pratica ancestrale di  articolazione fra comunità e ha la consegna di far “camminare la parola”: dalle regioni più calde della Colombia – Cauca, Valle, Caldas – insieme a movimenti contadini, la minga ha bloccato più volte il Paese durante i mesi della primavera, reclamando la redistribuzione delle terre e il rispetto degli accordi. 

Questo attacco alla terra e ai territori attraverso la messa in discussione di un già complesso cammino di pacificazione nel Paese latinoamericano, colpisce duramente le donne, che attuano in diverse maniere percorsi di resistenza e di proposta: “Con l’aumento delle dinamiche dell’estrattivismo, assistiamo a meccanismi di rottura dei tessuti comunitari attraverso forme di maschilizzazione del territorio e dei processi di produzione economica. Questo mette spesso le donne delle comunità in una condizione di povertà e fragilità. “Quando arrivano multinazionali o imprese da fuori, aumentano violenza, prostituzione, perdita dei ruoli cardine che le donne hanno nelle comunità. Dove poi arrivano paramilitari e criminali, le donne diventano bottino di guerra o strumento di offesa ad un’intera comunità: colpisci una donna, pieghi l’intero gruppo”, racconta l’ingegnere ambientale Tatiana Roa, presidente dell’associazione ecologista Censat Agua Viva e protagonista dell’incontro “Fiumi disobbedienti: la difesa dell’acqua nel tempo dell’estrattivismo”, il 31 maggio alle 18.00 all’OltrEconomia di Trento (www.oltreconomia.info).

“Quando quattro anni fa è arrivata la multinazionale – ora canadese – ISAGEN per costruire la diga Hidrosogamoso, siamo stai sfollati dall’oggi al domani in 800 famiglie. Abbiamo perso casa e sostentamento, alcuni uomini sono stati assunti dall’impresa, noi abbiamo perso il nostro lavoro di contadine e commercianti. E’ arrivata la prostituzione – molte sono ragazzine minorenni che vengono dalle campagne – quindi abbiamo fondato un gruppo fra di noi donne per poter difendere i nostri diritti”. 

Angelica Ortiz infine, rappresentante delle donne indigene di etnia wayuu Fuerza de Mujeres Wayuu, racconta la lotta del suo popolo, vessato, sfollato e perennemente sotto la minaccia dei paramilitari , da quando la più grande miniera a cielo aperto del mondo -El Cerrejon – ha invaso il loro territorio ancestrale, utilizzando quasi tutta l’acqua disponibile – si parla di 17 milioni di litri d’acqua al giorno – mentre loro soffrono di una endemica crisi umanitaria che ha fatto 5000 morti di denutrizione fra i bambini negli ultimi anni, di cui 32 solo quest’anno. 

Il conflitto colombiano non si arresta nononstante le denunce internazionali di organizzazioni per i diritti umani, Onu, e gli appelli alla Corte Interamericana dei diritti umani. Ma le donne colombiane, da sempre prime vittime di questa guerra sucia, sono più che mai protagoniste della costruzione di un modello di vita che forse salverà il Paese.