Il brutto Tempo e l’ambasciatrice Ramirez

il: 22 Maggio 2021

Lo scorso 19 di maggio il quotidiano italiano Il Tempo pubblica una preoccupante intervista all’Ambasciatrice colombiana in Italia, Gloria Ramirez. Yaku, Migras e la Mesa de la Sociedad Civil rispondono con una lettera indirizzata al giornale, al direttore Bechis, e alla stessa Ramirez.

QUI L’ARTICOLO DEL QUOTIDIANO IL TEMPO a firma di A. Buzzelli

Alla cortese attenzione dell’Ambasciatrice della Repubblica di Colombia in Italia

Illustre Sig.ra Gloria Isabel Ramírez

e Alla c.a del Direttore 

Egregio Dott. Franco Bechis

Gentile Ambasciatrice Ramirez,

come cittadine e cittadini colombiani residenti in Italia, come organizzazioni per i diritti umani italiane che lavorano con le comunità colombiane, abbiamo letto con sconcerto le Sue dichiarazioni riportate dal quotidiano italiano Il Tempo, con le quali difende l’operato delle forze dell’ordine colombiane e dei corpi antisommossa di polizia ESMAD durante le settimane dello sciopero generale.

Dall’inizio delle manifestazioni,  lo scorso 28 aprile, la comunità internazionale ha assistito all’inaudita escalation di violenze e all’uso sproporzionato della forza da parte della polizia e dell’esercito verso le numerose proteste pacifiche. 

Immagini che hanno fatto il giro del mondo, riportate da testate giornalistiche e televisioni di ogni Paese, e che hanno creato un’indignazione tale che i maggiori governo europei, le Nazioni Unite, molti parlamentari europei ed italiani, associazioni ed organizzazioni per i diritti umani, hanno scritto al Presidente della Repubblica Colombiana Ivan Duque, chiedendo con forza la fine delle violenze ed il ripristino dei diritti per il popolo in manifestazione.

Ci sarebbe piaciuto che il giornale Il Tempo e il giornalista Buzzelli ne avesse fatto almeno cenno, per chiarezza d’informazione e per dare un quadro obiettivo della situazione.

Ma lei,  signora Ramirez, definisce la Colombia come una democrazia compiuta.

Come è ben noto per chiunque sia nato, abbia vissuto o lavori in Colombia,  il Paese è tutto tranne che un Paese politicamente stabile. Lo stato di difficoltà o minaccia in cui si trova la maggior parte della popolazione viene fotografato dalle affollate manifestazioni che avvengono in tutte le città e anche nelle aree rurali ormai da settimane. Nonostante le televisioni mainstream facciano fatica a riportare notizie e immagini di quello che accade, non è difficile trovare materiale audio, video ed interviste di chi sta sul campo. Queste proteste rappresentano lo sfociare di un ampio discontento sociale, ulteriormente alimentato dall’impatto economico e sociale della pandemia, ma già da anni le comunità indigene e afrodiscendenti e ampi settori della società colombiana protestano per chiedere il rispetto dei diritti umani e giustizia sociale, in un Paese che ha firmato la fine di una guerra interna solo cinque anni fa ma dove non si è ancora raggiunta una vera pace.

Le proposte di riforma del Presidente Iván Duque hanno dunque acuito lo scontento, già fortemente radicato, della maggior parte della popolazione colombiana. Il Paese, come Lei ben dice, soffre di gravi disuguaglianze sociali ed economiche e ci piacerebbe ragionare su come le misure prese da questo governo possano essere utili per contrastare questo grave fenomeno sociale, soprattutto in quest’ultimo anno di pandemia. 

Le manifestazioni che vediamo oggi sono dimostrazioni di richieste per un paese piú giusto, libero; sono portate avanti in modo creativo e con grande vitalità da donne, uomini e tanti giovani: coinvolgono in maniera trasversale settori della società che fino ad oggi erano rimasti in qualche maniera lontani.

La crisi della Colombia è dovuta alle politiche ultra liberiste e al livello spropositato di corruzione che da sempre caratterizzano la politica colombiana e che l’attuale presidente non è stato in grado di contrastare. Un fallimento politico, dimostrato anche dall’incapacità di rispettare gli Accordi di Pace firmati dal Governo Santos con il principale esercito guerrigliero – le FARC – EP.

Secondo il suo parere, Ambasciatrice Ramirez,  “la polizia ha risposto come doveva”. Le cifre delle violenze dicono però altro: la Ong Temblores, riconosciuta dalla stampa nazionale e internazionale, in un comunicato congiunto del 18 maggio con l’Instituto de estudios para el desarrollo y la paz (Indepaz), denuncia come tra il 28 aprile e il 17 maggio siano state commesse 2387 azioni violente contro i/le manifestanti da parte della forza pubblica, fra cui:

– 1139 arresti arbitrari contro i manifestanti

– 472 interventi violenti contro manifestazioni pacifiche

– 384 vittime di violenza fisica

– 146 attacchi con armi da fuoco contro i manifestanti

– 43 omicidi presumibilmente commessi dalla polizia

– 33 vittime di attacchi agli occhi

– 18 casi di abuso sessuale

– 5 casi di violenza legata al genere

E un numero ancora indefinito di sparizioni ma che si aggira intorno alle 400 persone.

Secondo le sue dichiarazioni le manifestazioni sono state fin dall’inizio infiltrate da gruppi terroristici e organizzazioni criminali. A questo riguardo dobbiamo ricordare che:

1. Il diritto a manifestare pacificamente deve essere garantito. Questo vuol dire che il governo è tenuto, attraverso i propri corpi di intelligence, a identificare e allontanare chi ha scopi diversi dal manifestare pacificamente. Questo, tra le altre cose, per garantire l’incolumità di chi manifesta pacificamente.

2. Se ci sono state delle infiltrazioni terroristiche e criminali fra i manifestanti il governo è tenuto a informare l’identità di quei gruppi ed è responsabile della loro neutralizzazione. Sparare in maniera indiscriminata sui manifestanti è una maniera vile e antidemocratica di contrastare chi vuole generare disordine e usare violenza strumentalizzando una manifestazione pacifica.

Numerosi sono stati i comunicati stampa, gli appelli e le iniziative, che anche dall’Italia sono partiti quotidianamente per denunciare le violazioni dei diritti umani, e chiedere non solo al Governo colombiano il rispetto della libera espressione sancito dalla Costituzione colombiana, e dei Diritti Umani nel territorio colombiano, ma anche al Governo italiano di unirsi ai tanti altri governi, istituzioni e gruppi parlamentari, a cui la situazione di violenza in Colombia appare molto chiara e ben lontana dall’essere una rivolta popolare infiltrata da criminali.

La portata storica di quello che sta succedendo in Colombia è sotto gli occhi di tutti: un popolo che con grande coraggio sta pretendendo dignità e giustizia, ben oltre la riforma tributaria, ormai ritirata.

Da anni gli indici di omicidi verso leader, attiviste/i, giornaliste/i e persone difensore dei diritti umani ed ambientali – insieme al drammatico indice degli ex-guerriglieri – sono oggetto di investigazioni giornalistiche e denunce. Secondo l’Ong internazionale Front Line Defenders, da anni la Colombia vanta il triste primato del Paese con il maggior numero di omicidi di persone difensore dei diritti umani al mondo: nel solo 2020, sono state assassinate almeno 177 difensori/e dei diritti umani, ovvero il 53 % del totale globale.

Parliamo di oltre un migliaio di assassinii dalla firma degli Accordi di Pace, e questi sono fatti e notizie documentati anche dalle Nazioni Unite,  non dicerie.

Nel riportare alcuni dei comunicati stampa spediti all’indirizzo del Presidente Duque in questi giorni, prendiamo le distanze dalle sue affermazioni – che consideriamo mendaci – chiediamo la fine delle violenze da parte delle Forze Armate colombiane contro i manifestanti, e esprimiamo ancora una volta tutto il nostro sostegno e speranza per il popolo colombiano.

Ma di certo non ci esimiamo a sperare che anche il giornalismo italiano dia un segnale verso la correttezza e l’imparzialità, tratti sempre meno frequenti – ce ne rammarichiamo – nella nostra stampa nazionale, ma che non fermano il coraggio della verità.

Italia, 22 maggio 2021

Cordialmente, 

Associazione Yaku 

Mesa de la Sociedad Civil 

Migras – Intercultura e MIgrazione – Associazione di Promozione Sociale