Bolivia, vince l’erede di Morales

il: 19 Ottobre 2020

Domenica 18 ottobre i cittadini boliviani sono stati chiamati ad eleggere il proprio Presidente della Repubblica e i nuovi componenti del Parlamento, dopo aver subito ben due slittamenti a maggio e a settembre.

Il risultato ha visto la vittoria di Luis Arce sostenuto dal partito Movimento al Socialismo (MAS) e già ex ministro dell’economia durante il governo Morales.

Sono stati due i principali sfidanti di Arce durante questo rodeo elettorale: Carlos Mesa, di Comunidad Ciudadana, ex presidente della Bolivia dal 2003 al 2005, neoliberista e filostatunitense oltre che principale rivale del Mas, e Fernando Camacho del Creemos, il partito di estrema destra boliviano. 

Sebbene la maggior parte dei sondaggi intravedevano già la vittoria del braccio destro di Morales, la possibilità di strappare la vittoria già dal primo turno (risultato ottenibile con il 50% più uno delle preferenze, oppure con almeno il 40% delle preferenze ed un distacco di almeno il 10% sul secondo candidato) appariva improbabile. 

A dispetto delle previsioni, Luis Arce attraversa lo spartiacque del 50%, venendo così eletto nuovo presidente della Bolivia.

Durante la campagna elettorale è stato evidente sia il supporto dell’attuale governo ad interim alle forze di destra, che la volontà di impedire al MAS di tornare al potere: dall’impostazione del coprifuoco prima e dopo le elezioni al materiale elettorale affidato in custodia di polizia e militari, attori fondamentali nel golpe dello scorso anno.  Un ulteriore tentativo di consolidare il fronte contro Luis Arce ed il MAS è arrivato con la decisione della presidente ad interim Jeanine Añez e Jorge Quiroga (ex Presidente della Bolivia ed esponente del Partito Cristiano) di ritirare la propria candidatura alla presidenza.

Queste sono state le prime elezioni da quando Evo Morales, primo presidente indigeno della Bolivia in carica dal 2006, fu costretto nell’ottobre 2019 a rinunciare ad una nuova presidenza e a cercare rifugio all’estero dopo il golpe messo in atto dagli oppositori interni e appoggiate dagli Stati Uniti e dall’Organizzazione degli Stati Americani) . Il nuovo blocco di potere è stato era guidato dalla vicepresidente del Senato del partito di destra Movimento Democrático Sociale Jeanine Áñez, venendo dichiarata presidente ad interim con il voto di un terzo dei parlamentari boliviani.

Da una parte dunque le politiche neoliberali che hanno caratterizzato i paesi latinoamericani dal dopoguerra, dall’altra l’idea di pluri-nazionalità promossa dal MAS negli ultimi 13 anni di governo che (pur con limiti e contraddizioni), secondo la Banca Mondiale, hanno portato la Bolivia ad una riduzione della povertà assoluta (definita dal vivere con meno di 1.9 dollari al giorno) dal 19.2% nel 2005, al 4.5% nel 2018. Non bisogna dimenticare che nel territorio boliviano è presente la maggior riserva di litio del mondo, elemento utilizzato per la creazione di batterie per qualsiasi dispositivo elettronico, auto comprese. Durante la sua presidenza, Morales e Luis Arce nazionalizzarono le risorse naturali come litio e petrolio, inimicandosi potenti attori internazionali e multinazionali che vorrebbero intraprendere politiche di estrattivismo selvaggio sul territorio boliviano. Sebbene il MAS sia riuscito a diminuire drasticamente il livello di povertà in Bolivia, il suo operato  non è stato criticato sia da parte della destra ma anche dalle anime di sinistra ed “indigeniste”, che accusavano Morales di ledere i diritti ambientali, sociali e anche economici a causa delle proprie politiche estrattiviste.

Le elezioni sono state un punto chiave per testare la stabilità democratica della Bolivia, gravemente danneggiata dal golpe del 2019. Tuttavia, ancora più importanti saranno le prossime giornate, dove si potrà effettivamente verificare l’accettazione del risultato da parte dell’attuale governo, ed il passaggio di consegne tra Jeanine Áñez e Luis Arce.