La forza piegata di Angelica Bello

il: 4 Marzo 2013

 E’ morta Angelica Bello, una donna che ha speso tutta la sua vita nel nome dei diritti umani in Colombia e per dare voce alle donne vittime di violenza.

Angelica non ha resistito: quando è arrivato l’ennesimo ordine di sfollamento forzato si è uccisa sparandosi un colpo di pistola in bocca. Lascia quattro figli ed una vita di sofferenza. L’ultima cosa che ha fatto, meno di un mese fa, è stato descrivere con crudezza davanti allo stesso presidente Santos ed ad un folto gruppo di assistenti nella Casa di Nariño – la residenza ufficiale del primo mandatario della Colombia –  il marchio indelebile che lascia la violenza sessuale su di una donna: perchè la sua testimonianza potesse finalmente spingere il Governo colombiano a destinare fondi per programmi psicosociali per il recupero dai danni derivanti dal conflitto colombiano. Cosa che non è riuscita ad ottenere.

La sua peregrinazione era iniziata alla fine degli anni ’90. Scampata dallo sterminio dell’Unione Patriottica – partito che suo padre contribuì a fondare nella regione di Arauca – dopo una rocambolesca fuga da Saravena, per qualche anno si nascose con i quattro figli a Bogotà, dopodichè provò a ricominciare a Villanuova, nel dipartimento di Casanare. La tranquillità durò poco, i paramilitari la trovarono ed una notte uno di loro chiamato El Tigre, del Bloque El Centauro, ordinò di rapire le sue due figlie, Brigitta di 9 anni e Luisa Fernanda di 14. Le vennero restituite dopo settimane, distrutte dagli abusi ed umiliate, e solo dietro la promessa di lasciare la cittadina in un ora.

Di notte, con le poche cose e disperata, arrivò a Villavicencio, dove l’unica cosa che le poche forze le permetterono di fare fu andare nella chiesa del paese e nascondersi. Il parroco, quando la trovò, le offrì tutta la protezione che poteva e piano piano Angelica iniziò di nuovo a vivere.

Fondò la Fundacion Nacional Defensora de los Derechos de las Mujers, diventando la voce di centinaia di donne che avevano subito abusi sessuali nel quadro della guerra colombiana. Ancora una volta dovette fermarsi: subì un attentato che la lasciò storpia per tutta la vita.

Di nuovo a Bogotà, si impegnò per il riconoscimento del cosiddetto “auto 092”della Corte Costituzionale, un risoluzione che obbliga lo Stato a proteggere le donne vittime del conflitto armato. Un successo che però la mise di nuovo sotto la luce sbagliata e ricominciarono minacce ed intimidazioni che si concretizzarono il 26 novembre del 2009, mentre usciva in pieno pomeriggio dal Ministero degli Interni. Tre uomini fermarono il taxi su cui stava viaggiando e la trascinarono in una zona boscosa torturandola e violentandola fino alla pazzia. Ero molto spaventata.” – raccontò ad Amnesty International. “Dopo che venni picchiata e stuprata, la prima cosa che mi dissero fu di non denunciare l’accaduto e che dovevo guardarli molto bene perché avrei potuto vederli di nuovo in ogni momento”. 

E invece le denunce partirono verso la Fiscalia e il Ministero degli Interni, dove di nuovo le assicurarono protezione e un nuovo, ennesimo destino. A Codazzi , nel Cesar, ancora una volta Angelica si reinventò. Di nuovo al fianco di donne vittime di violenza, decisa a non farsi distruggere dalla bestialità della guerra. Le minacce bussarono alla sua porta la settimana scorsa, con l’ordine perentorio di abbandonare la casa in 72 ore.

Per un momento Angelica pensò di andare a Barranquilla, ma c’è chi dice che le immagini di orrore e paura che di notte sempre la visitavano devono aver avuto la meglio. Angelica sembra abbia preso la pistola di una delle guardie della scorta e si sia sparata. O almeno, questa è la versione ufficiale. Ma sono molti quelli che non credono che una donna così forte si sia fatta spezzare.

L’auspicio, ora, è che la Colombia si stringa attorno alla figura di Angelica, eroina contro la violenza, una donna per la vita

Francesca Caprini

[cfr Maria Elvira Bonilla – El espectador]