Respingimenti illegali e violenza alle frontiere

il: 19 Aprile 2021

Il rapporto di Border Violence Monitoring Network (traduzione integrale)

- Link al rapporto in ingleseSALVIAMO MELTING POT! DONA ORAdi Border Violence Monitoring Network (BVMN)Traduzione a cura di: Federica Occhipinti

Sommario

A febbraio 2021, BVMN (Border Violence Monitoring Network) ha raccolto 44 testimonianze riguardanti l’esperienza di 1.133 persone respinte illegalmente oltre i confini nei Balcani. Questo report evidenzia le ultime tendenze legate alla gestione dei flussi migratori, offrendo un’analisi a livello visivo dei confini violenti dalla Turchia all’Italia.

Una caratteristica particolare dei respingimenti di febbraio è stata l’impiego della polizia urbana per catturare i migranti e avviare i respingimenti. Il report analizza le espulsioni avviate dalle città interne dell’Albania e dell’Ungheria, mostrando che gli alloggi privati sono oggetto di violenti raid che alimentano direttamente i pushback transfrontalieri. Inoltre, le condizioni di accoglienza in paesi come la Serbia mostrano che il controllo degli spazi urbani e il transito interno rappresentano un’estensione della violenza ai confini.

I report del mese scorso descrivono un livello elevato di violenza della polizia e di deterrenza fisica nei punti di transito in tutta la regione. In Bosnia ed Erzegovina, gli intervistati hanno riferito di essere stati attaccati da agenti croati entrati illegalmente nel territorio attraverso il confine verde. Nel frattempo, continua anche la militarizzazione del confine, che ha causato un altro annegamento nel fiume Glina (che si trova tra i due paesi). Nel contesto più ampio di una geografia di confine “adattata”, il report esamina anche installazioni fisse alle frontiere, come la recinzione ad Evros, analizzando il modo in cui le difese greche e la repressione sul lato turco del confine stanno spingendo i migranti verso più precari attraversamenti fluviali.

La violenza interna contro i migranti è andata avanti per tutto il mese di febbraio. L’esempio più allarmante è stato il terribile attacco perpetrato da alcuni cittadini della città bosniaca di Bihać, episodio che ha illustrato il modo in cui i messaggi violenti trasmessi fomentino sentimenti anti-immigrati. Questi incidenti si collegano ad una rete di altri attacchi e violenze, come ad esempio gli sgomberi sistematici degli alloggi informali effettuati a febbraio nel cantone di Una Sana. In Grecia, attraverso l’analisi del recente attacco agli alloggi per richiedenti asilo, la relazione esamina gli sgomberi di massa come strumento di confine interno.

Insieme agli aggiornamenti relativi alla rotta terrestre, il report evidenzia anche le violazioni fisiche e strutturali che le persone devono affrontare ai valichi marittimi. Ci si concentra sia sulla situazione dei respingimenti adriatici, che sul processo interno di profilazione razziale che ha luogo sui traghetti che partono da Samos per la Grecia continentale. Accanto a tutto ciò è riportato un glossario di testimonianze registrate nell’ultimo mese e un aggiornamento critico sulla criminalizzazione degli attivisti a Trieste.

BVMN è una rete di organizzazioni di controllo attive in Grecia e nei Balcani occidentali tra cui: No Name KitchenRigarduAre You SyriousMobile InfoTeamJosoor[re:]ports SarajevoInfoKolpaEscuela con AlmaCentre for Peace StudiesMare LiberumIPSIACollective Aid e Fresh Response.

Sommario
Generale
Network di segnalazione
Metodologia
Terminologia
Abbreviazioni
- Tendenze nella violenza alle frontiere
Grave incidente durante un respingimento ungherese
Espulsioni di massa da Durazzo, Albania
Trasferimenti marittimi verso Patrasso
Incursioni di confine vicino a Izačić
- Aggiornamenti sulla situazione
Serbia
• Transiti interni che si ripetono
Bosnia ed Erzegovina
• Sgomberi di alloggi abusivi e violenza della polizia
• Violento attacco a Bihać
Croazia
• Annegamenti nel fiume Glina
Italia
• Criminalizzazione degli attivisti a Trieste
Grecia
• Sgomberi in tutta la Grecia
• Samos: divieti illegali di viaggio e profilazione razziale
Turchia
• Sviluppi al confine terrestre greco-turco
- Glossario dei report, febbraio 2021
- Struttura e contatto del Network

Generale

Network di segnalazione
BVMN è un progetto collaborativo tra più organizzazioni e ONG che lavorano lungo la rotta dei Balcani occidentali e in Grecia, documentando le violenze ai confini contro i migranti. I membri delle organizzazioni utilizzano un database comune come piattaforma per raccogliere le testimonianze di respingimenti illegali ottenute attraverso interviste.

Terminologia
Il termine pushback è una componente chiave della situazione che si è venuta a creare lungo i confini dell’UE (Ungheria e Croazia) con la Serbia nel 2016, dopo la chiusura della rotta balcanica. Pushback descrive l’espulsione informale (senza giusto processo) di un individuo o di un gruppo verso un altro paese. È in contrasto con il termine “deportazione”, che è condotta all’interno di un quadro giuridico. I pushback sono diventati una parte importante, anche se non ufficiale, del regime migratorio dei paesi dell’UE e di altri paesi.

Metodologia
Il processo metodologico delle interviste sfrutta lo stretto contatto sociale che i nostri volontari sul campo hanno con rifugiati e migranti per monitorare i respingimenti ai confini. Quando gli individui tornano con lesioni significative o storie di abusi, uno dei volontari addetti alla segnalazione delle violenze si siede con loro per raccogliere una testimonianza. Anche se la raccolta di testimonianze in sé si rivolge di solito ad un gruppo non più grande di 5 persone, i racconti possono riguardare anche gruppi di 50 persone. Le interviste hanno una struttura standardizzata che unisce la raccolta di dati (date, geo-localizzazioni, descrizioni degli agenti di polizia, foto di lesioni / referti medici, ecc.) a testimonianze delle violenze.

Abbreviazioni
BiH – Bosnia ed Erzegovina
HR – Croazia
SRB – Serbia
SLO – Slovenia
ROM – Romania
HUN – Ungheria
ITA – Italia
MNK – Macedonia del nord
ALB – Albania
GRK – Grecia
TUR – Turchia
EU – Unione Europea

Tendenze nella violenza alle frontiere

Grave incidente durante un respingimento ungherese
A febbraio, i membri di BVMN hanno raccolto la testimonianza di un pushback che ha coinvolto un uomo di 23 anni proveniente dall’Iran che ha subito una grave ferita alla gamba durante un raid della polizia nell’hotel in cui alloggiava a Budapest (vedi 1.2). L’intervistato ha riferito di essersi rotto una gamba dopo essere saltato da una finestra mentre cercava di evitare l’arresto da parte della polizia ungherese. Gli agenti hanno preso d’assalto l’alloggio a mezzanotte, trattenendo circa 20 persone con l’uso di violenza fisica. Incapace di camminare a causa della caduta, l’uomo ferito è riuscito a nascondersi sul retro dell’edificio, è poi è tornato nella sua camera d’albergo. Al ritorno il personale dell’hotel lo ha costretto a pagare per un’altra notte e per la serratura della porta rotta dagli agenti durante il raid.

L’incursione della polizia in alberghi sospettati di ospitare migranti sembra essere una pratica in crescita in tutta la regione, come analizzato in un’altra sezione del report sui respingimenti dall’Albania. Tuttavia, molte specifiche della pratica rimangono sconosciute e possono variare tra paesi e località. In particolare, non è chiaro se i proprietari degli hotel collaborino direttamente con la polizia. Ciò che si può dire è che questi raid hanno molte caratteristiche in comune con i pattugliamenti urbani aggressivi utilizzati dalle agenzie di frontiera di tutta Europa per arrestare, trattenere ed espellere persone senza documenti. Se la modalità urbana dei respingimenti non è stata esplorata in precedenza in modo approfondito, alcune ricerche sulle vittime delle azioni degli agenti che effettuano deportazioni formali, come la UK Border Force, mostrano livelli simili di lesioni gravi e di morte, e molteplici casi di persone che saltano dalle finestre o si suicidano per sfuggire alla cattura e alla deportazione.

Nel caso in esame, l’intervistato ha eluso il primo raid, ma è stato poi scortato in ambulanza all’ospedale di Péterfy dalla polizia ungherese tornata due ore dopo. All’arrivo, e in presenza di un traduttore, ha fatto richiesta di asilo e un agente di polizia gli ha risposto:

Non c’è asilo in Ungheria“.

L’intervistato è stato quindi esaminato e trattenuto in reparto per tre giorni, sotto costante sorveglianza di due agenti di polizia che hanno sequestrato i suoi dispositivi mobili. L’uomo ha riferito che gli agenti presenti controllavano le cure che riceveva, e che i medici del reparto dovevano chiedere il loro permesso ogni volta che somministravano farmaci. Dopo tre giorni è stato informato che aveva bisogno di un intervento chirurgico. La mattina dopo, poiché aveva dichiarato di non avere i mezzi finanziari per coprire i costi dell’operazione, è stato espulso in Serbia e ha dovuto pagare le stampelle mentre veniva condotto al confine.

I respingimenti di persone bisognose di cure mediche non sono eventi isolati e sono stati documentati in precedenza da BVMN, incluso il caso di un uomo marocchino rimandato in Turchia attraverso il fiume Evros anche se aveva delle stecche di metallo imbullonate alla gamba e aveva bisogno di ulteriori interventi chirurgici.

Queste testimonianze sollevano interrogativi sul ruolo di altre istituzioni civili e attori sociali nel regime di frontiera. In particolare, l’invasione degli spazi medici è motivo di grave preoccupazione perché può spingere le popolazioni vulnerabili a non cercare un sostegno medico nei casi di emergenza. In combinazione con gli raid agli hotel, il transito e l’accesso a misure di sostegno sono sempre più difficili per i migranti.

Espulsioni di massa da Durazzo, Albania

A febbraio, BVMN ha anche documentato l’emergente pratica della polizia albanese di compiere incursioni in alberghi, con conseguenti respingimenti di gruppi di migranti in Grecia. Stando a testimonianze molteplici (vedi 8.18.2 e 8.3) e che coinvolgono circa 200 persone, questi eventi si sono verificati a Durazzo, una città portuale nell’Albania occidentale. I casi dimostrano un modello ricorrente: all’alba, la polizia albanese arriva in albergo, tutti i migranti vengono sgomberati dall’edificio, vengono messi dentro dei furgoni, portati in un sito informale al confine greco-albanese ed espulsi.

Il luogo al centro di questa pratica, denominato “Atlin Hotel“, sembra fornire alloggio a basso costo ai migranti a sud di Durazzo. Soprattutto nei mesi invernali, l’accesso ad un alloggio così conveniente (secondo quanto riferito, una camera per quattro persone costa € 10,00 a notte) è un’ancora di salvezza vitale; offre calore, elettricità e servizi igienici per lavarsi.

Ma nelle ultime settimane questo spazio apparentemente sicuro è stato attaccato. Durante gli sgomberi, gli agenti di polizia albanesi si riuniscono in gran numero e preparano furgoni per caricare gli ospiti dell’hotel, (cosa che suggerisce la natura premeditata delle operazioni). La polizia arresta poi i migranti che si trovano all’interno dell’hotel, affrettando la loro uscita e negando loro il tempo di raccogliere i vestiti invernali, sacchi a pelo, soldi e persino passaporti.

Il motivo di questi atti rimane poco chiaro, anche se un intervistato soggetto a un raid ha riferito che le forze dell’ordine locali sapevano che l’hotel è uno spazio di accoglienza, e che erano stati fatti precedenti interventi per rimuovere alcuni migranti che creavano dei problemi. Un altro intervistato ha dichiarato che il proprietario dell’hotel era in contatto diretto con la polizia, anche se, come per i casi in Ungheria, questo collegamento non è confermato.

Ciò che è esplicitamente chiaro è l’esito violento dei raid. I gruppi allontanati da Durazzo hanno testimoniato di esser stati condotti verso le zone montuose al confine greco-albanese e respinti. Otto persone espulse in questo modo, dopo essere state abbandonate dagli agenti albanesi, hanno dovuto camminare sulla neve per tre giorni indossando solo delle magliette a mezze maniche. Come BVMN ha precedentemente osservato in altre località di confine, siamo di fronte ad geografia dei confini usata come arma contro i migranti, che vengono posti a rischio diretto di ipotermia.

La violenza scandisce ogni parte delle azioni contro i migranti: che si tratti dei raid della polizia effettuati senza alcun preavviso, dell’espulsione collettiva al confine verde o del lungo viaggio di ritorno in Grecia senza vestiti adeguati. Forse la cosa più scoraggiante è la destabilizzazione di presunti spazi di “tregua” (come alberghi / alloggi privati), che diventa un altro esempio dell’estensione dei respingimenti dall’area di confine al territorio urbano. Interrogare queste alterazioni nell’architettura civile, e il loro crescente ruolo nelle logiche di vigilanza e sorveglianza, è la chiave per capire il modo in cui i respingimenti si intrecciano con altre sfere di controllo e repressione contro i migranti.

Porto di Durazzo sulla costa adriatica (Fonte: Exit News)

Trasferimenti marittimi verso Patrasso

A Patrasso, a partire dall’inizio del nuovo anno, ci sono stati alcuni cambiamenti soprattutto per quanto riguarda i tentativi di attraversamento delle frontiere verso l’Italia, la repressione di questi atti e, di conseguenza, anche l’approccio delle comunità di migranti a questa pratica. Infatti, da gennaio, il numero di persone che hanno raggiunto l’Italia è drasticamente diminuito, con tre attraversamenti riusciti in 20 giorni. Ciò è legato al rinnovato impiego di tattiche repressive da parte delle autorità greche all’interno del porto, che hanno generato un clima di paura generale e insicurezza. In alcuni casi ciò ha anche portato ad un aumento delle registrazioni o delle richieste di asilo all’interno della Grecia da parte della comunità di migranti a Patrasso, spinti da una crescente preoccupazione per la fattibilità degli attraversamenti adriatici.

Nonostante la pausa degli attraversamenti, a febbraio è stato registrato un respingimento da Bari a Patrasso (vedi 7.1). L’intervistato, un minorenne afghano, è riuscito a sbarcare dalla nave “Superfast” sulla quale era salito in Grecia, ma all’arrivo è stato fermato dalla polizia italiana in un parco della città di Bari. È stato perquisito dagli agenti e identificato per mezzo della carta bianca emessa in Grecia. Successivamente, il minore è stato trattenuto in questura per un breve periodo e costretto a firmare documenti in italiano senza la presenza di un traduttore. Nonostante avesse chiesto asilo, l’intervistato è stato ignorato, e ha riferito che gli agenti hanno approfittato della sua incapacità di parlare inglese.

Nelle ultime settimane si è avuto un parziale cambiamento, e la seconda metà di febbraio ha visto più persone tentare e riuscire a compiere attraversamenti. Tuttavia, questa tendenza è stata attenuata dalla presunta continuazione di respingimenti dalle città portuali occidentali della Grecia alla Turchia.

Testimonianze condivise da un minore riportano che negli ultimi mesi più persone del solito sono state prese nel porto di Igoumenitsa e spinte verso est attraverso il continente greco fino alla Turchia. Pare inoltre che alcune persone siano state soggette a precedenti espulsioni dall’Italia, cosa che rende questi eventi dei lunghi respingimenti a catena. Ci sono dei precedenti che riguardano l’arresto e l’allontanamento in Turchia dall’ovest della Grecia; a maggio 2020 c’è stato un caso di respingimenti di migranti da Igoumenitsa, anche di coloro che erano in possesso di carte bianche.

Il Superfast ormeggiato sull’Adriatico (Fonte: BVMN)

Incursioni di confine vicino a Izačić

Nonostante l’aumento della violenza e dei respingimenti lungo la frontiera croata, i migranti a Bihać (Bosnia ed Erzegovina) cercano ancora di attraversare il confine alla ricerca di una vita migliore nell’UE. Il 21 febbraio un gruppo stava tentando questo viaggio, e si era fermato per una pausa nella foresta vicino alla zona di confine di Izačić, con l’intenzione di aspettare il tramonto. Al crepuscolo i migranti sono stati sorpresi da un colpo di pistola e hanno visto una dozzina di agenti di polizia croati in uniforme nera e passamontagna entrare in territorio bosniaco da tre punti diversi. Il gruppo, spaventato dagli spari, è fuggito di nuovo verso Bihać, lasciandosi alle spalle gli effetti personali.

Secondo l’intervistato, gli agenti, che corrispondevano alla descrizione della divisione di Interventna, hanno catturato due persone del gruppo prima che potessero fuggire e le hanno picchiate all’interno del territorio croato. L’intervistato ha dichiarato che le due persone sono tornate al loro alloggio provvisorio nei giorni successivi, riportando gravi lesioni fisiche per il pushback.

Non è la prima volta che si verificano incidenti in cui la polizia croata compie incursioni in territorio bosniaco. Nel 2019, i cittadini locali dell’area di Poljana hanno riferito che gli agenti croati sparavano attraverso il confine mentre inseguivano un gruppo di 27 migranti. Un rapporto di BVMN, che ha confermato un’indagine del portale di notizie Zurnal, riportava di agenti armati che inseguivano gruppi di migranti attraverso il confine, con una conseguente lite con la polizia della Bosnia ed Erzegovina. In un caso ancora più grave di violazione è stata segnalata la presenza di agenti di polizia croati in abiti civili nella zona di Cazin.

Nonostante il fatto che l’attuale legge affermi che nessun agente di polizia straniero, su un veicolo ufficiale, possa entrare senza preavviso nel territorio della Bosnia ed Erzegovina, tali incidenti si verificano spesso e poche azioni vengono intraprese contro le autorità croate.

A differenza di questi casi, l’ultima incursione di agenti croati in territorio bosniaco segna una nuova escalation delle pratiche di respingimento. Invece di spingere le persone in territorio bosniaco, sembra che le autorità croate abbiamo effettuato un respingimento “preventivo“.

La polizia croata non solo ha violato il territorio bosniaco prima che avesse avuto luogo qualsiasi attraversamento della frontiera, addirittura, sembra abbia portato i migranti in territorio croato per picchiarli prima di respingerli. La pratica della polizia croata di applicare e ignorare selettivamente le “norme” alle frontiere al fine di agevolare il regime di esclusione dell’Unione europea, spesso in palese violazione del diritto internazionale, è un chiaro segnale del fatto che tali norme servono principalmente a rafforzare le strutture di potere esistenti.

Aggiornamento sulla situazione

Serbia
Transiti interni che si ripetono

Luke Ćelović Park a Belgrado (Fonte: zvucnamapabeograda)

Non è difficile individuare chi, tra i migranti che si riuniscono nel parco Luke Ćelovića a Belgrado, in Serbia, è tornato di recente dal confine rumeno. Alcuni hanno camminato per 24-36 ore, hanno scarpe logore e pantaloni coperti di fango. Altri tornano a Belgrado con taxi che li aspettano nelle città serbe lungo il confine e pagano ingenti somme di denaro per un viaggio di ritorno in città. Pochi hanno le giacche, visto che spesso la polizia rumena le prende e le brucia (vedi 2.1), prima di espellere le persone in Serbia. Tutti mostrano segni di esaurimento e affaticamento.

Non importa quanto traumatico sia stato il respingimento che hanno subito, l’obiettivo rimane quello di recuperare le forze il più velocemente possibile e tornare di nuovo al confine. Tra le altre cose, questo vuol dire recuperare una giacca, un paio di scarpe appropriate e un telefono (per coloro che possono permetterselo). Chi ha i mezzi per farlo può provare il “gioco” due volte a settimana, rendendo il processo dei respingimenti ancora più ciclico ed estenuante.

Tra un tentativo di attraversamento e l’altro, i migranti si riposano in rifugi improvvisati in giro per la città. Un gran numero di migranti va nel Parco Luke, e intorno alla stazione degli autobus di Belgrado; preferiscono stare fuori dai campi ufficiali. La maggior parte di loro sta in alloggi informali intorno al parco, o sotto i ponti, per i pochi giorni necessari per recuperare l’inventario degli oggetti rubati o distrutti dalla polizia rumena.

Il processo di recupero, tuttavia, non è rapido per persone che hanno subito lesioni alla frontiera che spesso causano danni duraturi alla loro mobilità. Sfortunatamente, non è raro vedere piedi rotti o lesioni alle gambe, che costringono le persone a lunghi soggiorni a Belgrado. Con un accesso estremamente limitato all’assistenza sanitaria, il recupero è spesso solo parziale e più lungo e doloroso di quanto dovrebbe essere. La privazione materiale, la mancanza di un alloggio adeguato, ostacoli al transito interno e la mancanza di supporto medico sono tutti fattori della violenza prolungata dei respingimenti, che si fa sentire anche molto tempo dopo l’incidente.

Bosnia ed Erzegovina

Sgomberi di alloggi abusivi e violenza della polizia
All’alba del 24 febbraio, a Bihać, le forze speciali locali in coordinamento con il Servizio per gli Affari Esteri della Bosnia ed Erzegovina (SFA) hanno messo in atto un altro grande sgombero. Gli agenti delle Forze Speciali hanno raggiunto due edifici abbandonati, noti come “Krajina Metal” e “Dom Pensioniera“, con furgoni neri, jeep della polizia e cinque autobus, rimuovendo centinaia di persone che li usavano come rifugi temporanei. Circa 200 persone sono state trasferite al campo di Lipa, che dopo l’incendio di dicembre, è ora sotto diretta gestione della SFA.

Il portavoce della polizia del cantone di Una Sana (USC), Ale Šiljdedić, ha dichiarato che il trasferimento a Lipa è stato deciso per garantire migliori condizioni di vita alla comunità di migranti costretta a vivere in strutture fatiscenti. Šiljdedić ha aggiunto che le persone saranno ospitate nel campo di Lipa “dove riceveranno pasti caldi, vestiti, scarpe, strutture riscaldate, cure mediche e aree igieniche personali“. Ma le condizioni nel campo di Lipa non sono migliori che negli alloggi informali. Il campo è sovraffollato, molte tende non hanno letti e i pasti forniti sono insufficienti.

C’è anche una grave carenza di servizi igienici; solo una dozzina di bagni chimici per più di mille persone. Ma a parte i servizi scadenti, il campo incarna una mancanza di autonomia che porta molti a risiedere in alloggi informali, ad esempio per evitare il controllo dell’accesso, dello spazio e delle risorse da parte della SFA e della polizia.
Le persone portate a Lipa alla fine di febbraio sono state tenute in un’area vicino all’ufficio SFA, mentre alcuni sono stati registrati per le carte d’identità del campo.

Ma nella tarda mattinata dello stesso giorno, la maggior parte ha preso la strada per Bihać ed è tornata agli alloggi informali. Tuttavia, in seguito è stato notato un aumento significativo dei controlli. Ad esempio, la fabbrica abbandonata di Krajina Metal è stata controllata per giorni dalla polizia locale e dalle forze speciali che hanno impedito l’ingresso di giornalisti, organizzazioni umanitarie e attivisti.

Polizia speciale mentre sfratta migranti da “Dom Pensioniera” nel centro di Bihać (Fonte: Altreconomia)

Sebbene l’entità di questi sfratti sia stata significativa, non si tratta né di incidenti nuovi né isolati. Attraverso il confine, i migranti subiscono continue pressioni sul loro accesso all’accoglienza, e si verificano molti casi di violenza della polizia durante i raid in edifici abbandonati. Un incidente registrato da BVMN il 21 gennaio illustra questi abusi.

Un gruppo di 17 uomini e un minorenne (provenienti da Yemen e Marocco) stavano aspettando in una casa abbandonata nella zona di confine, per riposarsi prima di proseguire verso la Croazia. Improvvisamente sono arrivate due auto della polizia, che trasportavano due agenti bosniaci in uniforme scura e due agenti in borghese. Gli agenti hanno ordinato ai migranti di pagare ciascuno 50 €, poi hanno rubato i loro power bank e telefoni (la polizia ha tenuto quelli buoni e ha distrutto quelli che non voleva). Gli agenti hanno anche perquisito i migranti alla ricerca di armi e hanno trovato un tagliaunghie di proprietà del minore.

L’intervistato ha riferito che gli agenti lo hanno punito per il possesso di questa “arma” picchiandolo fino a fargli perdere conoscenza. Quando i suoi compagni hanno chiesto di poter aiutare il minore, gli agenti hanno negato il permesso e hanno gridato “Vi finiremo!“, puntando le pistole contro il gruppo.

I migranti sono stati obbligati a spogliarsi e sdraiarsi sul pavimento, con le mani piegate dietro la testa, e la polizia ha iniziato a picchiarli sulla schiena con pugni e manganelli. Secondo quanto riferito dal testimone intervistato, durante il pestaggio e gli insulti gli agenti di polizia stavano ballando e cantando, eccitati dalla situazione.

Dopo che la polizia se n’era andata, siamo rimasti stesi a terra immobili per altri 15 minuti perché avevamo paura che, se avessimo iniziato a muoverci, sarebbero tornati indietro e ci avrebbero punito“.

Questi incidenti dimostrano che le pratiche di sgombero non hanno lo scopo di fornire alle popolazioni vulnerabili condizioni di vita più sostenibili, ma sono meglio intese come violenza progettata per rendere la vita insopportabile per i migranti.

Violento attacco a Bihać

Il 10 febbraio 2021, due uomini sono stati brutalmente attaccati a Bihać da un gruppo locale che ha affermato di volersi “vendicare” per uno scontro avvenuto in precedenza tra i membri della comunità di migranti e la popolazione locale. Alvir Gverić era tra le persone del posto coinvolte nello scontro precedente, e suo fratello, Mirhad Gverić, è stato accusato di aver cercato “giustizia” guidando un gruppo in questa orribile imboscata. Secondo gli investigatori, Mirhad Gverić aveva già precedenti penali, è stato precedentemente condannato e perseguito per “comportamento violento” e “tentativi di contrabbando di migranti“.

In un video ripreso dagli aggressori e descritto nell’articolo di Istraga, è possibile identificare “persone che picchiano due migranti, che implorano aiuto, con pugni, pedate e manganelli“. “Picchierai i nostri figli“, ha detto l’uomo, mentre registrava una delle vittime sdraiate a terra. Quello che spicca è la natura performativa di questo incidente, registrato con i telefoni e successivamente postato sui social dagli stessi aggressori, con il messaggio: “coloro che difendono i migranti in pubblico dovrebbero vederlo“.

Atti dimostrativi di estrema violenza come questo non si limitano alla Bosnia ed Erzegovina. A maggio 2020, in Serbia, un uomo ha guidato la sua auto dentro un centro di accoglienza per migranti a Obrenovac (Belgrado), filmandosi in diretta su Facebook mentre gridava messaggi razzisti contro i migranti. Questi episodi di violenza perpetrati dalla popolazione locale devono essere compresi nel contesto più ampio della violenza sistemica mostrata dalle autorità contro i migranti sia all’interno dei paesi che nelle zone di frontiera. Tale comportamento da parte delle autorità serve a legittimare le azioni dei vigilantes. Come affermato da Transbalkanska Solidarnost, è causa di seria e continua preoccupazione per i diritti umani e la giustizia il fatto che:

nessuno nel cantone di Una Sana e in altre parti della Bosnia ed Erzegovina sia stato finora punito per violenza contro i migranti. Questo significa che le autorità sostengono la violenza contro i migranti?

Croazia

Annegamenti nel fiume Glina

Il fiume Glina che confina con la Croazia e la Bosnia ed Erzegovina (Fonte: Total Croatia News)

Il 14 febbraio 2021, il corpo di una persona di nazionalità turca è stato trovato nel fiume Glina, che segna parte del confine tra Croazia e Bosnia ed Erzegovina. Come riporta Total Croatia News, l’uomo faceva parte di un gruppo che aveva tentato di attraversare il fiume Glina due notti prima. L’oscurità notturna rendeva difficile rendersi conto della profondità dell’acqua. Inoltre, le temperature estremamente basse potrebbero aver contribuito alla morte dell’uomo. Il suo corpo è stato trovato da funzionari croati e il caso è stato consegnato alla procura bosniaca.

Questa morte tragica ma del tutto prevenibile deve essere vista nel contesto dell’altrettanto prevenibile catastrofe che si sta svolgendo nel cantone nord-occidentale di Una Sana in Bosnia ed Erzegovina. In seguito alla chiusura del campo Bira a Bihać, allo scoppio di un enorme incendio che ha distrutto Lipa e ad un più ampio deterioramento dei servizi medici e di altri sistemi di supporto in USC, i migranti hanno uno spazio sempre più ristretto all’interno del cantone. Per molti ciò significa continuare a cercare di attraversare il confine con la Croazia, nonostante le sfide dell’inverno.

Durante e dopo l’attraversamento, le pratiche delle autorità croate, ed in particolare la sempre presente paura dei respingimenti, costringono le persone a provare sentieri sempre più remoti, a guadare fiumi piuttosto che attraversare ponti, anche se i membri dei gruppi non sono in grado di nuotare. Inoltre, le temperature invernali, insieme alla pratica degli agenti croati di requisire e bruciare i vestiti dei migranti, aumentano il rischio di ipotermia e di malattie per i gruppi in transito. Quest’ultima morte non è stata un tragico incidente; è stata causata dall’interazione tra un ambiente ostile e le brutali pratiche di frontiera delle autorità croate.

Italia

Criminalizzazione degli attivisti a Trieste

A Trieste, all’alba del 23 febbraio 2021, la polizia italiana ha fatto irruzione nella casa di Gian Andrea Franchi e Lorena Fornasir, che funge anche da sede dell’associazione Linea d’Ombra ODV, che dal 2019 è impegnata nel sostegno ai migranti in arrivo dalla rotta balcanica. Gli agenti hanno notificato a Gian Andrea l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina a scopo di lucro; una calunnia infondata e parte di una più ampia tendenza alla criminalizzazione della solidarietà.
Le autorità hanno sequestrato telefoni, un computer e un hard disk, oltre ad alcuni libri contabili dell’associazione. L’accusa riguarda un episodio risalente a luglio 2019 in cui Gian Andrea ha aiutato una famiglia curda iraniana, che era già stata a Trieste, accogliendola nella sua casa e aiutandola a prelevare denaro inviato dai parenti tramite Western Union.

L’indignazione provocata da questo attacco ha sollevato un’ondata di solidarietà nei confronti di Gian Andrea, Lorena e Linea d’Ombra, da tutta Italia e dai Balcani. Con le stesse accuse, migliaia di persone solidali con i migranti potrebbero essere indagate per semplici gesti di assistenza. I blitz della polizia contro gli attivisti, infatti, sono un fenomeno in crescita e la sera del 1° marzo, anche quattro membri di Mediterranea (l’associazione proprietaria della nave di soccorso Mare Jonio) sono stati accusati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

Per protestare contro la criminalizzazione della solidarietà e a sostegno di Gian Andrea e dei quattro della Mediterranea, l’assemblea di Linea d’Ombra ha lanciato un comunicato che ha raccolto quasi 1.200 firme in soli quattro giorni. Insieme ad ASGI e Caterina Bove, nominata rappresentante legale, è in corso di preparazione la difesa legale dell’associazione con base a Trieste. Come ha osservato Gian Andrea in un comunicato, si tratta principalmente di una battaglia politica, e non basata sul rispetto della legge.

Grecia

Sgomberi in tutta la Grecia

Con la fine del programma Filoxenia, attraverso il quale l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) ha dato accoglienza a richiedenti asilo e rifugiati ad Atene, Salonicco e Corinto, 6.898 persone sono ora a rischio sfratto. Molti di coloro che sono ospitati all’interno di queste strutture si trovano nelle fasi finali della procedura di asilo, in attesa delle loro carte d’identità e dei documenti di viaggio. Il processo per ottenere tali documenti può richiedere mesi se non anni, rendendo complicato per le persone lavorare legalmente, affittare un appartamento o ottenere un’assicurazione sanitaria. Bloccati in un limbo amministrativo, impossibilitati a lasciare la Grecia e trattenuti dai fallimenti strutturali che rendono difficile l’integrazione e l’auto-sufficienza in Grecia, i migranti rischiano seriamente di diventare senzatetto o di subire ulteriore sfruttamento.

Verso la fine di febbraio, diversi alberghi dell’OIM a Salonicco e Atene sono stati sgomberati con la forza. A Salonicco, le persone sono state costrette a salire a bordo di autobus per andare ad Atene, e in alcuni casi il personale dell’OIM ha detto di “andare a piazza Viktoria [Atene] per protestare“, alludendo a una situazione simile verificatasi nell’estate del 2020, quando centinaia di famiglie hanno occupato la piazza, e sono state ripetutamente attaccate dalla polizia. Ad Atene, l’Achillion Hotel è stato sgomberato con la forza, e la polizia ha trascinato fuori coloro che si rifiutavano di andarsene.

Il fine settimana del 26 febbraio, diverse famiglie hanno dormito di nuovo in piazza Vittoria. Con l’aumento del numero di famiglie in piazza da venerdì a domenica, la presenza e le azioni della polizia sono aumentate, sia nei confronti dei migranti che di coloro che esprimono solidarietà. Domenica sera (28 febbraio), le famiglie sono state portate al centro di detenzione di Amygdaleza dalla polizia. Non esiste una base giuridica per la loro detenzione e non sono state fornite informazioni sulla durata del trattenimento. Le persone non sono state informate della loro destinazione, e quando la polizia è stata interrogata in proposito, ha riferito che i migranti sarebbero stati portati in un campo e che successivamente avrebbero ricevuto un alloggio. Finora ciò non si è verificato.

Oltre agli sfratti di massa da parte dell’OIM, anche le ONG più piccole che forniscono alloggi stanno seguendo l’esempio e stanno sfrattando i migranti. Ciò sembra essere in parte dovuto all’aumento della pressione esercitata dal governo greco sulle ONG che operano nel settore dell’immigrazione e, in parte, ciò riflette i cambiamenti negli approcci istituzionali alla migrazione e all’asilo in Grecia.

Man mano che il clima si fa più caldo e con ulteriori sfratti previsti ed effettuati, è probabile che centinaia, se non migliaia di persone dormiranno per le strade durante questa primavera ed estate.

Persone in strada a Corinto (Fonte: Popular Rally of Corinth)

Samos: divieti illegali di viaggio e profilazione razziale

Dall’introduzione delle misure Covid-19 a novembre 2020, sono state imposte restrizioni di viaggio sull’intero territorio greco. Samos, contrariamente al resto del distretto amministrativo dell’Egeo settentrionale, è stata esplicitamente esclusa dal divieto di viaggio, a causa dello stato di emergenza che è in vigore dal terremoto di magnitudo 6.6 del 30 ottobre.

Per effetto di questa esenzione, i documenti giustificativi, come la prova dell’indirizzo, la residenza permanente o il motivo del viaggio, non sono necessari per viaggiare verso o fuori dall’isola. Tuttavia, ci sono stati diversi casi di divieti di viaggio illegali imposti a individui della comunità dei rifugiati e dei migranti. Le persone con status di rifugiato che hanno il diritto legale di lasciare Samos e desiderano recarsi in traghetto verso la Grecia continentale, sono state costrette dalla guardia costiera ellenica a mostrare i documenti giustificativi durante il viaggio, e alla fine si sono visti vietare in modo illegittimo l’accesso al traghetto nonostante avessero un biglietto valido. Inoltre, i biglietti non sono stati rimborsati.

È importante sottolineare che non vengono richiesti requisiti simili per i cittadini greci e i cittadini dell’Unione europea. Questa differenza di trattamento da parte delle autorità nei confronti della comunità dei rifugiati e dei migranti costituisce una discriminazione diretta di profilazione razziale. Questa discriminazione nega l’accesso delle persone a beni, servizi e diritti ed è illegale ai sensi sia della legge greca 4443/2016 che della direttiva 2000/43/CE del Consiglio dell’UE. La profilazione razziale, come esemplificato dai divieti di viaggio illegittimi imposti alla comunità dei migranti e dei rifugiati, viola anche il diritto all’uguaglianza al cospetto della legge e alla protezione contro le discriminazioni. Eppure la pratica continua ancora oggi, nonostante le denunce ufficiali presentate da attori legali sull’isola.

Turchia

Sviluppi al confine terrestre greco-turco

Alla fine di gennaio, la costruzione della nuova recinzione al confine terrestre tra Grecia e Turchia, inizialmente annunciata dal governo greco nell’agosto 2020, è stata completata. Ad ottobre 2020, un portavoce del governo ha specificato che la recinzione di filo spinato eretta nel 2012 era stata fortificata con una nuova recinzione più alta eretta dietro quella vecchia. Questo era stato fatto lungo un tratto di 10 km intorno al valico di frontiera Kastanies / Pazarkule, dove migliaia di persone erano state bloccate a marzo 2020 a seguito della disputa sull’accordo UE- Turchia. Inoltre, è stato installato un sistema di sorveglianza con termocamere. Fino ad ora non è ancora chiaro se tutta la recinzione, lunga 26 km, sia stata completata. Nel frattempo, la maggior parte del confine di 200 km rimane senza recinzione, diviso geograficamente dal fiume Evros / Meriç.

Molti gruppi riferiscono che le forze di confine turche non impediscono e spesso facilitano gli attraversamenti verso la Grecia lungo il fiume Evros / Meriç, ma d’altra parte diversi migranti hanno dichiarato a Josoor (membro di BVMN) che il loro tentativo di scalare la recinzione al confine terrestre è stato ostacolato dalle forze turche. Un gruppo ha riferito di aver scalato con successo la recinzione, ma di essere stato arrestato dai soldati greci poco dopo. Diversamente dal solito, questo gruppo non è stato successivamente trattenuto (come nella maggior parte dei casi), ma piuttosto respinto direttamente al valico ufficiale di frontiera di Kastanies/ Pazarkule.

Nonostante la costruzione della nuova recinzione, gli attraversamenti sono aumentati in modo significativo nel corso dell’ultimo mese, probabilmente a causa del clima più caldo. Inoltre i team di BVMN che operano sul campo hanno registrato più di un raddoppio dei respingimenti dalla Grecia alla Turchia. L’uso delle isole Evros/Meriç (vedi. 11.6), descritto nel report di novembre, si è ripresentato nelle testimonianze di febbraio. Nel frattempo, il presunto coinvolgimento del personale di Frontex (vedi. 11.2) nei respingimenti nella zona si ritrova in molte testimonianze raccolte nel corso di febbraio. Ciò illustra il proseguimento di un trend sempre più documentato nell’ultima parte del 2020 dai membri BVMN.

Recinzione al confine greco-turco (Fonte: Josoor)

Glossario dei report, febbraio 2021.
A febbraio 2021, BVMN ha raccolto testimonianze di 44 respingimenti, che hanno coinvolto 1133 migranti. Le persone coinvolte sono uomini, donne, bambini con accompagnatori e minori non accompagnati che provengono da Afghanistan, Bangladesh, Pakistan, Iran, Marocco, Tunisia, Algeria, Palestina, Siria, Iraq, Kurdistan, Somalia e Chad.
• 10 respingimenti verso la Serbia (1 a catena dalla Slovenia, 2 dalla Croazia, 4 dall’Ungheria e 3 dalla Romania)
• 18 respingimenti in Bosnia ed Erzegovina (3 a catena dalla Slovenia e 15 dalla Croazia)
• 7 respingimenti in Grecia (1 dall’Italia, 3 dall’Albania, 1 dalla Macedonia del Nord e uno a catena dalla Serbia)
• 9 respingimenti in Turchia (tutti dalla Grecia)

Struttura e contatti della rete
BVMN è un organismo volontario, che agisce come un’alleanza di organizzazioni nei Balcani occidentali e Grecia. BVMN si basa sugli sforzi dei partecipanti e di organizzazioni che operano nel campo della documentazione, dei media e della difesa legale. Finanziamo il lavoro attraverso sovvenzioni e fondazioni caritatevoli, e non riceviamo fondi da alcuna organizzazione politica. Le spese riguardano i trasporti per i volontari sul campo e quattro posizioni retribuite.

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