Contro i tagli alla cooperazione e alla civiltà

il: 21 Maggio 2013

A partire dal 23 maggio il Consiglio provinciale trentino discuterà i due disegni di legge atti a ridimensionare o addirittura cancellare l’apporto pubblico alla “cooperazione internazionale”. Noi pensiamo che la cooperazione internazionale sia “altra cosa” da quanti la identificano parlando soltanto di sprechi di denaro pubblico.
E’ innanzitutto una pratica sociale, orizzontale, collettiva e necessaria per rimuovere le “cause” dell’impoverimento, delle violenze nei confronti delle donne e dei bambini, per difendere gli ecosistemi, l’acqua e i beni comuni in ogni parte del mondo. Per sostenere le culture e le autonomie dei territori.
E’ un sistema di relazioni solidali che ci unisce in un senso comune di dignità e uguaglianza per ristabilire la democrazia, la giustizia sociale e ambientale.
Per questo la cooperazione internazionale è qualcosa di diverso da una semplice voce di bilancio.
Per questo siamo contro ai tagli alla cooperazione e alla civiltà.
Quale valore diamo alla cooperazione internazionale? E’ un cerotto da mettere qua e là per rispondere a situazioni emergenziali? E’ solidarietà e assistenza verso persone meno fortunate di noi? Se è questo il valore che diamo alla cooperazione internazionale allora può essere considerata una voce di bilancio come un’altra. E quindi via libera ai tagli nei momenti di crisi, magari con il consenso più o meno trasversale di tutte le forze politiche e dell’opinione pubblica.
“Non ci sono soldi per noi, figuriamoci per loro!”. E’ questa l’idea su cui si cementano i recinti del separatismo e della chiusura. Tracciare una linea tra “loro” e “noi” è la forma più semplice per identificare la cooperazione internazionale in senso unidirezionale e assistenzialista.
Le Politiche della Banca Mondiale, il Fondo monetario internazionale, la cooperazione internazionale istituzionale, che ormai dettano la linea anche di alcune linee programmatiche della cooperazione decentrata, considerano la “povertà” un dato senza origine”, una serie di percentuali e di statistiche. La povertà si allontana dalla politica e si trasforma in un problema tecnico a cui devono rispondere le politiche degli Stati e della cooperazione internazionale attraverso azioni che non cambiano strutturalmente il sistema ma che finiscono per consolidarlo.Terzo mondo, Paesi poveri, meno avanzati, sottosviluppati, arretrati, in via di sviluppo. Il lessico delle differenze globali fra “Nord” e “Sud”, fra paesi cosiddetti occidentali e resto del mondo ha uno strumentario di parole molto ricco. Tutte accumunate da una caratteristica: l’utilizzo di un criterio geografico per descrivere il divario di ricchezza materiale e di sviluppo economico. Certo, la gran parte delle ricchezze globali continua ad avere domicilio in Nord America e in Europa o a dormire ancora sonni tranquilli in qualche paradiso fiscale. E già qua si affaccia un problema: le Isole Cayman sono nel Nord o nel Sud del Mondo? Ma non serve un approfondito studio della geografia per stabilire che “Nord” e “Sud” del mondo sono categorie ormai inadeguate a descrivere gli squilibri mondiali. Anche se allarghiamo il Nord ai Paesi a forte crescita, ad iniziare da quelli del Bric (Brasile, Russia, India e Cina), il confronto non regge più. La polarizzazione radicale della ricchezza, caratterizzata peraltro da un alto dinamismo, si gioca oggi all’interno di ogni Paese, riguarda il tessuto sociale ed economico di ogni regione, mette sullo stesso piano super ricchi di ogni angolo del Pianeta, detentori di grandi patrimoni e padroni di interi settori economici, e una crescente massa di impoveriti, coloro cioè che all’interno di ogni Paese vivono una condizione di crescente depauperizzazione in termini di ricchezza materiale, reddito, opportunità, benessere inteso in senso più ampio. In Italia ad esempio il 10% delle famiglie dispone del 50% della ricchezza dell’intero Paese. I milionari aumentano soprattutto al “Sud”. Secondo il Credit Suisse Global Wealth Report, uno degli strumenti più completi e approfonditi di misurazione della ricchezza globale, dal 2011 al 2012 i Paesi che hanno visto crescere di più il numero dei milionari (adulti che hanno una ricchezza superiore al milione di dollari) sono Stati Uniti, Giappone, ma sebbene in misura minore anche Perù, Cile, Marocco, Colombia, Filippine, Tailandia, Emirati Arabi e Hong Kong. Dall’altra parte sono soprattutto europei i Paesi che hanno perso il maggior numero di milionari: Italia, Francia, Germania, Danimarca, Australia, Svezia, Canada, Brasile, Taiwan Spagna.
L’Europa perde ricchezza. Dal 2011 al 2012 la ricchezza globale è diminuita del 5,2% assestandosi a 223 mila miliardi di dollari. Della perdita complessiva di ricchezza di 12,3 mila miliardi di dollari, l’Europa è la maggior responsabile con 10,9 mila miliardi “bruciati” (88,6%) -su cui però influisce in maniera determinante il consistente deprezzamento dell’euro rispetto al dollaro. L’area dell’Asia e del Pacifico, escluse India e Cina, è responsabile di una perdita netta di ricchezza di 1,3 mila miliardi di dollari. Nel mondo circa 29 milioni di persone hanno a disposizione una ricchezza superiore al milione di dollari: sono l’1% e controllano il 40% di quella globale. I soggetti con patrimoni netti superiori a 50 milioni di dollari sono circa 84.500 di cui il 47% risiede in nordamerica, il 26% in Europa e un 15% nei paesi di Asia-Pacifico, il 5,6% in Cina.
Una piramide sempre più iniqua. Per misurare la distribuzione della ricchezza globale ci serve una piramide che aumenta ogni anno in altezza. Sempre secondo il Credit Suisse Global Wealth Report a fronte dei 29 milioni di super ricchi, ammontano a quasi 3,2 miliardi coloro che hanno meno di 10.000 dollari all’anno. In mezzo ci sono due fasce di classi medie il cui numero di persone diminuisce all’aumento della ricchezza presa in considerazione. Se si osserva la piramide con un criterio geografico, si osserva che sono sempre i Paesi europei e del Nord America a popolare le fasce più alte, mentre alcune aree geografiche, come l’Africa e l’India arrivano quasi al 100% di presenza nella zona “bassa”. Questo fatto è però dovuto alla grande concentrazione di popolazione in alcuni Paesi che hanno contemporaneamente anche una grande polarizzazione della ricchezza.
Il “Sud” quindi aumenta al “Nord” e il “SuperNord” aumenta al “Sud”. Il coefficiente di Gini, il misuratore della disuguaglianza nella distribuzione del reddito e della ricchezza (il valore 0 corrisponde alla pura equidistribuzione, il valore 1 significherebbe tutto in mano ad una sola persona) ha andamenti regionali molto diversi fra loro. Ha ancora valori piuttosto bassi (fra 0,25 e 0,34 in Europa, decrescendo se si guarda ai paesi scandinavi) mentre è piuttosto alto (fra 0,45 e 0,49) in Cina e negli Stati Uniti. La maggior diseguaglianza, secondo questo indicatore, risiede in Sudafrica (0,6) e in Brasile (oltre lo 0,5).

E quindi chi sono “loro” e chi siamo “noi”?
Siamo in tanti, in ogni parte del mondo, a pensare che la cooperazione internazionale sia “altra cosa”. E’ innanzitutto una pratica sociale, orizzontale, collettiva, per rimuovere le cause dell’impoverimento, per la difesa degli ecosistemi, dell’acqua e dei beni comuni in ogni parte del mondo. Per sostenere le culture e le autonomie dei territori, tanto in Trentino quanto nella foresta amazzonica. E’ quindi un sistema di relazioni solidali che non dividono “noi” da “loro” ma che ci uniscono in un senso comune di dignità e uguaglianza per ristabilire la democrazia e la giustizia sociale e ambientale. C’è differenza tra un contadino impoverito della Bolivia e un contadino impoverito di Rosarno? C’è differenza tra i 2000 morti travolti dalla diga del Vajont 50 anni fa, e i centinaia di sfollati di oggi a causa della diga di El Quimbo costruita da Enel in Colombia? Chi non arriva a fine mese nel nostro Paese e si dà fuoco per disperazione, è tanto diverso da un cileno o da un africano che muore per gli stessi motivi? Secondo noi no. Per questo la cooperazione internazionale è qualcosa di diverso da una voce di bilancio.