ECOSISTEMA ACQUA

il: 15 Giugno 2023

16 giugno dalle ore 15.00 Lavis (Trento) – Auditorium comunale – Dalle ore 15.00

Al referendum del 12 e 13 giugno 2011, 26 milioni di cittadini italiani sancirono che sull’acqua non si sarebbe potuto più fare profitto. E con quel “Sì” tracciato sulla scheda -si trattava del secondo di quattro quesiti su servizio idrico, nucleare e legittimo impedimento- decisero di abrogare (parzialmente) una norma relativa alla tariffa dell’acqua che prevedeva l’“adeguata remunerazione del capitale investito”. Togliere quel passaggio comportava niente più margini, finanza speculativa o business, semmai un servizio efficiente a fronte di investimenti sulla rete tangibili, ad esempio per ridurre le perdite. In forza del fatto che “il diritto all’acqua potabile e sicura ed ai servizi igienici” -come sancito dalla risoluzione delle Nazioni Unite del 26 luglio 2010- è “un diritto umano essenziale al pieno godimento della vita e di tutti i diritti umani”.

A dodici anni di distanza da quella marea blu è tempo di fare un bilancio. Perché la promessa “nessun profitto” non solo non sarebbe stata mantenuta, ma secondo chi ha studiato i conti economici dei gestori del servizio, i piani d’Ambito, le tariffe applicate negli ultimi anni in Italia e pagate dai cittadini per utilizzare l’acqua del rubinetto, sarebbe stata addirittura tradita. In un quadro dove l’attore pubblico -in veste di ente locale, azionista delle società o ente regolatore- continua a indossare gli abiti (e i comportamenti) del privato.

Spiega Paolo Carsetti, anima del Forum italiano dei movimenti per l’acqua (acquabenecomune.org): “Negli ultimi dieci anni le tariffe del servizio idrico sono aumentate di oltre il 90% a fronte di un incremento del costo della vita del 15%, dati della CGIA di Mestre alla mano”. E ancora: “Se analizziamo i bilanci delle quattro grandi multiutility quotate in Borsa che gestiscono anche l’acqua -A2a, Acea, Hera e Iren- rileviamo come tra il 2010 e il 2016 si è passati dal 58% dell’impatto degli investimenti sul margine operativo lordo al 40%. Evidentemente l’aumento degli investimenti assicurato non c’è stato. E di tutti gli utili prodotti da queste quattro società, oltre il 91% sono stati distribuiti come dividendi”.

Dopo anni e anni di incuria del territorio, delle acque, del clima, era inevitabile che molti, a partire dalla politica e dalle istituzioni, si trovassero poco preparati a dover fronteggiare un fenomeno drammatico per ogni essere vivente come la siccità. 


DOCUMENTO FORUM MOVIMENTI ACQUA SU DECRETO SICCITA

Dal 2000 il numero e la durata delle siccità sono aumentati del 29%. Dal 1970 al 2019 il 50% dei disastri a livello globale è stato provocato da eventi meteorologici e idrici. 

“Entro il 2050 la siccità potrebbe colpire più di tre quarti della popolazione mondiale e si stima che 4,8-5,7 miliardi di persone vivranno in aree con scarsità d’acqua per almeno un mese all’anno, rispetto ai 3,6 miliardi di oggi, fino a 216 milioni di persone potrebbero essere costrette a migrare entro il 2050, in gran parte a causa della siccità in combinazione con altri fattori come calo della produttività delle colture, innalzamento del livello del mare e sovrappopolazione”…..”dobbiamo orientarci verso le soluzioni, piuttosto che continuare con azioni distruttive.” UNCCD (Convenzione contro la desertificazione). 

Peraltro, ondate di calore e siccità si alternano a fenomeni alluvionali estremi, provocando impatti sempre più pesanti e imprevedibili. Secondo l’OMS l’Italia si colloca a un livello di stress idrico medio-alto e il 20% del nostro territorio è già considerato a serio rischio di desertificazione, con punte del 70% nel meridione, in particolare in Sicilia. 

Il processo è già in corso. In base a quanto dichiarato da Confagricoltura, il 2022 si è classificato nel primo semestre l’anno più caldo di sempre con una temperatura addirittura superiore di 0,76 gradi rispetto alla media storica con precipitazioni praticamente dimezzate lungo la penisola, con un calo del 45%. I danni saranno superiori a quelli del 2017, altro anno siccitoso costato 2 miliardi di mancati profitti all’agricoltura. 

La crisi idrica del 2022 e quella dell’inizio di quest’anno hanno fatto emergere le responsabilità di un sistema di gestione caratterizzato da una decennale mancanza di pianificazione e investimenti infrastrutturali perché piegato ad una logica privatistica che punta esclusivamente alla massimizzazione del profitto. Questo sistema è andato a sovrapporsi al fenomeno del surriscaldamento globale e dei relativi cambiamenti climatici di cui esso stesso è corresponsabile, impattando negativamente sulla disponibilità dell’acqua per uso umano, sull’agricoltura e più in generale sull’ambiente. Occorre anche riflettere attentamente sull’attuale modello di pianificazione urbana asservita agli interessi della speculazione immobiliare, che vede città sempre più cementificate, asfaltate e private del verde, una delle prime cause del consumo e dell’impermeabilizzazione del suolo e della siccità, fenomeni strettamente intrecciati. Vogliamo portare un esempio della gestione irresponsabile che si fa di questa risorsa gettando uno sguardo a ciò che sta succedendo in Val Susa per una grande opera inutile come il TAV. 

Qui da anni si verifica un colossale spreco di acqua, tanto più colpevole in epoca di siccità. Dalle falde intercettate dalle trivelle, su base annua fuoriesce un volume di acqua che sarebbe sufficiente al fabbisogno di una comunità di 40.000 persone! Insomma, siamo in presenza di un dato strutturale, per cui cambiamento e surriscaldamento climatico, siccità e fenomeni alluvionali estremi si intrecciano e si rafforzano tra loro, chiamando in causa un modello di sviluppo regressivo e invocando la necessità di risposte di fondo, radicali nella loro impostazione e realizzazione. Il dato del cambiamento e del surriscaldamento climatico è ulteriormente aggravato dal fatto che, al di là di accordi e dichiarazioni di facciata, in realtà non esiste un approccio condiviso a livello globale tra i diversi Stati rispetto a questo tema, anch’esso oggetto delle contese geopolitiche e dei rapporti di potere in atto nel mondo, che non casualmente portano alla guerra, le cui origini e conseguenze molto hanno a che fare con il controllo e l’accaparramento delle risorse naturali. 

Peraltro, è importante evidenziare che, all’interno di questa tendenza al surriscaldamento climatico, il Mediterraneo registra un allarmante incremento rispetto alla media globale, più del 20%, che, assieme al calo delle precipitazioni, ne fanno uno dei punti maggiormente a rischio nel pianeta. 

IL DECRETO SICCITÀ DEL GOVERNO È SBAGLIATO E VA IN UN’ALTRA DIREZIONE. Il decreto legge di iniziativa del governo 14 aprile 2023 n.39 “Disposizioni urgenti per il contrasto della scarsità idrica e per il potenziamento e l’adeguamento delle infrastrutture idriche” si muove lungo alcune direttrici fondamentali: – la creazione di un sistema di “governance”, basato su una Cabina di regia, presieduta dal ministro delle infrastrutture e dei trasporti, su delega del Presidente del Consiglio dei Ministri, e sulla nomina di un Commissario straordinario nazionale per l’adozione degli interventi urgenti, che va ad aggiungersi ai numerosi commissari già oggi esistenti. 

La Cabina di regia e il Commissario straordinario, che resta in carica Pag. 3 fino alla fine del 2023 e che può essere prorogata fino alla fine del 2024 e che può operare in deroga ad ogni legge diversa da quella penale, hanno il compito di svolgere entro 30 giorni una ricognizione degli interventi urgenti da realizzare. Già questo approccio indica che non si è capito ancora che questa siccità legata alla crisi climatica non è occasionale ma sarà ormai sistemica: non occorrono commissari con poteri speciali, ma la definizione di compiti precisi per affrontare problemi che si conoscono da anni, acuiti adesso dalla crisi climatica, e la messa in rete di tutte le autorità idriche e idrauliche già presenti sui territori in modo da mettere in atto tutte le possibili sinergie. Inoltre, si parla di opere urgenti da realizzare, senza dar conto che nel Pnrr erano previsti 124 interventi per infrastrutture idriche e adesso si dice che solo una trentina verranno realizzate entro il ‘26. Non a caso, la Corte dei Conti, in una sua recente relazione, ha rilevato una evidente difficoltà pianificatoria proprio da parte del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti; – la semplificazione delle procedure e delle norme per la realizzazione di questi interventi. 

Viene introdotta la possibilità di ricorrere a poteri sostitutivi da parte della Cabina di regia e di “superamento del dissenso (sic!)” nei casi di opposizione di un Ente territoriale interessato; 

si riducono i tempi relativi allo svolgimento della Valutazione di Impatto Ambientale per l’adeguamento e la realizzazione delle dighe; 

si stabilisce la non assoggettabilità alla VIA per gli impianti di desalinizzazione con capacità inferiore a 200 l/s. 

Non c’è bisogno di commentare più di tanto questi provvedimenti, che confermano una logica di indebolire i controlli e dare via libera alle grandi opere; – la realizzazione e il potenziamento-adeguamento delle infrastrutture idriche. Nel merito, è questo il cuore del decreto siccità. L’idea è quella di realizzare grandi dighe e nuovi invasi, cui era già previsto andassero la gran parte delle risorse stanziate per la risorsa idrica nel PNRR (più di 2 mld di € su un totale di circa 4 mld). 

Da più parti si sostiene che una giusta politica degli invasi dovrebbe concentrarsi solo su quelli per la raccolta dell’acqua piovana, soprattutto nell’ambito degli agroecosistemi, cercando di non sottrarre l’acqua ai fiumi e alla ricarica delle falde, mentre ora viene prospettata l’intenzione di realizzare vere e proprie grandi dighe, una soluzione fuori dal tempo, fortemente impattante dal punto di vista ambientale, non in grado di risolvere i problemi posti dalla situazione di siccità, se si tiene conto del fatto che il loro riempimento diventa sempre più difficile a causa del mutato regime delle precipitazioni e dall’incremento delle perdite per evaporazione. 

Ancor più inquietante, poi, sono passi che sembrano indicare che la reale finalità di questi interventi sia quella di sostenere le aziende interessate alla costruzione delle grandi opere e, in particolare, Webuild (ex Salini-Impregilo). Che questa non sia solo un’impressione è dimostrato dal fatto che la costruzione di una delle dighe più importanti da mettere in funzione, la diga foranea relativa al porto di Genova (che peraltro non ha nulla a che fare con la creazione di nuovi invasi) finanziata con ben 500 mln dal PNRR, è già stata aggiudicata a Webuild, che la stessa ha forti interessi ed esperienza nel campo della desalinizzazione e, se vogliamo allargare lo sguardo, sempre Webuild è la candidata più accreditata per gestire la costruzione del ponte sullo stretto di Messina; – il riutilizzo delle acque depurate per uso irriguo. Questo potrebbe rappresentare l’unico punto positivo del decreto, anche se troppo vago, perchè consentirebbe di risparmiare acqua in modo consistente. Purtroppo oggi il recupero è fermo a livello nazionale al 4% e le risorse ad esso dedicate sono ferme ai 600 mln di € previste nel PNRR per interventi nel campo della depurazione e delle fognature, totalmente insufficienti rispetto ad un fabbisogno stimato almeno in 3,6 mld di €. Per riutilizzare l’acqua che esce dai depuratori a scopo irriguo, occorre creare sinergie con il mondo agricolo, sapendo che pochi impianti nel nostro paese rientrano attualmente nella normativa di qualità; occorrono poi infrastrutture dedicate, accordi con i consorzi irrigui. Se poi si vuole utilizzare questa acqua anche per altri usi civici e domestici non potabili, occorrono accordi con gli Enti locali; – l’approntamento di norme per facilitare la costruzione di impianti di dissalazione dell’acqua di mare. Non facendo i conti che questo è un processo molto energivoro e ambientalmente nocivo, che vale la pena utilizzare solo per la produzione di acqua potabile dove non esistono altre soluzioni più Pag. 5 idonee e che non rappresenta quindi una via sensata per il nostro paese. In più, non è assolutamente conveniente dissalare l’acqua per usi agricoli; – la messa a disposizione di risorse scarse e assolutamente insufficienti per aggredire il problema. Si sottolinea in più parti del decreto che esso non dovrà comportare nuovi e maggiori oneri per la finanza pubblica. Detto in altri termini e secondo attendibili ricostruzioni della stampa, si ragiona sulle risorse già esistenti e sulla loro rimodulazione. 

Si potrebbe arrivare ad un totale di poco inferiore a 8 mld di €, sommando le risorse già previste dal PNRR, dal Piano Nazionale Complementare e da altri Fondi derivanti dalla programmazione europea. Una disponibilità economica che, sia in termini quantitativi sia per la qualità della sua destinazione, che non sarà in grado di affrontare strutturalmente la questione epocale che abbiamo di fronte. Insomma, provando ad essere riassuntivi: siamo in presenza di un progetto raffazzonato, ispirato, contemporaneamente, da una logica emergenziale e dal “richiamo della foresta” rappresentato dalle grandi opere, più attento all’idea di far ripartire il ciclo economico che a quello di intervenire in modo efficace, incapace di misurarsi con i nodi di fondo che la strutturalità del cambiamento climatico e della siccità propongono. 

LE SCELTE DI FONDO PER CONTRASTARE LA SICCITÀ E PRESERVARE LA RISORSA ACQUA 

Occorre, invece, battere altre strade se si vuole sul serio affrontare il nodo della siccità in termini strutturali e costruire un percorso che voglia andare alle radici del problema. Da questo punto di vista, ci sentiamo di indicare almeno 3 grandi filoni di lavoro, da vedere in modo integrato e su cui è necessario intervenire contemporaneamente, senza segnalare particolari priorità tra esse e, tantomeno, tematizzarle in termini emergenziali. 

  1. Favorire la conversione ecologica dell’agricoltura e dell’industria, promuovendo il risparmio e l’utilizzo efficiente dell’acqua. Il settore agricolo è da sempre il primo consumatore di acqua del nostro paese con oltre il 50 per cento dei prelievi, mentre l’industria incide per un altro 10- 15 per cento sul fabbisogno idrico nazionale. Una strategia integrata ed efficace di lotta alla siccità non è pensabile senza un intervento forte di conversione delle coltivazioni e delle produzioni maggiormente idroesigenti e di risparmio della risorsa in questi settori. L’agricoltura intensiva è la maggiore utilizzatrice mondiale di acqua. secondo l’ANBI. E’ diventato ormai inevitabile incentrare il ragionamento sulla sostenibilità anche in agricoltura, per poter mantenere nel tempo livelli produttivi adeguati a fronte non solo delle crisi idriche ma delle crisi ambientali in tutti i loro aspetti. In questa ottica va Pag. 7 ripensato quali sono le produzioni agricole che vanno sostenute e incentivate e quali invece da disincentivare, a partire dalle colture più idroesigenti. Purtroppo la PAC (Politica agricola comunitaria) non è orientata in questo senso e ancor meno il Piano strategico nazionale della PAC, che è addirittura stato criticato dall’Europa perché troppo carente proprio sul piano della sostenibilità. Qui diventa fondamentale promuovere un intero sistema agroalimentare che richieda un minor uso idrico, partendo dalla riconversione del sistema dell’industria zootecnica, superando peraltro la modalità degli allevamenti intensivi, e da colture come il mais. Più in generale, il passaggio da agricoltura industrializzata all’agroecologia appare sempre più come scelta importante, anche per preservare la biodiversità, la salute del suolo e la sua resilienza, anche ai fenomeni siccitosi. Sempre in questo quadro, diventa essenziale ricorrere all’utilizzo delle acque reflue depurate, in primo luogo in ambito irriguo, e anche a quello delle acque piovane. Secondo una ricerca prodotta da Utilitalia, il riuso delle acque reflue depurate in agricoltura ha un potenziale enorme (9 miliardi di metri cubi all’anno, l’acqua che esce dai depuratori), ma in Italia viene sfruttato solo per il 5% (475 milioni di metri cubi). Per l’utilizzo di tale risorsa è necessaria una rigida normativa e adeguati controlli della qualità delle acque reflue. Per quanto riguarda l’industria, oltre all’edilizia, tessile, petrolchimica, farmaceutica, produzione di gomma e plastica, cartaria e metallurgia sono le lavorazioni a maggiore intensità di consumo di acqua. Anche qui si tratta di mettere a punto interventi mirati sia per quanto riguarda la riconversione produttiva che il risparmio. In particolare, su quest’ultimo aspetto, la realizzazione di reti idriche duali e l’installazione di dispositivi per il risparmio idrico nell’edilizia di servizio, residenziale e produttiva possono contribuire in modo significativo.
  1. Ristrutturare le reti idriche, ridurre drasticamente le perdite di acqua. E’ sufficientemente noto lo stato disastroso in cui le reti idriche versano nel nostro Paese e le conseguenti rilevanti perdite di acqua che ne derivano, che peraltro hanno subito forti incrementi negli anni scorsi, anche nelle reti gestite dalle multiutilities.. L’AEEGSI (attualmente ARERA), con una propria memoria presentata alla Commissione Ambiente della Camera dei Deputati nel 2017, segnalava che il 36% delle condotte risulta avere un’età compresa tra i 31 e 50 anni e il 22% superiore ai 50 anni. Nello stesso tempo, l’ISTAT ha evidenziato come le perdite della rete idrica nel 2018 assommavano al 42%, un livello assoluto molto alto, ma soprattutto in crescita progressiva, essendo passato dal 32,6% nel 1999 al 37,4% nel 2012 e, appunto, nel 2018 al 42%. Siamo in presenza di una situazione eclatante, che la dice lunga sullo stato del nostro servizio idrico, e anche del fallimento delle scelte tutte orientate alla privatizzazione da almeno 20 anni in qua: basta considerare che, per fare un confronto con altri Stati europei, in Spagna le perdite arrivano al 22%, in Gran Bretagna al 19%, in Danimarca al 10% e in Germania al 7%. Questi pochi dati ci indicano quanto sia dunque prioritario e urgente intervenire per affrontare questa situazione e come un grande Piano nazionale per la ristrutturazione delle reti idriche andrebbe assunto come un tema fondamentale per il futuro della risorsa acqua e della stessa idea di sviluppo sociale del Paese. A fronte di tale situazione, sfiorano il risibile le risorse messe a disposizione su questo capitolo dal decreto siccità, che riprende i 900 mln di € già previsti dal PNRR. Considerando la necessità di accelerare gli interventi rispetto all’attuale vetustà delle reti e delle inefficienze depurative, non si sbaglia di molto nel valutare il fabbisogno di 2 mld di € l’anno per i prossimi 5 anni, per complessivi circa 10 mld, per dar vita al suddetto Piano nazionale. Risorse Pag. 9 che possono essere reperite riscrivendo parte del PNRR, rimodulandone altre già esistenti e affiancadone di nuove, anche utilizzando una parte dei forti profitti realizzati in questi anni dai soggetti gestori, per un valore complessivo di circa 2,5 mld di € nei 5 anni di durata del Piano. 
  2. Affrontare il dissesto idrogeologico, rinaturalizzare fiumi, laghi e foreste, arrestare il consumo di suolo anziché puntare all’artificializzazione degli interventi. Questo ci pare un punto assolutamente decisivo se si intende intervenire a monte delle problematiche e non semplicemente cercare di gestire al meglio le conseguenze di scelte sbagliate o non compiute. Abbiamo già detto come spesso le tecnologie che vengono presentate come eco-compatibili, in realtà dipendono ancora per la maggior parte da fonti energivore e fossili, che sono tra le cause principali del deterioramento climatico, così come interventi artificiali appartengono ad approcci ormai superati. Ùùù

Occorre, invece, procedere in più direzioni. 

Una di queste, senz’altro, è la necessità di risanamento idrogeologico del Paese e di tutela del territorio. Il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha sottolineato, poco tempo addietro, che sono stati stanziati 630 mln di € per i prossimi 7 anni per investimenti infrastrutturali, per la tutela del suolo, la mitigazione ambientale, il dissesto idrogeologico. C’è un abisso rispetto ai dati forniti da Ispra, che stima in 26 mld di € il fabbisogno teorico per la messa in sicurezza dell’intero territorio nazionale, da attuarsi attraverso piani pluriennali di finanziamento. E’ necessario migliorare la qualità delle acque superficiali e di falda, intervenire per rinaturalizzare i versanti collinari e montani, le sponde di fiumi e canali, restituire ad uso ambientale e paesaggistico naturale le aree compromesse da fabbricati ex industriali ora dismessi e abbandonati: a questo fine diventa fondamentale dotarsi di un Ente pubblico preposto a ciò, con adeguato personale. 

Si tratta poi di invertire la tendenza all’abbandono della montagna e delle zone interne, per cui si sono espanse le foreste, ma si tratta di boschi ancora giovani e sottoposti a tagli continui per la produzione di biomassa combustibile. Ma la nostra copertura forestale è tuttora inferiore alla media europea, per cui sarebbe necessario creare nuove foreste negli spazi che si sono determinati. Esiste, poi, una questione relativa allo stato e alla qualità degli ecosistemi acquatici, dei laghi, fiumi, acqua sotterranee; infatti, tutte le rilevazioni rivelano uno stato raramente buono e per lo più scarso o cattivo. La contaminazione più frequente è dovuta agli erbicidi, ai pesticidi e agli scarichi delle aree industriali attive o dismesse ma non ancora bonificate; pesano poi i cosiddetti contaminanti emergenti quali droghe, cosmetici e farmaci. La contaminazione delle acque di falda, che in Italia sono la principale fonte di approvvigionamento di acqua potabile, determina la necessità di attuare trattamenti, per trattenere le sostanze chimiche, che diventano sempre più costosi e difficili con l’aumento della complessità delle miscele. Ancora: non si può più ignorare la situazione relativa allo stato e al consumo di suolo. Secondo molti esperti, la soluzione più efficace per trattenere l’acqua è il ripristino del suolo. Basterebbe aumentare dell’1% la percentuale di carbonio organico dei suoli italiani per avere una riserva di 5 miliardi di metri cubi d’acqua all’anno, un volume superiore a quello che potrebbero raccogliere tutti gli invasi che si intendono costruire, spesso a discapito della permeabilità del suolo. L’espansione urbana e l’impermeabilizzazione del suolo trasformano gli ecosistemi in deserti di cemento in cui non si riescono nemmeno più a tenere sotto controllo le dinamiche delle acque piovane e di superficie. Il suolo filtra, assorbe e trattiene l’acqua, ma quando è impermeabilizzato non può più svolgere queste funzioni, cosa che avviene in particolare nelle aree urbane. Per questo, la deimpermealizzazione delle aree urbane rappresenta un punto Pag. 11 chiave per contrastare cambiamento climatico e siccità. 

CONCLUSIONI II fenomeno siccità è grave, segnalato da tempo, ma è sempre stato sottovalutato: per affrontarlo, occorre una strategia compiuta e integrata, nonchè interventi coerenti tra i vari livelli istituzionali. Servono soprattutto politiche radicali e importanti, che vadano al cuore delle problematiche, di cui non c’è traccia nei provvedimenti del governo, stretti tra logica emergenziale e riproposizione di vecchie impostazioni, volte più a rilanciare desuete scelte di sviluppo quantitativo e a soddisfare gli interessi dei soggetti che intervengono nel ciclo delle grandi opere. Contrastare il cambiamento climatico e combattere la siccità comporta mettere in discussione le fondamenta di un intero modello produttivo e sociale fondato sul capitalismo neoliberista: non casualmente, privatizzazione della gestione del servizio idrico e politiche inconcludenti sul fenomeno siccità vanno di pari passo. Del resto, il nesso tra ineluttabilità del cambiamento climatico e predominio delle logiche privatistiche è stato bene messo in evidenza, al momento della scandalosa quotazione in Borsa dell’acqua alla Borsa merci di Chicago alla fine del 2020, dai dirigenti di CME Group, protagonisti di quella scelta, quando hanno affermato che a causa del cambiamento climatico, dell’aumento della popolazione, del peggioramento qualitativo della risorsa, essa è appunto destinata a diventare bene sempre più scarso e soggetto all’accaparramento, per cui non può che essere governata dalla logica del mercato. Al contrario, gestione pubblica e partecipata del servizio idrico, legge nazionale per la ripubblicizzazione dello stesso, politiche efficaci per il contrasto al cambiamento climatico e alla siccità si tengono insieme tra loro. E’ stato lungimirante a questo proposito il referendum contro la privatizzazione dell’acqua promosso e vinto dal Forum Italiano Movimenti per l’acqua, così come la richiesta reiterata per la gestione di questa risorsa di Aziende speciali che non hanno per obiettivo il profitto come le Spa. Continueremo nella nostra battaglia, per affermare che l’acqua è bene comune e non può essere lasciata alla mercè delle logiche del mercato.

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