Il Nobel per l’Ecologia alla Colombia donna, afro e combattente per un mondo nuovo

il: 26 Aprile 2018

La leader colombiana Francia  Márquez vince il premio ambientale Goldman grazie alla sua lotta contro la miniera illegale

Francia Marquez Mina è la terza donna colombiana a vincere il premio ambientale Goldman, il riconoscimento più importante al mondo per il lavoro nelle comunità dei leader ambientali che combattono per la difesa dei propri territori e le attività tradizionali.

Francia è una donna afrodiscendente nata nella frazione di Yolombò a nord rispetto al dipartimento del Cauca nel municipio di Suarez, nel sudoccidente colombiano. A 36 anni ha condotto un’instancabile lotta contro le miniere illegali messe in piedi dai gruppi criminali che hanno minacciato e sgomberato le sue comunità. Ha intrapreso lotte legali contro l’assegnazione di titoli minerari alle multinazionali che intraprendono attività nei territori ancestrali nel nord del dipartimento del Cauca- una zona con un’importante presenza indigena e afrodiscendente- e ha mobilizzato intere comunità, in particolare gruppi di donne che richiamano l’attenzione dello Stato al fine di sradicare le attività minerarie illegali presenti nei loro territori.

Convinta che “l’amore materno ha il potere di salvare il paese dalle storie di violenza, sofferenza e tristezza che travolgono i colombiani”, Francia ha ben chiaro che la difesa del territorio ancestrale, dell’acqua e della vita è una lotta che non potrà mai abbandonare. I meccanismi per riuscire a raggiungere i suoi obiettivi partono dalla difesa dal punto di vista giuridico, fino ad arrivare ad una partecipazione in politica per riuscire a far sentire la sua voce e produrre cambi definitivi come nelle scorse elezioni legislative da marzo a quest’anno.

Il suo legame con la natura e la sua coscienza ambientale l’ha ereditata dai suoi antenati. A soli 13 anni era cosciente dei diritti delle comunità indigene nei suoi territori e le sue comunità. Uno dei momenti salienti per le comunità di Suarez è stato nel 1983 quando si discuteva sulla deviazione del fiume Ovejas per alimentare la Salvajina, una centrale che avrebbe avuto forti conseguenze ambientali e sociali in una comunità di pescatori, miniere tradizionali, agricoltori e marinai. A detta di Francia tutta la comunità, senza eccezioni, si è opposta. Dopo questo episodio è iniziata una lotta per la difesa dell’ambiente attraverso il canto ed il teatro, “in questo modo si generava coscienza sull’importanza della protezione dell’acqua, la pesca e del fiume, che per noi sono come i nostri genitori”, spiega Francia.

In un paese come la Colombia però, la lotta ambientale di Francia è stata accompagnata da una violenza che non è mai cessata e la tiene con il fiato sospeso. Secondo la leader, le minacce continuano e la costringono a vivere sotto una scorta che protegge lei e i suoi due figli adolescenti. Cosa che hanno provato a toglirele svariate volte, ma che ancora è riuscita a mantenere.

UNA STORIA DI VIOLENZA

Nel 2001 “abbiamo avuto una presenza paramilitare nella regione, a Suarez” che si è conclusa con il massacro del Naya, perpetuata presuntamente a causa del blocco Calima presente nella zona e paradossalmente, denuncia l’ambientalista caucana, “ dopo il massacro il governo ha consegnato titoli per lo sfruttamento del territorio”. In questo modo, La Toma, la frazione in cui viveva Francia con la sua famiglia, ha cambiato proprietario dal giorno alla notte.

L’ambientalista spiega come qualche tempo dopo “è arrivato sul luogo Hector Jesus Sarria e in nome dell’impresa mineraria africana Anglo Gold Ashanti, ha offerto alla comunità lo sviluppo di progetti produttivi e struementi di lavoro dimostrando la sua buona volontà”. La presenza di questa persona ha generato un rifiuto da parte della comunità, “perchè ci siamo accorti che ciò che volevano era solamente appropiarsi dei nostri territori e questo è divenuto evidente dal momento in cui è arrivato l’ordine di sgombero. Abbiamo quindi iniziato un processo legale concluso con una sentenza della Corte Costituzionale dove si impediva lo sviluppo di qualsiasi attività di sfruttamento minerario, si obbligavano le imprese a fare consulta previa di fronte a qualsiasi progetto. Inoltre, con la sentenza ci hanno restituito i diritti sui nostri territori ancestrali.

Quella prima lotta contro lo sfruttamento minerario e lo sgombero delle comunità di Suarez ha segnato la disputa del territorio con altri gruppi, questa volta si trattava di attività minerarie illegali, che sono entrati sgomberando leader e famiglie al completo, che da più di 300 anni svolgevano la loro attività mineraria senza usare il mercurio, trasmettendo la l’attività fra famiglie che sfruttavano i fiumi  e le montagne rosse del cauca grazie alle conoscenze ancestralitrasmesse da generazione in generazione. “Senza sostanze chimiche che uccidono le acque ed i pesci”, spiega Francia.

Nel 2014, le miniere illegali cominciano a mettere all’opera 14 ruspe sulle rive del fiume Ovejas, vicino alla frazione di La Toma, provocando devastazione e tragedie ambientali locali rifiutate dalla comunità. Con questi macchinari hanno disboscato e scavato pozzi profondi, ditruggendo il flusso naturale del fiume e uccidendo i pesci con il mercurio. Questa parte drammatica Francia la racconta ad alta voce e con indignazione.

Ondate di minatori sono accorsi alle fosse aperte per estrarne l’oro. Nessuno di loro era il proprietario ancestrale della terra e non apparteneva a nessuna gran famiglia di La Toma. Sono arrivati ed hanno comunciato ad usare il mercurio e il cianuro per l’estrazione dell’oro dalla terra e le rocce. Queste sostanze tossiche sono fluite direttamente sul fiume Ovejas, inquinando l’unica fonte di acqua dolce della comunità. Gli accampamenti dei minatori si sono trasformati in piccole città, con insediamenti illegali anche di 5000 persone, che oltre all’impatto sulla salute e l’ambiente hanno portato prostituzione, uso di droghe illegali e una violenza sfrontata negli scontri con le popolazioni locali, commenta Francia.

Tutto questo disordine e scontri con la sua comunità hanno portato la leader afrocolombiana a studiare legge a Cali, la terza città più importante della Colombia e la più vicina alla sua regione d’origine. “Quando avevamo bisogno di intraprendere un’azione legale per difenderci non avevamo nessuno che potesse aiutarci. Non potevamo mettere in pratica i nostri diritti di tutela e di petizione”. È stata questa la ragione per cui, non solo lei, ma anche altri leader della comunità, hanno intrapreso carriere professionali. La pressione delle miniere illegali persistenti a La Toma, l’hanno però costretta a tornare per difendere il suo territorio, lei non poteva permettere che sterminassero il fiume Ovejas e la sua comunità. Francia si è opposta fisicamente alle ruspe, ma è stato in vano.

Quello stesso anno, nel 2014, ha ricevuto minacce che l’hanno vista costretta ad uscire dalla Toma, dalla sua casa, cosa che ricorda come uno degli episodi più brutti della sua vita. “Uscire  forzatamente, sgomberata con i miei due figli perché sarebbero venuti fino a casa mia per uccidermi è stato molto triste.” con i miei due figli sono andata poi verso Cali, la città più vicina dove mi hanno aperto le porte”. Racconta Francia. “Era triste vedere i miei figli così piccoli e vulnerabili, è stata la cosa peggiore che abbia mai vissuto e non lo auguro a nessuno, mi sono sentita persino colpevole perché credevo di aver messo a rischio la loro vita”, aggiunge.

Rubén Darío Gómez Posada, direttore dell’Osservatorio de  Realidades Sociales de la Arquidiócesis de Cali, descrive Francia Marquez come una donna forte e di valore, che ha difeso il territorio e la vita, che ha avuto un ruolo chiave in attività e riflessioni.

Anche durante la sua permanenza a Cali ha intrapreso azioni di protesta proteggendosi nelle folle ed è uscità a protestare.

Senza scoraggiarsi, Francia ha riunito la comunità per pianificare una strategia, sapendo di dover unire le donne di La Toma per poter salvare la sua paese, il suo fiume e la sua gente. Ha fatto ricorso all’Alta Commissione ONU per la Colombia e in seguito ha organizzato una marcia di 10 giorni, dove insieme ad altre 80 donne hanno percorso 350 chilometri, dalle montagne del Cauca fino a Bogotà, nel novembre del 2014. Una marcia che ha richiamato l’attenzione nazionale sulla distruzione ambientale e sociale, che le miniere illegali stavano causando a La Toma e altre popolazioni del nord del dipartimento del Cauca.

Una volta arrivate alla capitale colombiana, Francia e le altre donne hanno trascorso 22 giorni mettendo in atto la protesta sulle strade. Dopo l’instancabile persistenza, sono arrivate ad un accordo con il governo nazionale nel dicembre dello stesso anno. Sono arrivati all’accordo di prendere misure per sradicare le attività illegali della miniera a La Toma, con l’impegno di sequestrare e distruggere le macchine impiegate nell’attività di questa zona.

In risposta a questa lotta nel 2015 il governo ha creato un gruppo di lavoro nazionale sulla miniera illegale, per la prima volta viene istituito un gruppo di questo tipo in Colombia. Come conseguenza diretta del lavoro svolto da Francia, tutte le operazioni legate alla miniera illegale a La Toma sono decadute. Alla fine del 2016, tutto il macchinario che lavorava illegalmente a La Toma è stata fisicamente rimossa e distrutta. Quello che non è cambiato è che la sua vita è ancora a rischio.

“Siamo sopravvissuti a molte minacce di morte da parte di Aguilas Negras e Los Rastrojos (bande criminali organizzate) che sostengono che noi ci opponiamo allo sviluppo, che non permettiamo alle multinazionali di entrare e che impediamo il progresso nel dipartimento del Cauca” ha testimoniato Francia.

Nonostante le minacce continuino, Francia si emoziona al ricordare come a Cali le hanno aperto le porte per proteggerla e come sia riuscita a trovare solidarietà da parte di centinaia di persone. “Ho vissuto bei momenti nella mia vita e ho vissuto cose che mi spingono a continuare a lottare, come ad esempio questo premio ambientale così importante. Non ci credevo quando mi hanno detto di aver visto il premio nobel per l’ambiente, sono ancora emozionata”.

Cos’è il premio ambientale Goldman?

È stato istituito nel 1989 dai leader filantropi Richard e Rhoda Goldman. Costituisce il più importante al mondo ed onora gli attivisti ambientali comunitari, dimostrando che le cuestioni ambientali sono internazionali. In questo modo si cerca di stimolare altri a seguire il loro esempio.

Sono sei i vincitori, uno per ogni continente e sono selezionati da una giuria internazionale estratti da un gruppo di candidature segrete presentate da una rete mondiale di organizzazioni ambientali e da singoli. Tra i vincitori Berta Cáceres, ambientalista indigena lenca, femminista e attivista ambientale dell’Honduras viscitrice Goldman nel 2015, uccisa nel 2016; e Rodrigo Tot, leader aborigeno di Agua Caliente, Guatemala, che ha ricevuto il premio nel 2017.

GUARDA QUI IL VIDEO DEL DISCORSO DI FRANCIA MARQUEZ ALLA CONSEGNA DEL PREMIO