Juan Manuel Santos di nuovo presidente in Colombia. Al suo secondo mandato, è riuscito domenica a sconfiggere lo sfidante conservatore Zulaga, diventando il simbolo del processo di pace in corso e ottenendo così l’appoggio dei partiti della sinistra e di parte dei movimenti sociali. Ora le aspettative attorno a Santos sono pressanti: in un Paese spaccato a metà, stretto fra riforme sociali ed ambientali urgenti ed una politica economica neoliberista, Santos dovrà dimostrare di essere in grado di dare alla Colombia quel cambio che aspetta da oltre mezzo secolo.
“Ieri ha vinto la nazionale, oggi vince la democrazia“. Così Juan Manuel Santos, da domenica presidente della Colombia, rieletto dopo 4 anni di primo mandato.
Una vittoria particolare, quella di Santos: in bilico fra astensionismo e contraddizioni, il Premier Mandatario è riuscito a capitalizzare con astuzia la propaganda in appoggio al processo di pace. Sbaragliando con un 53% il candidato conservatore Ivan Zuluaga – delfino dell’ex presidente Uribe, del cui governo Santos era ministro della difesa – il neoeletto è riuscito nella sua campagna elettorale, ad ottenere l’inaspettato appoggio di molti esponenti della sinistra. La trattativa storica che Santos è riuscito a intavolare con le Farc – Fuerzas Armadas revolucionarias de Colombia – e successivamente con l’altro esercito ELN per porre finalmente fine a una guerra civile che va avanti da più di mezzo secolo e che ha provocato decine di migliaia di morti ed altrettanti desaparecidos, ha condizionato esponenti di spicco del partito di sinistra – il Polo – come Clara Lopez e Ivàn Cepeda, che fino all’altro giorno erano acerrimi nemici politici di Santos, e che si sono trovati ad appoggiare comunque la possibilità di negoziare la pace con gli attori del conflitto.
A Bogotà, il trionfo del nuovo presidente è stato importante: se Clara Lopez è stata la più votata nella capitale, storicamente di sinistra, Santos è passato da 450.000 voti a più di 1.300.000 al secondo turno. Altri appoggi significativi sono arrivati da altri settori di sinistra: dirigenti di Alianza Verde come Antonio Navarro, Ángela Robledo, Aída Avella de la Unión Patriótica, e la ex senatrice Piedad Córdoba. Un fronte davvero ampio che si è assommato alla coalizione della Unidad Nacional, che vedeva il partito della U, il Partito liberale e quello di Cambio Radical, insieme ad alcuni sindacati di insegnanti e lavoratori. “Questa è la fine di oltre 50 anni di violenza nel nostro Paese – ha detto Santos – ed è l’inizio di una Colombia con più giustizia e inclusione sociale. In quattro anni nessuno si pentirà di averci votato”. Le Farc non hanno voluto commentare l’esito del voto.
L’affluenza alle urne al ballottaggio ha raggiunto il 48%, in aumento dal 40% registrato al primo turno del 25 maggio. Più di 600 mila elettori hanno votato schede bianche per protesta contro entrambi i candidati. Il risultato della prima tornata era già stato un forte capannello d’allarme per il presidente, che lo scorso 25 maggio si era trovato con quasi 500.000 voti in meno dello sfidante, Oscar Ivan Zuluaga. A Bogotà, la piazza non lo appoggiava. Nel Caribe l’affluenza alle urne era stata bassissima. Nel momento in cui il risultato si era dimostrato in pericolo, una folta schiera di funzionari governativi – dall’expresidente César Gaviria a Rafael Pardo, Gina Parody, David Luna – si era mosso per recuperare voti in giro per il paese. Infine, il fatto che Zuluaga fosse l’esponente dell’uribismo, la corrente in appoggio dell’ex presidente Uribe, ha favorito la sua rielezione: Santos è riuscito nel suo intento di diventare il simbolo del percorso di pace, in contrapposizione al radicalismo di destra di Uribe.
Ma stiamo parlando di un cambio reale? Anche se in tutto il mondo si parla di un’investitura popolare ampia, Santos è ora stretto fra una destra agguerrita e una sinistra che recupera consensi. Dei 33 milioni di aventi diritto di voto, solo 7, 8 milioni sono andati alle urne per votare Santos, che ha raggiunto un risicato 23% della popolazione grazie all’appoggio dei movimenti sociali e i partiti di sinistra. Il partito conservatore vanta un risultato non di molto inferiore: la Colombia di fatto è spaccata a metà.
Inoltre, non c’è stato un momento in cui Santos abbia messo in discussione la politica che ha portato avanti in questi anni: distante dai reali bisogni della gente, di forte impronta neoliberista, la “locomotora minera” che ha caratterizzato l’epoca Uribe prima e Santos poi, ha dato in concessione per lo più a multinazionali straniere, circa il 40% del territorio colombiano. Di fatto, è un’economia basata sull’iperestrattivismo, che mina la salvaguardia di uno dei territori con più biodiversità al mondo, che produce diseguaglianze sociali impressionanti, sfollamenti coatti e violenza: l’80% delle violazioni dei diritti umani si verifica nelle zone minerarie, così come l’87% dei profughi interni della Colombia vengono da lì; mentre sono le popolazioni originarie – 120, quelle censite – provate dei propri territori ancestrali, a rischiare la propria sopravvivenza. Sia Santos che i conservatori giocano sul ruolo della pace o della guerra solo con l’obiettivo di favorire investimenti stranieri. E il processo di pace in Colombia, non potrà prescindere da una maggiore giustizia sociale basata su redistribuzione della ricchezza, difesa delle risorse, protezioni di fonti idriche e delle foreste, oggi sempre più privatizzate e vendute come merce.
Un patto sociale e ambientale basato su educazione e partecipazione della popolazione.
Ma soprattutto, Santos sarà davvero la persona in grado di girare davvero pagina in Colombia, smantellare quel parastato che si nutre di paramilitarismo e mafia, e favorendo verità e giusto risarcimento alle famiglie delle vittime?
Se così non sarà, Santos perderà un’occasione storica. Ma gran parte del lavoro sarà nelle mani della gente, che dovrà approfittare di questa congiuntura per chiedere e ottenere quel cambio che da decenni aspetta.