Mujeres por la Paz in Colombia_02
SOY GENESIS
A VENT’ANNI DALLA “OPERACION GENESIS”, UN FESTIVAL DELLA MEMORIA CON LA SOLIDARIETA’ DEL TRENTINO.
Di ritorno dai territori del Bajo Atrato, nel Nord Ovest colombiano: il dialogo con le comunità in resistenza del Cacarica e del Curbaradò, a pochi chilometri dagli scontri fra forze paramiliari ed esercito; le zone di transizione delle Forze Armate Rivoluzionarie Colombiane (FARC), in procinto di consegnare la prima parte delle armi. Nella giornata che il mondo dedica a Bertha Caceres, l’attivista honduregna ammazzata un anno fa mentre lottava contro la costruzione di una diga nel territorio indigeno del suo popolo, si tocca con mano la tensione nei territori e si fanno i conti della mattanza di leaders ambientalisti e comunitari in Colombia.
Una lunga marcia silenziosa, interrotta solo da qualche canto spontaneo, attraversa la cittadina di Turbo. Un centinaio di persone con le candele in mano ferma per un monento la vita frenetica di questo piccolo agglomerato urbano nato attorno ad uno dei porti del Golfo dell’Urabà, nel bacino del Fiume Atrato. Sono le vittime, o i parenti, dell’eccidio della cosiddetta Operacion Genesis, che nel 1997 spazzò via le comunità del Cacarica.
Vent’anni fa, per quattro giorni a partire dal 27 febbraio del ‘97, forze paramilitari rastrellarono e massacrarono migliaia di persone, lasciando a terra 87 morti e provocando il più grande sfollamento forzato che la Colombia avesse mai visto. Le terre furono occupate militarmente dai battaglioni irregolari, che non mancarono di inscenare un macabro teatro, decapitando il contadino Marino Lopez e infierendo sul suo corpo.
Nelle giornate dal 25 al 28 febbraio una delegazione internazionale fra cui Yaku , PBI – Peace Brigates Internacional – ed una troupe di Contagio Radio Colombia, ha accompagnato la Commissione Interecclesiale di Giustizia e Pace e le comunità del Cacarica in una tre giorni di commemorazione, che ha avuto inizio nella notte nello stadio di Turbo. Il “Coliseo”, come viene chiamato lo stadio, è un luogo quasi spettrale: qui alcune migliaia di persone si rifugiarono all’indomani dello sfollamento forzato, dove furono costrette a vivere in condizioni disumane per mesi, sotto il controllo della polizia che non lasciava uscire nessuno. Nello stadio, i testimoni hanno raccontato quelle giornate: senza cibo, nè acqua; in condizioni igieniche gravissime. Ma da quella disperazione, sono nate le forme di organizzazione e resistenza che hanno permesso alle comunità di mantenere viva la memoria e trovare il coraggio di portare avanti la loro battaglia legale: nel 2013, accompagnati da Justicia y Paz, la Corte Interamericana dei Diritti Umani ha condannato lo stato colombiano per non aver protetto le comunità dalle operazioni di controguerriglia. Le donne della comunità Cavida – vedove, madri, mogli – sono fra quelle che fin dal primo momento hanno lottato per sopravvivere e per la dignità dei propri cari. Cavida è tutt’ora un coordinamento attivo all’interno di CONPAZ, la piattaforma di 150 comunità colombiane impegnate nella costruzione della pace e nell’elaborazione di proposte.
I giorni successivi abbiamo risalito il Rio Cacarica, entrando in contatto con lance della Marina dell’Esercito che hanno fermato le barche della delegazione, avvertendo degli scontri che a poche decine di chilometri stavano avvenendo fra forze paramilitari e dell’esercito.
Dopo qualche ora abbiamo ripreso il cammino, entrando nella Zona Umanitaria di Nueva Esperanza de Dios, dove per due giorni – fra manifestazioni culturali, assemblee, tavoli di lavoro e riunioni con i comitati delle donne – abbiamo condiviso le strategie di resistenza delle comunità, molto preoccupate per le condizioni di sicurezza precaria in cui stanno vivendo, che impediscono loro anche semplici spostamenti, l’approvvigionamento alimentare ed idrico, mentre aumenta la preoccupazione per i più piccoli: a detta di alcuni testimoni, paramilitari si sono avvicinati a bambini con giochi e manuali scolastici, offrendo denaro ai genitori.
L’inaugurazione simbolica dello spazio dove sorgerà la prima Università della Pace – con la testimonianza della solidarietà da parte del Forum Trentino della Pace e dei Diritti Umani e dell’Assessorato all’università e cooperazione allo sviluppo della Provincia Autonoma di Trento – dà il polso dell’importanza in questo momento del coinvolgimento della popolazione nella costruzione di proposte concrete che arrivino ai tavoli di attuazione fra FARC – Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia – e Governo, per l’organizzazione dei territori e la costruzione della Pace.
Il viaggio è proseguito nella Zona Umanitaria di Caracolì, nel Curbaradò, per l’assemblea generale delle cuencas (Comunità afrodiscendenti del Bajo Atrato) per la costruzione collettiva dei Piani Strategici Territoriali, e la visita al campo di transizione della FARC del Frente 54. Yaku è stata accolta dal comando del Frente, dove ha raccolto interviste e testimonianze dell’evoluzione degli accordi fra le parti. Le difficoltà con cui si stanno svolgendo le consegne delle armi, la costruzione dei cosiddetti punti di transizione – dove i fronti armati delle FARC si stanno recando, con grosse difficoltà alimentari e sanitarie – insieme all’impennata drammatica degli omicidi di leaders comunitari e difensori di diritti umani ed ambientali, costituiscono un’ombra sullo storico accordo di Pace in Colombia.
Con l’ultimo assassinio dell’esponente del CRIC – Coordinamento dei territori indigeni del Cauca – di martedì scorso – sale a 22 il numero degli esponenti comunitari ammazzati nella sola regione del Sud Ovest colombiano, e a circa120 in tutta la Colombia, dalla firma degli Accordi di Pace, nel settembre scorso.
Yaku sarà il 5 di marzo in Cauca, ad Inzà, per l’inaugurazione di un acquedotto comunitario sostenuto con progetti di cooperazione internazionale, e per una serie di incontri comunitari che potranno contribuire alla verifica, anche in quelle zone della situazione dei diritti umani.
Yaku, 1 marzo ’17
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