La Laboratoria
Ojalá
Illustrazione dell’artista Ashanti Forston de Baltimore, in cui si legge “Tutte le nostre lotte sono interconnesse”, e “Dal fiume al mare, la Palestina sarà libera”. Condiviso come parte di pacchetto di illustrazioni dalla cooperativa di artistas Justseeds “Palestine will be free! Graphics Care-Package #7”.
Intervista_ La Laboratoria 23 Maggio 2024
Il genocidio attualmente in corso a Gaza fu l’origine di questa conversazione urgente tra Belén Marco, Susana Draper e Ana María Morales, del collettivo di ricerca femminista La Laboratoria di New York e Quito, e Sarah Ihmoud, Eman Ghanayem e Tara Alami, del collettivo Feminista Palestino, un collettivo di femministe palestinesi e arabe che lavorano a “Turtle Island”, conosciuta oggi come Stati Uniti e Canada.
“Siamo un collettivo intergenerazionale di attiviste, coordinatrici, professioniste, creatrici, pensatrici, artiste, accademiche, risanatrici, difensore dell’acqua e della terra, donne che danno e sostengono la vita”, ha detto Ihmoud durante l’intervista, che avvenne attraverso Zoom a Marzo.
Di seguito viene condivisa parte dell’intervista, che si può leggere completa su Amazonas.
Laboratorias: Come inquadrate il vostro lavoro nel linguaggio della giustizia riproduttiva e in una comprensione femminista della pace? Troviamo che questo è molto connesso con quello che si diceva sulla necessità di immaginare di nuovo il nostro linguaggio fuori dalle forme del “femminismo” coloniale e imperialista.
Sarah Ihmoud: Israele è un progetto coloniale e la colonizzazione implica necessariamente l’allontanamento dei popoli nativi dalle loro terre e territori di origine. Una lente femminista ci invita a comprendere le politiche sessuali e di genere di questo progetto. Come femministe palestinesi, nominiamo in particolare la violenza di genere e sessuale che comprende il genocidio riproduttivo, come elemento centrale di quella più ampia struttura di potere coloniale e del suo apparato di dominazione razziale. Così, questo include la violazione e la violenza sessuale e come furono utilizzate sistematicamente come arma contro le donne palestinesi all’inizio della Nakba nel 1948, quando 750,000 palestinesi furono espulsx dalle loro terre e territori ancestrali. In qualche modo, questo dà una forma più ampia alla logica del potere coloniale dei coloni e a come opera anche oggi.
Quando vediamo che più di 30,000 palestinesi sono mortx in questa escalation genocida a Gaza, dei quali il 70% sono donne e bambinx; quando vediamo che un milione di donne e bambine sono state costrette a spostarsi diverse volte a piedi; dove c’è un aumento del 300% nel tasso di aborti spontanei tra le donne incinte; dove le donne incinte e in allattamento si trovano in un situazione gravissima ed evidente causata da questa macchina di violenza e potere; e dove c’è un comunicato stampa recente delle Nazioni Unite che richiama l’attenzione sul fatto che ci sono stati quelli che definiscono attacchi deliberati e uccisioni extragiudiziali di donne e bambinx nei luoghi in cui cercavano rifugio o stavano fuggendo; e hanno anche riportato casi di stupro, violenza sessuale e persino – come gli hanno chiamati? – il trasferimento forzato di almeno un bambino palestinese da parte dell’esercito israeliano a Gaza.
Vedendo tutto questo dobbiamo chiederci: Quando intendiamo gli attacchi specificatamente come aggressioni di genere contro i corpi, le sessualità e le capacità delle donne di dare la vita? Sappiamo che, come in altri contesti coloniali, i nostri corpi, la nostra sessualità e la nostra capacità riproduttiva sono attaccate in modo particolare. Lo sono per quello che rappresentano: la terra, la riproduzione, la parentela e il governo indigeno sul territorio. Per questo credo che sia importante comprendere la questione della giustizia riproduttiva in questo contesto più ampio e storico. Assistiamo ad un’urgente necessità di definire il Genocidio Riproduttivo nel contesto della Palestina.
Tara Alami: l’incarceramento e la violenza dello Stato nazione, di uno Stato nazione coloniale dei coloni, è un attacco alle generazioni, ai popoli nativi e alla terra. Lo Stato coloniale si sviluppa in diverse tappe, si converte in un attacco alla nazionalità di tutte le persone oppresse e di tutti i generi oppressi o sottorappresentati e delle persone che vivono deliberatamente (con deliberatamente intendo: disegnato dallo stato) in zone con condizioni materiali molto precarie, che vuol dire essere senza un tetto, impoveritx o affamatx , o senza avere accesso all’istruzione, o vivere in mancanza di cibo, di non avere accesso ad un’assistenza sanitaria equa e conveniente, e potrei continuare…
Sta diventando sempre più chiaro alle persone, negli ultimi 5 o 6 mesi, che l’attacco alle generazioni e alla capacità di riprodursi, sostenersi, dare e sostenere la vita in Palestina è parte integrante del disegno coloniale dei coloni sionisti. Nella struttura del genocidio sionista e nel contesto attuale di Gaza, sappiamo che quasi più di 5,000 donne hanno dovuto partorire nelle condizioni meno sicure possibili, sotto bombardamenti costanti, in condizioni non igieniche, in condizioni in cui non si ha accesso ad assistenza medica adeguata, in condizioni pre e post-parto caratterizzate da fame, denutrizione, impossibilità di mantenere la vita dopo averla data. Ci sono immagini di bambini prematuri in terapia intensiva neonatale che sono stati uccisi perché stavano morendo di fame, perché non c’era elettricità nell’ospedale, perché le loro macchine non funzionavano più…
Negli ultimi cinque o sei mesi abbiamo avvertito la necessità di definire il “genocidio riproduttivo” nel contesto della Palestina, ma anche considerando gli ultimi cento anni di resistenza contro il colonialismo e l’imperialismo, sia britannico che sionista e americano….
Nella Cisgiordania occupata, in Palestina, l’attacco alle generazioni può adottare forme differenti: la forma di incursione notturna violenta da parte delle forze di occupazione israeliane nei villaggi e, letteralmente, attacchi alle case dove i bambini vengono rapiti dai loro genitori o viceversa, i genitori vengono rapiti dai loro figli e rinchiusi nelle prigioni sioniste.
Può prendere la forma di essere un prigioniero politico palestinese, e sappiamo che ovunque ci sia oppressione, e in questo caso, un attacco genocida a generazioni, ci sarà resistenza. E qui è dove, per esempio, il contrabbando di sperma si è rivelato come una forma di resistenza anticoloniale contro questo genocidio in corso da diversi decenni.
In questo momento, la gente sta chiamando genocidio quello che sta accadendo a Gaza. Però la verità, è che è un’escalation. È un’escalation massiva di un genocidio che sta avvenendo da decenni.
Infatti, non si tratta solo degli ultimi cinque o sei mesi, e nemmeno si tratta solo di Gaza, ma di tutta la Palestina. La dichiarazione che abbiamo scritto e pubblicato recentemente definisce il genocidio riproduttivo, forse più concretamente come politiche, inclusi discorsi e pratiche materiali, che possono agire o restringere, attaccare o attaccare deliberatamente le capacità, le scelte e l’accesso dei palestinesi o, più in generale chi dà e sostiene la vita, le comunità rese vulnerabili dalla violenza militare sistemica, dall’occupazione, dall’assedio, dal colonialismo dei coloni o da guerre coloniali e imperialiste.
Nella nostra definizione includiamo l’incarceramento, la guerra psicologica, la punizione collettiva, la pulizia etnica, la violenza sessuale e di genere contro le donne, bambine e uomini da parte di uno stato occupante o una forza militare e l’imposizione di condizioni di inabitabilità nella città. Abbiamo visto a Gaza in questi ultimi mesi un’escalation di questa situazione. Però dobbiamo comunque ricordare che i palestinesi di Gaza stanno vivendo sotto un blocco aereo, terrestre e marittimo da 17 anni. Inoltre, prima di questo, prima che le forze di occupazione israeliane si ritirassero, credo che la gente a volte dimentichi che per decenni Gaza ha avuto veri e propri insediamenti. Prima del blocco e dell’assedio militare.
In questo momento stiamo assistendo a un controllo e a un taglio deliberato di risorse vitali come acqua, carburante, elettricità e cibo. Di recente, abbiamo visto che alcuni degli aiuti statunitensi – se così si possono chiamare le gocce di aiuto – sono stati in realtà scaricati sui pannelli solari di un ospedale, distruggendo così la sua fonte di elettricità.
Questo è un chiaro attacco alle fonti di sostentamento della vita. Una negazione di volontà di salvare vite o di quello che rimane delle risorse mediche salvavita. E’ un attacco alla fame collettiva di tutte le persone, ma che colpiscono particolarmente, come abbiamo visto nel Nord di Gaza, bambini con bisogni specifici che hanno bisogno di una dieta specifica, che hanno necessità o restrizioni dietetiche specifiche o di sistemazioni particolari per vivere.
Inoltre, abbiamo assistito allo sradicamento di intere genealogie di palestinesi a Gaza, le famiglie cristiane di Gaza sono state prese di mira da attacchi aerei e all’uccisione di massa di bambini e neonati, alla distruzione di istituzioni mediche sia con attacchi aerei sia con attacchi di invasione di terra. L’annientamento delle fonti di colture agricole: ad esempio, Gaza è famosa per le fragole e abbiamo assistito ad attacchi aerei contro le aziende agricole e la vita.
Le aziende agricole hanno come obiettivo creare posti di lavoro e sostenere le infrastrutture alimentari vitali. Abbiamo visto come si sia creato un ambiente molto tossico dove la gente, oltre al non avere accesso alle infrastrutture sanitarie di base, è stata esposta quotidianamente a detriti, materiali tossici, infezioni virali, infezioni batteriche che possono intaccare, ovviamente, la salute delle generazioni future. Lo abbiamo visto in Iraq, dove le donne di Falluja danno ancora alla luce bambini nati con malattie congenite e mortali a causa degli attacchi condotti nel 2003 da Stati Uniti, Regno Unito e Canada.
Risale a più di 20 anni fa, e stiamo ancora vedendo gli effetti di questi attacchi in bambinx e neonatx che stanno nascendo nel 2024. E, tornando alla vostra domanda, come ha detto Sarah, parte del nostro obiettivo e dei nostri valori si basano nel responsabilizzare i cosiddetti spazi, gruppi o istituzioni femministe o istituzioni di diritto delle donne qui negli Stati Uniti, ma allo stesso tempo, contrastare i loro sforzi per cooptare e trasformare il significato del linguaggio dei diritti delle donne e usarlo come un’arma contro le donne stesse, o cancellare completamente il genocidio riproduttivo che sta avvenendo in Palestina.
Ne è un esempio la dichiarazione di Planned Parenthood del dicembre 2023, che ha completamente omesso di menzionare la Palestina e il colonialismo sionista, che si basa, ovviamente, sulla logica dell’eliminazione. La condizione di possibilità dello Stato sionista richiede l’annientamento del popolo palestinese e la sua espulsione, la nostra espulsione dalla nostra terra. Quindi, nella sua dichiarazione abbiamo visto chiaramente un quadro orientalista che vede i gruppi vittima di razzializzazione o, in questo caso, i palestinesi, come veri e propri deviati sessuali violenti, aggressivi come animali e selvaggi.
Naturalmente, riconosciamo che queste accuse sono un tentativo di dissuadere e deviare dall’attuale escalation di genocidio, che contribuisce a generare consenso per gli attuali attacchi a Gaza. Pertanto, come collettivo di femministe arabe e palestinesi informate dal pensiero e dai quadri indigeni, femministi, ecofemministi e del Terzo Mondo, rifiutiamo completamente questa e altre dichiarazioni di organizzazioni per la giustizia riproduttiva o per i diritti delle donne in Palestina che seguono lo stesso quadro.
Laboratorias: Come avete elaborato una comprensione femminista anticoloniale della pace?
SI: farò solo un paio di considerazioni sulla pace.
Credo che siamo in un momento in cui assistiamo all’implosione del progetto sionista, e una parte di questo ha a che fare con un riconoscimento che il processo di pace liberale ha fallito ed è per questo che abbiamo assistito al sorgere di strategie e forme alternative di resistenza in tutti i territori occupati, non solo a Gaza.
Credo che dobbiamo intendere questo come un rifiuto da parte dei palestinesi e delle palestinesi della base del paradigma di pace liberale e di quello che si intende in generale come il processo di pace del Medio Oriente, che in ultima istanza trasformò il nostro movimento di liberazione anticoloniale in un progetto di costruzione di stato, che ha solo beneficiato alle potenze coloniali e che ha appoggiato il progetto coloniale di confisca delle terre, il controllo carcerario della nostra mobilità e la forma più generale di violenza e controllo in corso, inclusa, questa idea di coordinazione della sicurezza e dell’Autorità Palestinese.
Dobbiamo capire che questo paradigma di pace liberale ha fallito ed è diventato uno strumento per radicare ulteriormente la violenza coloniale israeliana e permettere il riconsolidamento di una classe dirigente palestinese prevalentemente maschile che è compromessa nel mantenere lo status quo.
Una volta ancora, questo momento ci mostra che questo progetto ha fallito e di come si tratta di un momento che ci invita a pensare veramente a possibilità alternative che non si basino su questo linguaggio egemonico di pace liberale e che, invece, abbia a che fare con il ripensare il nostro progetto di liberazione come un progetto anticoloniale. Come femministe, dobbiamo pensare qual è il nostro ruolo da svolgere in questo processo di visione.
Laboratorias: Quali forme di solidarietà e lotta internazionale ritenete siano più necessarie in questo momento?
Eman Ghanayem: Tuttx ci stiamo ispirando ad Audre Lorde. Ci danno ispirazione le femministe Nere, Indigene e Latine che dicono che non ha senso lottare in modo unidimensionale. Credo che, come popoli colonizzati, siamo bravi nell’essere solidali a vicenda. Dobbiamo solo ricordare di rendere visibili le persone che sono invisibili.
Il nostro ruolo come Collettivo Femminista Palestinese è rendere visibili le donne, le bambine e i bambini, le persone palestinesi queer e condividere l’amore per gli uomini palestinesi, che il mondo sembra non vedere. Credo che questo risuoni a molte persone, con molte lotte, perché siamo stanchx che ci dicano come dovrebbe essere una comunità quando già sappiamo come dovrebbe essere.
SI: Dobbiamo continuare a far sentire la voce delle donne palestinesi, soprattutto a Gaza, che in questo momento è davvero la prima linea del nostro movimento di liberazione. E parte di questo è rifiutare le narrazioni coloniali che vengono utilizzate per giustificare le politiche di sterminio dello Stato di Israele e le più ampie politiche di morte che vengono condotte contro il nostro popolo, la nostra patria e tutti i nostri ecosistemi di vita come Popoli Indigeni.
Il femminismo decoloniale consiste principalmente, da un lato, nel rifiutare, interrompere e opporsi con tutte le forze a queste politiche coloniali di morte, come stiamo vedendo proprio ora, che stanno trasformando il paesaggio di Gaza. Allo stesso tempo, si tratta di affermare visioni alternative di vita che affermino le nostre vite e il potenziale futuro del nostro popolo nei nostri paesi d’origine. Pertanto, dobbiamo continuare a elevare e a dispiegare queste visioni alternative che danno vita, rifiutando al contempo questa politica coloniale di morte. Siamo tuttx coinvoltx nella sopravvivenza dell’altrx; mi piace l’idea che siamo co-cospiratori nella liberazione dell’altrx e penso che sia un modo di pensare anche della nostra politica di solidarietà transnazionale.
La Laboratoria è uno spazio transnazionale creato per sostenere la ricerca femminista. Fa rete tra Buenos Aires, Quito, New York, Porto Alegre e Madrid.
Articolo consultabile al link: https://www.ojala.mx/es/ojala-es/contra-el-genocidio-colonial-las-feministas-palestinas-co-conspiran-para-la-liberacion-colectiva