8 marzo in Colombia: la rivoluzione delle Mujeres por la Paz

il: 6 Marzo 2017
“Questo marzo si tinge di forza e di resistenza. Nel segno di Bertha Caceres, che con il suo esempio affrontò il sistema capitalista e patriarcale, costruendo un processo organizzativo in difesa dell’acqua, dei territori e dei diritti, che ha superato ogni confine geografico e ha rafforzato le organizzazioni femminili di tutto il mondo”. Con queste parole, le sigle femministe, le organizzazioni di donne per la pace e contro la violenza di genere della Colombia, scenderanno in almeno 8 città del Paese unendosi allo sciopero mondiale delle donne sotto lo slogan di “Ni una menos”.  
E’ un 8 marzo importante, per la Colombia che sta faticosamente cercando di costruire la Pace dopo 52 anni di conflitto interno. Gli accordi, firmati all’Avana lo scorso autunno fra Governo di Manuel Santos e Farc – Forze Armate Ricoluzionarie della Colombia, il più antico esercito guerrigliero del Paese – erano stati inizialmente bocciati dal referendum popolare che lo stesso Santos aveva proposto. I nuovi accordi di pace sono entrati in vigore il 7 febbraio, e prevedono 6 punti:la fine dei combattimenti, il disarmo dei guerriglieri sotto la supervisione di una missione delle Nazioni Unite ; l’uscita allo scoperto e il reintegro nella società di quasi 6 mila guerriglieri; la creazione della giustizia chiamata transazionale (JEP – Justicia Especial para la Paz), che cercherà di calcolare le riparazioni morali e materiali per le vittime e le sanzioni per guerriglieri, militari e responsabili dei reati più gravi; la conversione del gruppo in un movimento politico legale; una riforma agraria per la distribuzione delle terre e l’accesso al credito; la fine delle coltivazioni illecite nelle aree di influenza delle FARC, tra cui quella di cocaina, e un programma sanitario e sociale contro il consumo e il traffico di droga. Il cosiddetto postaccordo si svolge in un clima molto complesso, dove però è innegabile lo spazio che la questione di genere sta guadagnando.

I sei punti degli accordi di Pace sono infatti attraversati da una visione di genere che – anche secondo le parole della direttrice esecutiva di Onu Mujeres Phumzille Mlambo-Ngcuka – “rappresenta probabilmente il miglior esempio di partecipazione politica da parte delle donne in un processo di pace”. Un successo ottenuto dalla sottocommissione di genere creata nel giugno del 2014 dopo che donne di diversi settori e provenienze si erano riunite in uno storico incontro a Bogotà nel 2013, protestando contro la mancanza di donne durante gli accordi.

Appoggiata da Onu Mujeres e dall’ambasciata svedese, la sottocommissione è stata rappresentata da 60 donne, ed ha ottenuto l’accordo su tre punti principali: la questione della riforma rurale integrale, che prevede un Fondo per la Terra dedicata in maniera particolare alle contadine, e strumenti di facilitazione per l’accesso ai sussidi per l’acquisto di terre; L’impulso alla cosiddetta economia solidale , per promuovere l’equità di genere, l’autonomia economica, la capacità organizzativa in particolare delle donne rurali. La partecipazione politica. Che prevede anche un sistema di sicurezza speciale per le donne che si espongono politicamente nei territori. Droga e coltivazioni illecite: appoggio tecnico e finanziario per la conversione delle coltivazioni illecite, e la lotta alla violenza legata al consumo di droga.
In passato, altri processi di pace hanno visto il coinvolgimento delle donne (Pensiamo al Guatemala, alla Liberia o all’Irlanda del Nord). Ma quello che fa ben sperare in Colombia è l’alto numero di partecipanti e l’attivismo da parte di organizzazioni al femminile che si sta mostrando nei territori. D’altronde, uno studio recente sull’applicazione della Risoluzione 1325 su donne, pace e sicurezza, ha dimostrato come in 650 casi di processi di pace nel mondo, aumenta di un 20% la probabilità che un accordo di pace duri almeno due anni, e un 35% che ne duri almeno  15. Lo stesso studio identifica le donne delle comunità come le più importanti per la reintegrazione.
 Una scommessa importante, in un paese in cui le cifre sui femminicidi sono terribili: l’Istituto di Medicina Legale colombiano parla di 731 omicidi solo nel 2016, in aumento rispetto all’anno precedente; e quasi 50.000 casi di violenza interfamiliare.
La Colombia è stato per più di mezzo secolo un paese in guerra, ed il corpo delle donne è stato uno dei campi di battaglia. Dalla firma degli accordi di pace, la situazione è diventata però allarmante: 120 sono le uccisioni registrate, aventi come oggetto leaders comunitari e difensori dei diritti umani ed ambientali. Solo in questi primi due mesi del 2017, sono 22 , di cui 7  donne, i leaders ammazzati. Il ministero della difesa colombiano, nonostante l’allarme lanciato dalle principali organizzazioni per i diritti umani, parla di “non sistematicità”delle uccisioni e che il paramilitarsimo – oggetto di tutte le denunce – “è cosa del passato”. Certo è che le donne leaders che più si stanno esponendo nell’attuazione degli accordi di pace, si stanno convertendo in un obiettivo militare.
“La costruzione della pace deve passare per l’inclusione della popolazione e deve essere basata sulla giustizia sociale ed ambientale”, dicono le organizzazioni di donne per la pace e femministe colombiane. E si chiedono in che misura gli accordi di pace e la loro applicazione dovranno trasformare la relazione fra gli uomini e con la natura.
Victoria Sandino, capitana guerrigliera delle FARC, è stata la referente della subcomision de genero. Da vent’anni nel gruppo guerrigliero, racconta come anche dentro il suo esercito la lotta per un’uguaglianza di genere era iniziata da tempo. Dall’ottava conferenza delle FARC, nel ’93, viene messo nero su bianco l’equità di doveri e di diritti delle donne con gli uomini fariani. Nonostante questo, l’esercito delle FARC contava su una diffusa mentalità contadina, che vedeva con fatica la donna al comando o autonoma nei confronti del proprio uomo. “Ma comunque noi donne siamo andate a combattere fianco a fianco agli uomini, e il nostro valore ce lo siamo guadagnato sul campo”.
L’idea delle donne fariane, che comunicano con il mondo attraverso il loro sito Mujeresfarianas.org,(QUI il loro comunicato di adesione all’8 marzo)  è quella di portare nella società i valori rivoluzionari che hanno animato la stessa lotta guerrigliera contro il capitalismo. Di ispirazione marxista, hanno annunciato la loro presenza in piazza a Bogotà il prossimo 8 marzo, perché:” è una giornata dedicata alle donne lavoratrici, sindacaliste, operaie, socialiste che dal secolo scorso lottano per un miglioramento delle condizioni di lavoro ed il riconoscimento della riproduzione della vista come un atto che deve essere valorizzato e collettivizzato”.
Il legame fra lotta femminista, istanze delle organizzazioni di donne per la pace nelle diverse regioni colombiane, e il modello economico sostenuto da tempo dai governi colombiani, e per nulla messo in discussione da questi accordi, è un nesso fondamentale in ogni riflessione:” Il modello economico attuale basato sull’estrattivismo e la disegualità sociale e tratta il corpo delle donne ed i beni comuni come merce. Per promuovere un reale cambiamento dobbiamo mettere in seria discussione i ruoli di genere, trasformando le pratiche patriarcali che impediscono una partecipazione equitativa e deformano la costruzione di un potere popolare – si legge ancora nel comunicato per il lancio del “Paro de mujeres” in Colombia.
“Come Berta, abbiamo ricoperto storicamente un ruolo fondamentale nei diversi cammini per la difesa della Natura. Nei nostri processi, abbiamo messo in discussione il modello di sviluppo, la relazione con il potere costruita a partire dal genere, abbiamo costruito proposte di difesa dei territori basati sul riconoscimento della donna come soggetto politico. La criminalizzazione che ha dovuto subire Berta, la subiscono quotidianamente le donne leaders colombiane, perche’ l’estrattivismo comporta il rafforzamento del sistema patriarcale, che conduce a forme di violenza e repressione e ostacolano la partecipazione attiva negli spazi di decisione e  di incidenza politica. E questa situazione è diventata ancora più evidente negli ultmi mesi. Basti ricordare le tante donne ammazzate nel loro lavoro di difesa dei diritti umani ed ambientali: ricordiamo María Fabiola Jiménez, Martha Pipicano, Cecilia Coicué, Adelinda,  l’ultima in ordine di tempo, la giovane Alicia Lopez, e tante altre…”