Ogni anno, circa 400 donne colombiane vengono processate per aver abortito, e migliaia si trovano costrette a rivolgersi a cliniche illegali. La sentenza della Corte Costituzionale dichiara che nessuna donna può essere perseguita per l’interruzione di una gravidanza entro le 24 settimane.
Articolo di Inés Santaeulalia pubblicato il 21 febbraio 2022 su El Paìs. Inés Santaeulalia è la responsabile dell’ufficio di EL PAÍS per Colombia, Venezuela e la regione andina. Ha iniziato a lavorare per il giornale nel 2011 in Messico, come parte del gruppo che ha fondato EL PAÍS America. A Madrid ha lavorato alle sezioni sul Nazionale, Internazionale e gestendo il sito internet.
D’ora in poi, nessuna donna colombiana potrà essere processata per aver interrotto una gravidanza entro le 24 settimane. La Corte Costituzionale del paese ha stabilito, con cinque voti a favore e quattro contrari, che il reato di aborto verrà rimosso dal codice penale. Tuttavia, non è stata raggiunta la maggioranza necessaria per la completa depenalizzazione. Il movimento femminista, attraverso il gruppo di associazioni Causa Justa, chiedeva da ormai un anno e mezzo che la Corte Costituzionale ponesse fine alla lista di donne criminalizzate per aver abortito. Questo riguardava circa 400 donne ogni anno, che hanno dovuto subire pene dai 16 ai 54 mesi di carcere. La sentenza colloca la Colombia tra i paesi dell’America Latina con i diritti sessuali e riproduttivi più ampi. I gruppi femministi che hanno sostenuto la sentenza aspirano ad eliminare il reato in tutti i casi.
La lotta delle donne nel continente ha vissuto un risveglio inarrestabile negli ultimi anni. La decisione di lunedì scorso (21 febbraio, n.d.r.) ha riempito le strade intorno alla Corte a Bogotà di centinaia di persone che hanno celebrato la sentenza: “L’America Latina sarà tutta femminista!”. Negli ultimi mesi, anche altri paesi, come l’Argentina e il Messico, hanno liberato l’interruzione di gravidanza dallo stigma, la condanna e la repulsione, per trasformarla in un diritto delle donne. Tuttavia, il reato continua ad esistere in alcuni stati messicani, e oltre alle 14 settimane stabilite come termine per l’aborto libero dalla legge argentina. La Colombia si è lasciata alle spalle la criminalizzazione delle donne, per diventare uno dei paesi con il termine per l’aborto legale tra i più ampi al mondo. In Europa, l’interruzione volontaria è contemplata fino alla 12esima settimana (in Francia), oppure alla 14esima (in Spagna). La Corte Costituzionale ha reso pubblica la sentenza in un comunicato che “esorta” il Congresso e il Governo della Colombia a prendere le decisioni legislative necessarie a regolare l’accesso all’aborto sicuro nel minor tempo possibile.
Nel 2006 il diritto all’aborto in Colombia era stato approvato in tre casi: stupro, malformazione del feto incompatibile con la vita, o rischio per la salute fisica o mentale della donna, al di fuori dei quali l’interruzione di gravidanza rimaneva un reato. Tuttavia, nella pratica, la possibilità di ricevere una condanna disincentivava l’accesso all’aborto legale e sicuro, in particolare tra le donne più vulnerabili. In questi 15 anni, la paura di venire denunciate ha tenuto migliaia di donne lontane dalle cliniche legali, anche nei casi sopra elencarti, nei quali avrebbero potuto accedervi liberamente. La maggior parte delle accuse di aborto partivano dall’interno del sistema sanitario, in quanto dal 59 al 70% delle denunce provenivano dal personale sanitario. Questo ha sempre trasmesso un messaggio che veniva letto come “qui non potete venire”, spiega Mariana Ardila, avvocata di Women’s Link, una delle organizzazioni che fanno parte di Causa Justa.
Il reato presente fino ad oggi nel Codice penale – e che persisterà per chi abortisca oltre al termine stabilito, tenendo conto delle tre causali citate in precedenza – puntava in due direzioni: contro la donna e l’esecutore dell’aborto. Quest’ultima conseguenza ha generato un rifiuto generalizzato di praticare interruzioni di gravidanza tra i sanitari. Tra il 2006 e il 2019, più di 5700 donne hanno dovuto comparire di fronte a un giudice. Le associazioni che hanno rivendicato la sentenza negli ultimi mesi hanno ribadito come la criminalizzazione dell’aborto non protegga la vita in nessun caso, né diminuisca il numero di aborti. Ciò che si ottiene è l’allontanamento delle donne dal sistema sanitario, cercando metodi o cliniche illegali che mettono a rischio la loro vita. D’ora in poi l’interruzione di gravidanza sarà considerata un reato solo se praticata dopo la 24esima settimana, sempre che non rientri nelle causali.
Oggi, come 15 anni fa, è stata la giustizia a dare una risposta alla lotta del movimento femminista per l’introduzione del diritto all’aborto nell’agenda del paese. “Hanno vinto le donne”, hanno assicurato le attiviste dopo aver appreso della sentenza. I vari governi colombiani non sono mai entrati nel pieno della legiferazione per un tema che non consideravano prioritario, né dal quale possono trarre benefici, data la controversia che genera nella società. La Colombia è uno stato laico, ma allo stesso tempo profondamente religioso. Un’inchiesta del 2017 ha rivelato che il 97% dei cittadini crede in Dio. Le varie chiese, in particolare quella cattolica e quella evangelica, mantengono quindi ancora un enorme potere sui credenti, che spingono ad intraprendere una lotta senza quartiere contro l’aborto. All’interno delle manifestazioni contro la depenalizzazione tenutasi in questi mesi non era insolito vedere gruppi di persone recitare il rosario.
Eppure, la società è cambiata rispetto al 2006, quando i gerarchi della chiesa minacciavano di scomunicare i magistrati della Corte Costituzionale se avessero votato a favore dell’aborto. Oggi appena circa il 20% dei colombiani condivide la condanna delle donne che abortiscono. E nonostante gli attacchi e le pressioni contro la depenalizzazione siano aumentati in questi giorni, la scarsa presenza dei cosiddetti gruppi provita è stata una sorpresa anche per il movimento femminista. Più numerose, festive e rumorose sono state le piazze a favore che in molte occasioni, come questo lunedì, hanno colorato di verde le strade intorno alla Corte. C’è ancora strada da fare, tuttavia. “Continueremo ad insistere fino a quando questo reato ingiusto, inefficace e controproducente non smetterà di essere applicato” assicurano da Causa Justa.