Somos Defensores, il documento annuale sul rispetto dei diritti umani in Colombia

il: 29 Luglio 2022

Teatro delle Ombre

Resoconto annuale per il 2021

Sistema de Informaciòn sobre Agresiones contra Personas Defensoras de Derechos Humanos en Colombia – SIADDHH

Programa Somos Defensores

Presentazione

La redazione di questo resoconto annuale per il 2021 coincide con la fine del mandato presidenziale di Ivàn Duque, periodo che ha visto aggravarsi la situazione di violenza contro le persone difensore dei diritti umani, in un contesto di visibile deterioramento dei diritti in tutto il paese.

Dopo una lunga riflessione, abbiamo deciso di intitolarlo Teatro delle Ombre, in quanto abbiamo ritenuto che rappresentasse in modo accurato ciò che abbiamo vissuto negli ultimi 4 anni per quanto riguarda le aggressioni contro chi difende i diritti umani. Ci troviamo di fronte ad una messa in scena nella quale, attraverso effetti speciali, si proietta un’immagine molto diversa da quello che succede nella realtà.

In questa messinscena a opera dello stato, la cosiddetta pace con legalità vuole simulare l’implementazione dell’accordo finale di pace, quando nella realtà lo snatura. Le cifre delle aggressioni alle persone difensore dei diritti umani vengono distorte, per mostrare una diminuzione anziché un aumento; all’opinione pubblica vengono forniti dati che indicano numerosi accertamenti per quanto riguarda le uccisioni di difensori e difensore, che in realtà rappresentano i progressi nelle investigazioni; gli attacchi a piccoli capibanda di organizzazioni criminali ci vengono venduti come la fine di tali strutture, che anzi non smettono di crescere numericamente e di espandersi nei territori; ci presentano un documento CONPES come politica pubblica di garanzia, quando nella realtà si tratta di un Piano di Azione Opportuna (PAO) rinnovato. Come se questo non bastasse, insistono nel dire che siamo una democrazia forte, mentre il suo deterioramento è ormai evidente, dovuto tra il resto alla mancanza di coerenza tra le azioni e le norme costituzionali di enti di investigazione e controllo come la Procuraduría General de la Nación, la Defensoría del Pueblo, e la Fiscalía General de la Nación, il cui operato è nei fatti diretto dal governo.

In questo teatro delle ombre, nel quale si muove la drammatica realtà colombiana, le aggressioni alle persone difensore dei diritti umani stanno nuovamente aumentando. Nel 2021, il Programa Somos Defensores ha registrato novecentonovantasei (996) aggressioni individuali, il numero più alto documentato dal nostro Sistema di Informazione dal 2010, come abbiamo visto ripetutamente rapporto dopo rapporto in questi ultimi anni. Ogni anno pensiamo che i nostri dati abbiano raggiunto il limite dell’orrore, ma non è mai così, le violenze continuano ad aumentare. 996 aggressioni nel 2021 rappresentano, in media, quasi tre attacchi al giorno.

Questo documento, attenendosi alla prospettiva teatrale che lo ispira, si divide in quattro atti.

Nel primo atto, intitolato La forma delle ombre, vengono affrontati alcuni elementi considerati rilevanti nella riconfigurazione delle dinamiche del conflitto messa in atto nelle varie regioni del paese, utilizzando in alcuni casi la gigantesca ombra delle crisi umanitarie, ricorrenti nel 2021. A confronto, si evidenzia come la risposta statale sia stata incentrata fondamentalmente in azioni volte a colpire figure considerare di grosso calibro all’interno di organizzazioni criminali, che secondo il rapporto sui diritti umani del Ministero della Difesa hanno avuto come risultato la compromissione di 8 strutture criminali e delinquenziali. Nei fatti, ciò non è servito a smantellare queste organizzazioni come apparato criminale, ma ha visto messe in campo spettacolari operazioni che non hanno previsto misure di protezione per le comunità e le persone presenti portando, in alcuni casi, ad un incremento dei rischi.

Le conseguenze di questo si vedono nel contrasto tra le dinamiche di riconfigurazione del conflitto, che presentano una geometria variabile a livello territoriale, con mutamenti e alleanze tra le diverse strutture armate difficili da seguire, e, dall’altro lato, l’invarianza dell’alto grado di rischio e vittimizzazione a cui sono sottoposte le comunità, espressioni sociali distinte presenti nei territori, e i loro leader. Nel frattempo, conclude questa sezione del rapporto, la risposta governativa vede vecchie ricette ripetute, mentre gli apparati del potere che si muovono dietro a queste strutture armate al margine della legge continuano ad operare incolumi in difesa dei loro interessi e progetti economici. 

In questo primo atto si tratta inoltre dell’ampliamento delle modalità di partecipazione politica come uno degli obiettivi posti dall’Accordo di Pace, elemento fondamentale per un rafforzamento democratico da e per i territori che ora si trova in pericolo, proprio come i leader scelti per il loro impegno dalle loro comunità e organizzazioni sociali. 

Concretamente, si fa riferimento ai rischi e agli ostacoli che hanno minacciato importanti processi elettorali prodotti o ideati nel 2021, come l’attuazione rimandata dell’elezione dei membri delle Juntas de Acción Comunal, la nomina dei membri dei Consigli della Gioventù, e la storica prima elezione dei rappresentanti delle vittime alla Cámara de Representantes, nel contesto delle Circunscripciones Especiales de Paz, previste dall’Accordo di Pace e realizzate il 13 marzo di quest’anno, lasciando però in bocca un sapore agrodolce, essendo risultato del superamento di ogni tipo di ostacolo e rischio segnalato da questo documento.

Il secondo atto, intitolato L’assurdo, dedica ampio spazio all’analisi dell’assurdità risultante dal considerare l’approvazione del CONPES 4063 come Poitica Pubblica di Garanzia e Rispetto dell’Operato di Difesa dei Diritti Umani e Leadership Sociale quando in realtà, secondo questo documento, questa non ha come obiettivo mettere fine alla violenza e alla criminalità ai danni delle persone difensore. Si tratta infatti di una versione ampliata del Plan de Acción Oportuna (PAO), che viene mantenuto come colonna vertebrale della politica di protezione, che perciò non si focalizza sulle garanzie, ma sulla protezione fisica e materiale, senza oltretutto porre un’attenzione specifica sui diritti umani. Non sono nemmeno stati tenuti in considerazione spazi di partecipazione importanti e riconosciuti come il Tavolo Nazionale delle Garanzie, ai cui processi partecipano le principali piattaforme che trattano di diritti umani nel paese.

Il terzo atto si intitola Cosa c’è dietro le quinte?, in riferimento al comportamento degli enti di investigazione come la Procuraduría General de la Nación, la Defensoría del Pueblo e la Fiscalía General de la Nación nel corso del 2021, mettendo in evidenza gli scarsi risultati del loro intervento rispetto alla grave situazione di aggressioni che le persone che difendono i diritti umani si trovano ad affrontare nel loro operato. 

Si sottolinea come questa mancanza di una risposta statale adeguata da parte degli enti di investigazione abbia generato non solo un deterioramento della democrazia, come già menzionato dal Programa in rapporti precedenti, ma anche una perdita di fiducia della cittadinanza verso chi contribuisce a rafforzare il silenziamento delle comunità e organizzazioni sociali in alcuni territori dove gli attori armati cercano di imporsi, favorendo così le loro rivendicazioni.

Nel quarto atto, intitolato Oscurità, si presentano, com’è abituale, i dati riferiti all’andamento delle aggressioni ai danni delle persone difensore dei diritti umani verificate dal Sistema di Informazione del Programa Somos Defensores. Come sempre, avvisiamo che i dati presentati non hanno la pretesa di rappresentare la totalità delle aggressioni avvenute durante quel periodo, bensì sono gli episodi di cui siamo venuti a conoscenza e che siamo riusciti a confermare direttamente. L’aggravarsi della situazione in molti territori del paese colpisce negativamente il processo di verifica dei casi e, pertanto, la sottostima delle aggressioni può protrarsi.

Ciononostante, i dati analizzati sono significativi per quanto riguarda l’aggravarsi del panorama generale di aggressioni durante il 2021. Abbiamo verificato 996 aggressioni individuali, ovvero un incremento del 3% rispetto all’anno precedente. In questo contesto, è importante portare l’attenzione sull’aumento di determinati tipi di aggressione, come gli arresti arbitrari (73% in più), e i furti di informazioni (incremento del 225%). Anche minacce e attentati, come nei periodi precedenti, continuano ad aumentare.

Poco più del 75% delle aggressioni si concentrano in 9 dipartimenti, e nel Distretto Capitale di Bogotà. Il dipartimento del Cauca mantiene la preoccupante tendenza degli ultimi 5 anni di essere la regione dove viene commesso il maggior numero di aggressioni contro leader sociali. 84 degli episodi registrati si sono verificati in territori considerati Zone di Intervento Integrale (ZEII), nelle quali la sicurezza è stata rafforzata con una maggior presenza militare.

Attivisti e difensori dei diritti umani occupano il primo posto come categoria più a rischio, con un notevole incremento delle aggressioni del 62% rispetto al periodo precedente, fatto inusuale, legato al ruolo svolto da questi attivisti nelle mobilitazioni durante il Paro Nacional.

Nonostante i dati verificati dal Sistema di Informazione del Programa indichino una calo delle uccisioni del 30% rispetto al 2020, rimane estremamente preoccupante il fatto che queste oscillino tra le 9 e le 19 al mese.

A tale proposito, è importante notare come le uccisioni di leader sociali donne siano aumentate del 4%. D’altro canto, i membri delle Juntas de Accion Comun e i leader indigeni si spartiscono il primo posto per numero di assassini.

Presentando questo documento in un periodo di elezioni presidenziali, speriamo di richiamare l’attenzione dei diversi candidati, perché prendano atto dell’importanza di includere nei loro programmi di governo il tema delle garanzie per l’operato delle persone difensore dei diritti umani. 

PRIMO ATTO

La forma delle ombre

Secondo l’indagine sulla Convivenza e la Sicurezza dei Cittadini del DANE, pressoché la metà degli abitanti dei nuclei più popolosi del paese non si sentono al sicuro nel luogo in cui vivono e svolgono il loro lavoro.

A ciò si somma l’aumento del tasso di omicidi nel 2021, il più alto degli ultimi 7 anni. Secondo il rapporto annuale della Polizia, 13.709 persone hanno perso la vita in modo violento durante l’ultimo periodo. Questo si traduce in un tasso del 26,8% di omicidi su 100mila abitanti, una cifra molto simile a quella registrata nel 2014.

Nonostante l’aumento degli omicidi nelle grandi città contribuisca ad alimentare un malcontento generale rispetto alla gestione della sicurezza nel paese, c’è un altro indicatore ugualmente preoccupante legato all’aumento degli sfollamenti collettivi, il confinamento della popolazione, i massacri, il reclutamento forzato, gli omicidi di reintegrati e leader sociali, fenomeni che non diminuiscono, e avvengono principalmente in zone rurali e luoghi isolati.

Sulla base di questo panorama, è riemerso il fenomeno delle crisi umanitarie, che si credevano essere una cosa del passato. Questo indica come il conflitto armato stia continuando, con un’impostazione diversa, propria della natura dei gruppi armati illegali attualmente esistenti, e dei diversi interessi territoriali.

Secondo i dati dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (OCHA), tra gennaio e novembre 2021 gli sfollamenti forzati e i confinamenti sono praticamente raddoppiati rispetto all’anno precedente. In entrambi i casi, i popoli etnici, indigeni e afrodiscendenti sono i più colpiti.

D’altra parte, il Sistema di Informazione del Programa Somos Defensores ha registrato 139 uccisioni di persone difensore dei diritti umani, cifra che, pur rappresentando una diminuzione del 30% rispetto al periodo precedente, rimane molto elevata, dimostrando la mancanza di garanzie che queste persone hanno nello svolgimento del loro operato.

Una delle crisi umanitarie più gravi del 2021 è avvenuta nel dipartimento del Chocò. Tra agosto e dicembre 2021, la Defensorìa del Pueblo ha emesso 5 segnalazioni, che coinvolgono alcuni municipi della regione.

Per esempio, quella riferita al municipio di Litoral de San Juan, permette di individuare alcuni elementi comuni che si ritrovano in altri territori.

i) Dispute territoriali tra diversi attori armati, associate ad interessi di vario tipo, con un grande rilievo di quelli relativi alle economie illegali.

ii) la perpetrazione di gravi violazioni dei Diritti Umani e del Diritto Umanitario Internazionale.

iii) Scarsa risposta statale di fronte alle situazioni di pericolo segnalate dalla Defensorìa del Pueblo.

Nel rapporto presentato dalla Federazione Internazionale per i Diritti Umani (FIDH), con l’appoggio del Colectivo de Abogados José Alvear Restrepo (CAJAR) y el Programa Somos Defensores “Colombia: morti annunciate”, si segnala come 130 delle 196 segnalazioni precoci emesse tra il 2018 e il 2020 siano risultate comunque in successivi omicidi. 

Questo dato è significativo per diverse ragioni.

i) Mette in luce il fallimento della strategia governativa per far fronte alla persistente e sistematica violenza commessa contro le persone difensore e leader sociali, inquadrata nella cosiddetta pace con legalità – utilizzata come stratagemma per ignorare gli importanti strumenti dell’Accordo di Pace.

ii) Evidenzia come l’emissione delle Segnalazioni Precoci come meccanismo di prevenzione risulti inutile se non è accompagnata da un’adeguata e articolata risposta statale volta a far fronte al rischio, coordinando la reazione rapida e la risposta dello stato per evitare la sua consumazione. Questa funzione dovrebbe essere svolta dalla Comisión Intersectorial para la Respuesta Rápida a las Alertas Tempranas, gestita dal Ministero dell’Interno.

Per avere uno sguardo completo sulla riconfigurazione del conflitto negli ultimi 3 anni, e sull’aumento della sua intensità nel 2021, ci sono fattori che non si possono ignorare.

i) L’assenza di una volontà politica di implementare integralmente l’Accordo di Pace.

ii) L’insistenza nel mantenimento del Plan de Accion Oportuna (PAO) come strategia per far fronte alle violenze che colpiscono le comunità e i loro leader, anche di fronte alle molte critiche e agli scarsi risultati ottenuti.

iii) Le alleanze in alcuni casi, e in altri la connivenza tra gruppi armati illegali e membri delle forze dell’ordine e altri attori.

iv) L’assenza di una politica di smantellamento delle strutture del crimine organizzato che porti alla luce gli apparati organizzati di potere ed interessi che si operano dietro le quinte, limitandosi invece ad azioni contro obiettivi considerati di alto valore.

v) L’impunità regnante delle violazioni dei DDHH e del DIH commesse e, in particolare, delle aggressioni contro le persone difensore dei diritti umani.

vi) Il rifiuto di riaprire un tavolo di trattativa con l’ELN.

Nel corso del 2021, sono stati messi in atto dal governo diversi piani di azione mediatica e militare, volti a colpire organizzazioni criminali attraverso campagne di comunicazione, operazioni militari mirate e il generale rafforzamento della presenza dell’esercito e delle forze dell’ordine sui territori.

Tuttavia, secondo la Fundación Ideas para la Paz (FIP), la politica in materia di sicurezza del governo non ha fermato le violenze. Al contrario, in alcuni casi ha generato le condizioni perché aumentasse. In particolare, FIP segnala come l’azione contro obiettivi di alto valore non sia stata connessa con la protezione delle comunità, ed abbia contribuito alla frammentazione di queste strutture criminali, stimolando la concorrenza tra esse. L’efficacia di questo tipo di strategia viene quindi messa in discussione in relazione alla successione dei capetti e al riciclo delle organizzazioni criminali.

Il fatto che le capacità delle forze dell’ordine siano state concentrate verso lo scopo di colpire le strutture criminali armate, un’altra delle componenti fondamentali della Politica di Difesa e Sicurezza, ha generato una militarizzazione dei territori che non si è tradotta in una maggior protezione delle comunità e dei loro leader, né ha frenato la crescita e lo sviluppo delle diverse strutture armate nate in seguito all’Accordo di Pace, siano esse di natura paramilitare o di guerriglia. Al contrario, le gravi violazioni dei diritti umani persistono nei vari territori, assumendo in alcuni casi una portata tale da generare crisi umanitarie. Lo stesso si verifica per quanto riguarda la persistenza delle aggressioni contro le persone difensore dei diritti umani.

In non poche occasioni, la presenza dei militari è ben lontana dall’offrire tranquillità, generando invece maggiore angoscia e paura nella popolazione. Ad Arauca, per esempio, organizzazioni che si occupano di diritti umani segnalano come le azioni civili-militari messe in atto abbiano fatto sì che diversi giovani fossero considerati collaboratori di gruppi armati, diventando così obiettivi militari. D’altra parte, i bombardamenti contro accampamenti nei quali si era assunto che non fossero più presenti minori reclutati forzatamente, ignorando il principio di precauzione, pilastro del DIH, hanno dato luogo ad un’ulteriore mancanza di fiducia e ad un rifiuto nei confronti delle forze dell’ordine da parte delle comunità colpite. 

È importante evidenziare come nelle aree ritenute prioritarie per quanto riguarda l’intervento militare le violazioni dei diritti umani e le aggressioni contro le persone difensore presentino un bilancio preoccupante. Per esempio, solo nel mese di settembre 187 famiglie indigene Wounaan sono state sfollate da altre zone del Chocò. Lo stesso vale per altre 547 famiglie delle comunità di  Unión Chocó, San Cristóbal, Puerto Olave (Istmina), Unión Wounaan y La Lerma (Medio San Juan). Sia le comunità sfollate sia quelle che le hanno accolte hanno inoltre subito il confinamento. D’altra parte, il dipartimento del Cauca viene considerato il territorio dove è stato perpetrato il maggior numero di massacri nel 2021. 

L’assenza di un’implementazione integrale dell’Accordo di Pace continua ad incrementare la vittimizzazione delle stesse comunità che per decenni hanno sofferto maggiormente le difficoltà legate al conflitto armato, e né la militarizzazione, né le azioni orientate a obiettivi di alto valore hanno contribuito a cambiare questa situazione.

Di recente, sono stati portati alla luce dai mezzi di comunicazione i legami tra alcuni alti ufficiali militari e strutture criminali in Cauca e Nariño, rivelazioni che dimostrano come questo tipo di alleanza non sia una cosa del passato ma che, al contrario, continuano ad esistere e contribuiscono al rafforzamento e all’espansione delle stesse organizzazioni criminali e, pertanto, a una riconfigurazione del conflitto che si aggrava giorno dopo giorno.

La preoccupante riconfigurazione del conflitto che il paese si trova ad affrontare in questo momento, pur comportando variabili particolari da tenere in considerazione legate all’operato delle strutture armate al margine della legge, rimane invariata per quanto riguarda l’alto grado di rischio e vittimizzazione delle comunità, delle diverse espressioni sociali presenti nei territori, e dei loro leader. In tutto ciò, la risposta governativa ripropone vecchie ricette, e gli apparati del potere che si muovono dietro a queste strutture armate al margine della legalità continuano incolumi a difendere i propri interessi e progetti economici.

La partecipazione democratica continuamente a rischio

Le dinamiche di riconfigurazione del conflitto non generano effetti devastanti solo per chi le vive nei territori, ma anche per la società nel complesso. Uno dei problemi permanenti che si presentano con il persistere del conflitto ha a che vedere con la partecipazione. L’ampliamento della democrazia e il superamento delle differenze rispetto all’esclusione dalla partecipazione politica sono dei pilastri importanti dell’Accordo di Pace. Tuttavia, di fronte all’incremento della violenza in buona parte del paese, la paura è un’ombra che si aggira su questi spazi.

Nei territori dove si consumano dispute o è presente il controllo di gruppi armati, non è facile prendere parte degli spazi di discussione comunitaria e, ancora meno, assumersi la responsabilità in uno scenario di partecipazione con maggiore visibilità. È il caso delle Juntas de Accion Comunal, una figura che esiste nel paese dal 1958 e che è stata fondamentale per organizzare le comunità e gestire il superamento delle loro necessità.

In Colombia ci sono circa 63.153 JAC, situate in zone rurali e urbane. Questo numero importante le pone come la forma di organizzazione comunitaria maggioritaria nel paese. Corrispondenti sono il riconoscimento e il valore che vengono loro forniti dalle comunità, fatto che richiama l’attenzione di diversi gruppi illegali, che in alcune occasioni tentano di cooptarle con la forza per i propri interessi.

Ciò ha scoraggiato la partecipazione al processo elettorale volto a costruire le giunte direttive locali, soprattutto nelle zone rurali. A causa dell’emergenza sanitaria dovuta al COVID-19, le elezioni che avrebbero dovuto essere svolte ad aprile 2020 sono state posticipate e, finalmente, si sono tenute il 28 novembre 2021, all’interno di un contesto complesso a causa delle dinamiche di violenza, come menzionato precedentemente.

Infatti, la Defensoria del Pueblo ha segnalato due fattori che hanno messo a rischio il processo. Il primo, il disincentivo alla partecipazione a causa della mancanza di garanzie per questo tipo di ruolo. Il secondo, la possibilità di coercizione nella candidatura da parte dei gruppi armati, per rafforzare il loro controllo sul territorio.

Anche lo scenario in cui il 13 marzo 2022 si sono svolte le elezioni delle Circunscripciones Transitorias Especiales de Paz è complesso e preoccupante per le vittime che avrebbero voluto assumere tale ruolo. Le elezioni si sono tenute dopo un lungo percorso costellato di chiusure e manovre da parte del partito al governo, che è stato possibile iniziare solo grazie ad una decisione del giudice ad agosto 2021.

La segnalazione di “rischi elettorali” emessa dalla Defensoría del Pueblo in questa occasione ha messo in guardia le autorità su quattro fattori che si sarebbero potuti presentare.

i) Il controllo sociale esercitato da gruppi armati illegali

ii) La disputa tra gruppi armati illegali per il controllo territoriale e dei corridoi strategici

iii) Minacce a leader sociali e persone candidate le cui proposte andassero in direzione contraria ai poteri locali egemonici

iv) Il continuare del conflitto armato interno, con una forte influenza del narcotraffico.

Tra questi fattori, sono preoccupanti quelli che mettono a rischio le persone vittime del conflitto armato che aspirano a venire elette nelle CTEP, sia per quanto riguarda la potenziale politicizzazione e cooptazione da parte di partiti tradizionali e delle vittime, sia rispetto alle difficoltà e agli ostacoli posti alla mobilitazione dei votanti.

Questi rischi sono stati evidenti il giorno delle elezioni, come ha segnalato in seguito la Missione di Osservazione Elettorale dell’Unione Europea, che per la prima volta ha controllato delle elezioni in Colombia. Nel loro rapporto, hanno segnalato diverse irregolarità presenti in tutto il processo, come per quanto riguarda i piani di sicurezza per i candidati messi in campo dal governo in ritardo o in modo insufficiente, la disuguaglianza nelle risorse per le campagne elettorali, in quanto in molti casi non sono stati effettuati i pagamenti a cui i candidati avrebbero avuto diritto, il possibile finanziamento illecito di diverse campagne, che sono quindi risultate di una portata esagerata, e il profilo discutibile di alcuni candidati per quanto riguarda la loro condizione di vittime o possibili delegati di partiti politici.

Sebbene in altri seggi siano stati elette persone che hanno lavorato per anni per la difesa del loro territorio e delle popolazione vittima del conflitto armato, è una vergogna che si siano presentate situazioni come quelle menzionate, in pieno contrasto con quanto stipulato nell’Accordo di Pace, che aveva come obiettivo dare voce e diritto di voto alle vittime nello scenario del Congreso de la Republica. Le vecchie e cattive pratiche della politica sono riuscite a permeare questo processo, che sarebbe dovuto essere un’opportunità per le persone più colpite dalla guerra in Colombia.

Con il ripetersi di situazioni simili la partecipazione è a rischio, e la fiducia nei processi democratici si frattura. Viene lasciato un messaggio permanente di corruzione e cooptazione degli scenari di rappresentanza da parte dei partiti tradizionali.

Secondo atto: che c’è dietro la tenda?

Nei precedenti rapporti, il programma Somos Defensores fa riferimento alla perdita di autonomia e indipendenza degli organi di controllo e indagine come fattore determinante del deterioramento della democrazia. In un contesto di accresciuti attacchi contro i difensori dei diritti umani e di moltiplicazione delle situazioni di crisi umanitaria, la perdita di fiducia in queste istituzioni contribuisce a togliere voce alle comunità colombiane, alle organizzazioni territoriali e ai loro leader, lesionando i loro diritti e beneficiando invece gli attori armati e le dinamiche che gli stessi cercano di imporre.

Nel corso del 2021 gli enti di controllo e indagine hanno continuato ad agire secondo modalità oscure, sfigurando da dietro le quinte i loro rispettivi mandati di protezione dei diritti umani e di indagine sulla condotta criminale che nega tali diritti. Nonostante ciò, per la realizzazione di questo rapporto il programma Somos Defensores ha inviato domande e petizioni a ciascuna di queste istituzioni per indagare sull’effettiva condotta degli enti di controllo (Defensoria e Procuradurìa) in merito alla strategia del governo per far fronte alle aggressioni contro i difensori. 

Somos Defensores si è anche chiesto cosa avesse da dire a riguardo la figura del “defensor del pueblo” coperta da Carlos Camargo, che viene considerata come una magistratura morale a capo della Defensoria, ma la risposta si è distinta per la sua assenza. 

Nonostante ciò, in risposta alle proposte governative sulle politiche di garanzia e rispetto dei diritti umani, la Defensoria ha inviato a CONPES osservazioni, chiarimenti e commenti, dove si percepiscono velate contestazioni alla gestione in materia da parte dello stato. Tramite i dati elaborati dalla Defensoria del Pueblo e le richieste effettuate da vari municipi in merito ad una mancata gestione dei rischi, si riconosce un’inadeguatezza da parte del CIPRAT di gestire la situazione delle aggressioni. La Defensoria suggerisce di non concentrare le risorse solo in territori dove avviene un maggior numero di aggressioni contro DDHH, ma di estendere il controllo a livello nazionale, usando anche gli strumenti normativi esistenti. Il documento del CONPES oltre a ignorare totalmente questi strumenti, non ha tenuto conto dei dati e delle analisi della Defensoria per comprendere il fenomeno delle aggressioni, escludendo quindi ogni critica posta.

Riguardo alle violenze subite dai difensori dei diritti umani, non si è fatta sentire nemmeno la voce della Procuradurìa, della quale Margarita Cabello ne è a capo. Secondo la Procuraduria esistono 517 processi per violazione di diritti umani tra il 2008 e il 2021, di cui solo il 16% sono ancora aperti. Purtroppo, i dati lasciano dubbi specialmente per l’alto numero di indagini inattive a carico di funzionari pubblici.

Nel piano strategico 2020-2024 della Fiscalia General de la Nacion (FGN) si punta a fare chiarezza sui delitti che riguardano DDHH attraverso 13 progetti di indagine definiti dalla Unidad Especial de Investigacion (UEI), e tramite assegnazione di procuratori regionali della UEI nei territori di maggior vittimizzazione.  In relazione ai 13 progetti di indagine prioritari della UEI, che si riferiscono a strutture criminali responsabili di danni a carico di DDHH, un 38.5% riportano una risoluzione delle indagini del 100%, il resto del 80%. Nonostante questo, non si spiega quali sono i parametri per determinare le percentuali di risoluzione, e se i provvedimenti presi porteranno allo smantellamento delle organizzazioni criminali.

Riguardo agli assassinii dei DDHH, la FGN segnala, tra il 2016 e il 2020, una risoluzione del 68.59% dei casi, equivalente a 286 casi su 417. Di questi, i casi conclusi con una sentenza sono solo 89, pari al 21.34% del totale, un numero piuttosto basso. Nonostante i continui richiami dell’opinione pubblica rispetto alla forma in cui vengono presentate le percentuali di risoluzione dei casi, la FGN non sembra intendere cambiare modalità, senza chiarire quando un caso si può considerare concluso. Non viene inoltre specificato se le sentenze ricadono solo sugli autori materiali dei crimini o anche sugli autori intellettuali, e nemmeno quali sono le pene associate a tali crimini. Per le denunce di minacce, ad esempio, su 5552 casi tra il 2018 e il 2022, sono stati registrati solo 2 casi con sentenza e 7 in fase di giudizio. Finché le agenzie investigative e di controllo continueranno a preoccuparsi più di sostenere il governo che di rispettare i propri obblighi costituzionali e legali, i difensori dei diritti umani continueranno ad essere abbandonati al loro destino affrontando i rischi che il loro operato comporta.

Terzo atto – l’Oscurità

Il 2021 sarà ricordato come l’anno del grande sciopero nazionale, “esplosione sociale” di rabbia e indignazione e di mobilitazioni senza precedenti; Terzo anno del governo di Iván Duque con solo il 22% di approvazione e secondo anno della pandemia di COVID–19, un periodo di marcata iniquità dove il malcontento sociale si è manifestato nelle città ed è stato spinto al limite dalla fame, dalla disoccupazione, e dalla crescente corruzione del governo.

Dei dodici anni di esistenza del Sistema informativo sugli attacchi ai difensori dei diritti umani in Colombia (SIADDHH) il 2021 è stato l’anno più violento, con un totale di 996 attacchi individuali contro 933 persone il cui lavoro è l’esercizio della difesa dei diritti umani attraverso i diversi tipi di leadership: come attivisti o difensori dei diritti umani, come leader indigeni, di comunità, contadini, giovanili, ambientalisti, del settore LGBTI, delle donne, del mondo accademico.

Le aggressioni nel 2021 hanno mostrato un aumento del 3% rispetto al 2020, con 27 episodi in più, in cui non solo sono stati violati diritti individuali o connessi con la vita e l’integrità personale ma che, inoltre, hanno influito sui processi collettivi. I mesi con un numero maggiore di aggressioni associate coincidono con il periodo di picco del Paro Nacional, nel mezzo del quale sono stati commessi diffusi atti di violenza contro i manifestanti e contro i difensori dei diritti umani e leader sociali.

Del numero totale di attacchi, il 66,7% sono minacce, 13,9% omicidi, il 9,3% attentati, 5,2% arresti arbitrari, 1,6% di procedimenti giudiziari, 1,6% sparizioni forzate, il 1,3% di furto di informazioni e 0,2% di aggressioni sessuali, principalmente nei dipartimenti di Cauca, Valle del Cauca, Distrito Capital e Antioquia. Cauca resta da cinque anni il territorio più pericoloso per i DDHH. Negli ultimi anni c’è stata in questo territorio un’escalation del conflitto armato in cui l’aumento della presenza di diversi gruppi post-FARC e i loro scontri per il controllo della zona hanno portato a molteplici aggressioni contro le comunità e le loro leadership, soprattutto indigene. In Valle del Cauca si possono associare i dati all’intensità con cui è stato vissuto il Paro Nacional e alla repressione da parte dello stato in risposta.

La politica del presidente Iván Duque finalizzata all’attuazione della “Pace con Legalità” e delle Zone Strategiche di Intervento integrale (ZEII) ridicolmente denominate Future Zone, ha dimostrato di essere lontano dal fornire garanzie di sicurezza per i difensori dei diritti umani. Il programma Somos Defensores, attraverso il SIADDHH, ha documentato 84 casi di aggressioni verificatisi in 7 dipartimenti ubicati all’interno delle 5 zone dichiarate ZEII.

Gran parte di questi attacchi sono avvenuti a danno dei leader sociali nel contesto del Paro Nacional, dove i gruppi di difesa dei diritti umani hanno svolto il loro lavoro di accompagnamento, verifica e difesa attiva nel mezzo dei processi di mobilitazione, un fatto che li ha posti nel mirino delle forze dell’ordine, e anche, dell’ente di investigazione. Ai leader sociali seguono, in ordine di numero di aggressioni, i leader indigeni e i leader comunitari. Questi ultimi fanno parte di processi organizzativi non istituzionalizzati che lavorano per la difesa dei diritti umani. È stato registrato anche un aumento degli attacchi a leader giovanili e di vittime, alcuni candidati alle circoscrizioni transitorie speciali di pace o appoggiando con le loro organizzazioni tali candidature.

Delle 996 aggressioni, al primo posto come presunti responsabili abbiamo attori sconosciuti (40% delle aggressioni totali), ovvero persone che non portano nessuno tipo di emblema o distintivo che possa metterli in relazione con un attore armato legale o illegale, che nascondono la loro faccia e identità. In secondo luogo, ci sono i gruppi o organizzazioni paramilitari, successori del paramilitarismo, a carico del 23% delle aggressioni. Al terzo posto le forze dell’ordine che sono passate da 53 attacchi nel 2020 a 206 nel 2021, con un notevole aumento del 289% (presunti responsabili anche delle 2 agressioni sessuali registrate nel 2021). La polizia nazionale è seguita dalle strutture post-farc, responsabili di 95 aggressioni. Al quinto posto ci sono le istituzioni dello stato e le persone che ne ricoprono i ruoli, responsabili di 38 fatti. Tra queste la Fiscalia General de la Nacion, la Unidad Nacional de Proteccion, il ministero della difesa e un parlamentare. È importante menzionare che la FGN sarebbe l’ente incaricato preposto alle indagini. In fine si registrano 24 aggressioni da parte del ELN e altre da parte di civili.

Riguardo alle aggressioni più gravi, risultate in omicidi, nel 2021 c’è stata una riduzione del 30% rispetto all’anno precedente, passando dai 199 del 2020 ai 139 del 2021. La diminuzione può avere diverse spiegazioni, tra cui l’allentamento delle misure restrittive per contrastare il Covid-19 che ha permesso maggiore mobilità dei DDHH, colpiti invece per lo più nelle loro residenze durante il 2020. Da notare che cinque delle vittime di omicidio nel 2021 contavano con misure di protezione individuale da parte della Unidad Nacional de Proteccion, mettendo in dubbio l’efficacia delle misure di sicurezza governative per garantire l’incolumità dei vari leader. Allo stesso modo richiama l’attenzione il fatto che 26 omicidi sono avvenuti nei municipi ubicati all’interno delle così dette Zone Futuro. I territori con il più alto numero di omicidi restano Antioquia (23 casi), Cauca (22) e Valle del Cauca (18), principalmente coinvolgendo leader indigeni e comunitari. Del numero totale, il 17% dei casi hanno coinvolto donne e l’83% uomini. Come per le aggressioni generiche, gli omicidi sono stati principalmente operati da autori sconosciuti (59%), il resto soprattutto da gruppi paramilitari e da azioni di guerriglia, mentre le forze dell’ordine sono responsabili di un 4% del totale.

Parlando di minacce intimidatorie subite dai DDHH, Cauca resta decisamente il luogo con il più alto numero, pari a 184 su 665 totali. Nel principale metodo di minaccia usato rientrano il pedinamento, la vigilanza tramite terzi, visite, fotografie o minacce con armi e gesti intimidatori. Seguono produzioni scritte, messaggi, chiamate al cellulare ed e-mail minatorie. Le minacce più violente consistono nell’uccisione di persone vicine al difensore, torture, punizioni fisiche o di utilizzo di esplosivi. 

Dalla nascita della SIADDHH nel 2010, sono state registrate un totale di 7099 aggressioni contro DDHH, con il 2021 come l’anno con il più alto numero di casi. Migliaia di vite sono state coinvolte da violenze selettive e sistematiche, dimostrando l’inefficacia dello stato nel garantire i diritti umani, che sembra anzi voler ottenere l’opposto tramite politiche deboli e militarizzazione dei territori. Sebbene il 2021 sia stato un anno con un altissimo numero di aggressioni resta comunque degno di nota per l’espressione di forza e insofferenza da parte della società civile posta davanti a forme di violenza e iniquità, che ha portato i DDHH ad esporsi maggiormente durante le mobilitazioni. Davanti a questa situazione allarmante, la strategia del governo materializzata nel Plan de Accion Oportuna (PAO), alza non poche critiche, essendo ancorato ad una vecchia formula di militarizzazione che non ha portato i risultati desiderati, ma anzi contribuisce ad aumentare i rischi delle comunità e organizzazioni. I passi fatti verso lo smantellamento delle organizzazioni criminali presentano scarsi risultati, e la cattura dei boss criminali non ha comportato automaticamente la distruzione delle organizzazioni stesse. La revisione di alcune tutele dei DDHH da parte della Corte costituzionale colombiana potrebbe essere una finestra verso le riforme strutturali necessarie e, si spera, verso una implementazione integrale del Acuerdo de Paz.

traduzione di Emma Purgato ed Andrea Stella – Yaku Onlus

https://www.yaku.eu/wp-content/uploads/2022/07/Informe-Somos-Defensores-2021.pdf