Ogni anno la multinazionale vende i suoi prodotti nel paese per più di due miliardi di dollari. Solo nel 2020, sono state commercializzate 208,4 milioni di confezioni. Dall’azienda Coca Nasa, che fabbrica prodotti a base di foglie di coca, traggono profitto più di 60 famiglie di coltivatori nelle montagne del Cauca.
Reportage di Andrés Felipe Carmona Barrero pubblicato il 29 aprile 2022 sul giornale online indipendente voragine.co, realizzato con l’appoggio di VITAL STRATEGIES. Illustrazioni di Camila Santafé.
Otto lettere e due parole, sono le protagoniste di un’azione legale che vede ‘confrontarsi’ la multinazionale Coca Cola e Coca Nasa, un’organizzazione che commercializza alimenti, bevande, aromatici e medicine naturale prodotte a partire dalla lavorazione legale delle foglie di coca coltivate da più di 60 famiglie nelle montagne di Belalcàzar, capoluogo del distretto di Pez, Cauca, situato nel sudest del paese.
La multinazionale di bibite gassate, fondata il 29 gennaio 1892 dall’imprenditore e farmacista Asa Griggs Candler ad Atlanta, USA, al giorno d’oggi in Colombia vende i suoi prodotti per un fatturato annuo di più di 2 miliardi di dollari. Solo nel 2020, la famosa azienda ha venduto 208,4 milioni di casse di bevande nel paese, 1,8 milioni in più rispetto al totale del 2019, come riportato dall’azienda.
La denuncia formale, inviata a nome del gigante delle bevande gassate, è arrivata il 26 novembre 2021 alla casella di posta elettronica dell’azienda Coca Nasa, registrata alla Camera di Commercio come Tierra de Indio S.A.S. Il documento, noto a Voràgine, è firmato dagli avvocati Brigard & Castro S.A.S, in qualità di rappresentanti della loro cliente The Coca-Cola Company (TCCC).
Nel testo si può leggere che la lamentela principale sollevata da Coca Cola riguarda il fatto che l’azienda di prodotti a base di foglie di coca, che ha avuto i suoi inizi formali nel 1998, utilizzi la denominazione “Coca Pola” per la sua birra a base di malto, lievito, luppolo e foglie di coca macerate. Il motivo della lamentela citato dall’azienda di bevande gassate ha a che vedere con una supposta somiglianza fonetica tra i nomi dei due prodotti.
“L’uso che TIERRA DE INDIO S.A.S. fa dell’espressione COCA POLA è molto simile, da un punto di vista ortografico e fonetico, al marchio del mio cliente, fatto che potrebbe generare confusione nel mercato, e comportare un utilizzo indebito della reputazione di TCCC. Per questo motivo, il nostro cliente è molto preoccupato di questo utilizzo”. Questo è quanto si può leggere nel documento recapitato sulla scrivania di Fabiola Piñacué, direttrice di Coca Nasa, e fondatrice del progetto sviluppato nel cuore della Riserva Indigena di Calderas, in Cauca.
Gli avvocati sostengono che la multinazionale, presente in Colombia con la sua bevanda Coca Cola dal 1927, ritiene che il nome usato per la bevanda alcolica della piccola azienda indigena potrebbe “costituire una violazione del marchio registrato”, avendo un “simbolo identico o simile alla marca”, fatto che potrebbe generare confusione tra i consumatori.
Le istanze degli avvocati si concludono con la richiesta agli indigeni Nasa di eliminare il nome “Coca Pola” da ogni materiale pubblicitario diffuso attraverso volantini, depliant e altri materiali stampati, e pagine web, social e altri mezzi di diffusione, come la pagina web della società e i profili social.
Secondo Fabiola Piñacué, direttrice di Coca Nasa, la richiesta della multinazionale è “assurda” se si tiene in considerazione il fatto che la foglia di coca appartiene ai popoli indigeni, e alle loro tradizioni millenarie diffuse in tutta l’America andina. Per lei, è stata Coca Cola ad aver coniato “senza permesso”, più di un secolo fa, un termine che appartiene per tradizione ai popoli indigeni.
“Cos’ha fatto Coca Cola per la pace nel mondo, con tutti soldi che ha raccolto? Non ha alcun senso che ora vengano qui, pensando di essere padroni della parola “coca”, perché è un termine nostro da millenni, dalle origini”, aggiunge Piñacué.
La direttrice di Coca Nasa dice di essere abituata a lottare, non solo contro il gigante mondiale delle bibite, ma anche contro le autorità, da cui sono stati perseguiti per il trasporto di foglie di coca utilizzate per i loro prodotti. Racconta addirittura che, nel 2010, è stata fermata al Terminale dei Trasporti di Neiva per avere con sé alcuni pacchi di foglie di coca tostate. Alla fine del fermo, durato tre ore, le foglie di coca le sono state restituite, ed è stata lasciata andare senza alcuna accusa a suo carico.
Lo stesso anno, l’ora defunta Direzione Nazionale di Stupefacenti (DNE) ha finanziato e lanciato la campagna pubblicitaria che diceva “La coca, la marijuana, l’oppio uccidono… non coltivare piante che uccidono”. Questa offensiva pubblicitaria, ricorda, ha motivato l’azienda a presentare una richiesta di tutela, che hanno ottenuto, e che ha obbligato il ritiro di questa propaganda istituzionale.
“Sono più di 20 anni che andiamo avanti con questo esercizio di pedagogia, insegnando alle autorità che qui in Colombia esiste una cultura della foglia di coca, dei popoli come il Nasa e delle comunità indigene andino-amazzoniche, ma anche dei contadini. Vogliamo ricostruire la connotazione associata alla foglia di coca”, afferma Piñacué.
Ricorda quando, da Coca Nasa, hanno dovuto protestare contro le diverse strategie di sterminio della foglia di coca, quando hanno iniziato come impresa nativa, nel 1998, e l’allora presidente Andrés Pastrana aveva ideato il Plan Colombia con gli Stati Uniti.
Spiega che utilizzano le foglie di coca per produrre distillati, guarapos, lieviti, e altri processi che portano alla realizzazione di diversi prodotti, fabbricati con l’aiuto di cinque persone a Belalcàzar, Cauca, e di altre dieci a Bogotà, dove i prodotti vengono imballati, impacchettati e commercializzati massivamente.
“Coca Cola abusa dei diritti dei popoli”
Dopo aver ricevuto la comunicazione, firmata dagli avvocati Brigard & Castro S.A.S, che dava a Coca Nasa dieci giorni di tempo per smettere di utilizzare la dicitura “Coca Pola”, l’azienda di prodotti a base di foglie di coca ha avviato una serie di consultazioni per definire la strategia di difesa dei suoi prodotti.
David Curtidor ha la responsabilità di portare avanti la strategia di difesa di Coca Nasa contro la multinazionale. Fa parte dell’azienda di prodotti a base di foglie di coca da 24 anni, è uno dei pionieri del progetto. È stato coinvolto in diverse battaglie legali contro Coca Cola per motivi simili; perciò, ritiene di riuscire a portare avanti l’argomentazione che dovrà esporre in appello contro le denunce della multinazionale.
Una delle prime dispute con Coca Cola risale al 2006, ricorda Curtidor mentre percorre la sede principale di Coca Nasa in Belalcàzar, nella regione di Paez, una zona montuosa molto più vicina al dipartimento di Huila che a quello di Valle. The Coca-Cola Company aveva fatto causa all’azienda nativa per aver rivendicato diritti di proprietà sulla parola “coca”, che si trovava nel nome di uno dei loro prodotti più venduti, chiamato Coca Sek.
L’esposto della multinazionale era arrivato nel momento in cui Coca Nasa aveva tentato di registrare la bevanda energetica a base di foglie di coca alla Soprintendenza dell’Industria e del Commercio. Tuttavia, la denuncia dell’azienda di bevande gassate decadde, e la difesa si concentrò su esigere il riconoscimento dei diritti collettivi sulla foglia di coca.
Ora, in un nuovo round che vede scontrarsi le due parti, e che deve ancora arrivare nelle aule del paese, il leader di Coca Nasa afferma che torneranno a rivendicare l’uso della foglia di coca come elemento della cultura indigena, protetta da organi internazionali.
“Abbiamo risposto dicendo che avevano dieci giorni per darci delle spiegazioni su perché Coca Cola stesse usando il termine “coca” senza la nostra autorizzazione e consenso. La Comunità Andina, con la Decisione 486 di Lima, Perù, protegge l’uso di nomi che tengano relazioni con i popoli indigeni, o con i loro prodotti o elementi fondamentali della loro cultura. E la foglia di coca è fondamentale per la cultura di moltissimi popoli”, spiega Curtidor.
Con in mano documenti, attraversa il terreno dove si taglia e si essicca la foglia di coca per spiegare che le foglie, una volta tagliate, sono imballate in pacchi da 50kg, e saranno utilizzate per produrre liquori, biscotti, farina, creme per il corpo, olii e gocce terapeutiche, tra altre cose.
“La battaglia non è solo nostra, è anche delle organizzazioni indigene, perché si tratta dei diritti dei territori e del patrimonio culturale e biologico utilizzati a scopi commerciali, come in questo caso la foglia di coca. I nostri prodotti sono al 100% biologici, perché le coltivazioni sono familiari, non su larga scala, e non vengono fumigati con prodotti chimici. Questo li rende sicuri”, spiega il lavoratore di Coca Nasa.
Come Voràgine, siamo venuti a conoscenza della risposta di Coca Nasa all’agenzia di avvocati Bigard &Castro, radicalizzata il 15 febbraio di quest’anno. Nel documento di due pagine sostengono come The Coca Cola Company abbia messo in pratica “abusi nei confronti dei diritti dei popoli, in relazione all’utilizzo a scopi commerciali del patrimonio della foglia di coca” nell’usare, secondo loro, il nome o il termine specifico “coca” in processi industriali.
“Noi non abbiamo megacolture di foglie di coca”
Jairo Pardo Fernàndez, padre di due bambine, lavora la terra nelle montagne di Belalcàzar da tutta la vita. Sa coltivare la foglia di coca, e si dedica anche ad altri prodotti, come il caffè. Ha imparato a lavorare i campi da sua madre, con la quale ha iniziato ormai 20 anni fa a produrre tè di coca con Coca Nasa, che condivide con i suoi vicini, o usa come terapia. Lei, a causa dell’età, non lo accompagna più nelle sue giornate lavorative, che iniziano alle 4 del mattino. Parla dalla sua casa, che si trova sullo stesso territorio del piccolo stabilimento artigianale dove vengono tagliate e seccate le foglie di coca per l’azienda nativa.
“Il mio ruolo all’interno di Coca Nasa è di trasformare la foglia di coca da materia prima a prodotti fatti da noi, che vengano consumati dalle persone nelle città del paese. Non abbiamo megacoltivazioni di coca, ci sono 60 famiglie che la seminano nelle loro case, e ogni 15 giorni raccolgono le foglie. Una volta che le foglie di coca sono state raccolte con cura, le stesse famiglie le portano qui, dove vengono pesate e poi comprate da noi. Dopodiché, passiamo il tutto per un processo di tostatura ed essiccatura particolare, per poi portarle a un mulino, dove vengono triturate e selezionate in base alla qualità, dato che ci sono foglioline più grosse e più fine. Si imballa tutto e si trasporta da qui a Bogotà”, racconta l’uomo mentre parla di sua moglie e delle sue figlie – Daniela, di 15 anni, e Julieta, di 5 – con le quali vive nella sede di Coca Nasa.
Mentre chiacchieriamo racconta aneddoti. Uno di questi ha a che vedere con gli ostacoli che hanno incontrato all’inizio nel commercializzare le foglie di coca seccate e pronte per la produzione nella fabbrica di Bogotà. Racconta che spesso spedivano le foglie di coca in autobus intermunicipali, ma la Polizia, ai posti di blocco, le sequestrava dichiarando di non riconoscere la provenienza delle foglie, associandole quindi all’illegalità. “Per questo motivo ora abbiamo un nostro veicolo che porta le foglie di coca a Bogotà, e una volta in città fa il giro dei negozi e di altri luoghi per mettere in vendita i prodotti di Coca Nasa”, aggiunge come spiegazione.
Aggiunge che, a volte, nel suo lavoro si fa aiutare da altri collaboratori, suoi familiari o vicini, che lo aiutano quando ci sono molte foglie di coca da processare o alcuni prodotti da organizzare nel negozio che ha a casa sua. Quando parla del conflitto con il gigante Coca Cola, fa appello al sarcasmo per mettere in luce come i prodotti di Coca Nasa siano naturali, mentre la famosa bevanda gassata di colore nero è il prodotto finale di un processo chimico.
“Tutto quello che facciamo è stato accettato in modo molto positivo, alla gente piacciono molto tutti i nostri prodotti, perché continuano ad essere originali. Con quello che facciamo stiamo cambiando la faccia della Colombia, dimostrando che non è solo il paese del narcotraffico, e che la foglia di coca non è la cocaina, come viene dipinta. Per noi è naturale, è una pianta come qualsiasi altra, che noi stiamo usando per fare cose legali. Io coltivo anche caffè, avocado, arance e mandarini. Qui ci sono anche persone che lavorano con le canne. Abbiamo orti. Facciamo un po’ di tutto, in comunità”, racconta Jairo dalla sua casa, che si trova nella Mesa de Avirama, zona rurale di Belalcàzar, dove vive con le sue figlie, sua moglie, e diversi cani randagi che lo passano a trovare.